La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

La pellicciaia uccisa all’antivigilia di Natale 1982

L’uccisione della pellicciaia Elena Debernardi, avvenuta a Torino all’antivigilia di Natale 1982, non è soltanto uno dei molti cold case riguardanti anziane donne sole assassinate in casa, ma anche un delitto di Natale.

La sua location è un alloggio di ben dieci camere che occupa tutto il primo piano di un palazzo di corso Vittorio Emanuele II al civico 36, quasi all’angolo con via San Francesco da Paola, a 300 metri da Porta Nuova. La vittima è Elena Debernardi vedova Morero, pellicciaia in pensione di 74 anni, che in questo alloggio abita da sola.

È stata trovata morta nel pomeriggio del 27 dicembre 1982, poco prima delle 15:00, dal figlio Dante Morero, di 50 anni, residente a Saluzzo, dove ha una pellicceria. È stato avvertito al mattino dalla portinaia del palazzo che la madre non è stata più vista da giorni e, cosa allarmante, che le luci dell’appartamento sono accese.

L’uomo, col figlio Roberto di 22 anni, è venuto a Torino con una seconda chiave dell’alloggio. Appena entrato, nell’ingresso, ha scoperto il corpo della madre, ormai irrigidito, supino a terra, di traverso, con le caviglie legate e i polsi bloccati dietro la schiena. Sul viso un bavaglio molto stretto.

L’alloggio appare letteralmente sottosopra: cassetti aperti, a terra documenti, indumenti, vecchi giornali. Dato l’allarme, due vigili urbani motociclisti, per caso nei pressi della casa, fanno la guardia in attesa della Polizia. Accorrono il capo della Squadra Mobile, Piero Sassi, quello della Scientifica, Gigi La Sala, e il sostituto Procuratore della Repubblica, dottor Borgna.

Le indagini non si prospettano facili. Elena Debernardi appare come una personalità complessa.

È sorella di Dario Debernardi, già sindaco di Pinerolo fino al 1980 e al momento Vicepresidente dell’API (Associazione Piccola Industria) e amministratore delegato di una azienda del settore gomma. Oltre al figlio Dante, ne ha un secondo, Franco, di 41 anni che da cinque anni vive in Finlandia, dove si è sposato, non coinvolto nelle indagini. Pare di percepire una certa freddezza col figlio Dante, il quale dichiara di aver chiamata invano la madre al telefono venerdì 24 e sabato 25 dicembre. Ha pensato che fosse andata, come suo solito, a trascorrere il Natale a Nervi, dove possedeva un alloggetto: «Soffriva di asma e traeva giovamento dal clima marino». Martedì 21 dicembre la Debernardi aveva ricevuto i nipoti, Roberto e Fabrizia, che da Saluzzo le avevano portato dei regali, trovati in un mobile, nei loro pacchetti intatti.

Un primo esame del cadavere fa ritenere che la morte sia dovuta a soffocamento causato dal bavaglio, perché la vittima soffriva d’asma. L’ipotesi è confermata dall’autopsia: il decesso risale a giovedì 23 dicembre. Non ci sono altri segni di violenza, i polsi sono stati legati con una cintura, le caviglie con una cravatta.

Elena Debernardi viene descritta come assai timorosa. Sull’uscio aveva lasciato le targhette di precedenti inquilini per far credere che vi abitassero parecchie persone. Non apriva mai a sconosciuti. Molto prudente, prima di uscire, verificava nello spioncino se vi fosse qualche persona sul pianerottolo e usciva soltanto dopo questo controllo.

La porta, dotata di varie serrature, non è stata forzata e neppure un secondo ingresso che si apre sul ballatoio. Conosceva quindi il suo aggressore, uno o più che fossero.

Degli sconosciuti potevano farsi aprire con uno stratagemma, magari facendo il nome di qualcuno che lai conosceva, oppure fingendo di consegnarle un pacco di Natale. Certo il pretesto doveva essere convincente.

L’amica Margherita Cartabellotta riferisce ai cronisti di essere andata a farle visita: il campanello suonava, ma la Debernardi non apriva: la Cartabellotta sapeva che quando andava via era solita staccare la corrente elettrica e, preoccupata, ha fatto avvertire il figlio tramite la portinaia.

Inizialmente si ipotizza una rapina: l’aggressore pensava di trovare in casa oggetti di valore mentre, lo si sosterrà per parecchi giorni, in casa non c’erano né gioielli né denaro, soltanto ritagli di pelliccia sparsi in tutto l’alloggio. La vittima, anche in pensione, aveva conservato alcune clienti per modificare e acquistare pellicce. Si tratta però di un delitto strano.

Si inizia a parlare di un registro con la copertina color nocciola dove la Debernardi annotava l’incasso della sua pensione di vecchiaia, di 200.000 Lire al mese, e le sue molte attività finanziarie, oltre al commercio di pellicce: affittava qualcuna delle dieci camere del suo appartamento, ospitava conoscenti, prestava del denaro. Teneva questo registro color nocciola in una borsa di plastica bianca e la portava sempre con sé, anche per andare a far la spesa.

È scomparso e gli inquirenti lo cercano, convinti che sia la chiave del delitto: l’assassino poteva essere in relazione d’affari con la vittima. Si ipotizza che forse non volesse ucciderla, soltanto prendere denaro e documenti, ma lei, asmatica, è rimasta soffocata dal bavaglio.

Le indagini forniscono indicazioni precise sul momento del delitto.

Nella mattina di giovedì 23, la Debernardi è stata vista in una panetteria e nell’edicola di fianco al portone del palazzo. È uscita per breve tempo anche nel primo pomeriggio, verso le 15:30.

Era già morta alle 22:00 di quel giorno: a quell’ora, infatti, ha bussato al portone, chiuso dalle 20:30, una giovane donna che diceva di dover ritirare una pelliccia. La portinaia le ha aperto, ma la giovane ha suonato invano alla porta della pellicciaia. Questa donna è tornata anche al mattino successivo, ma nessuno ha risposto alle sue scampanellate.

Margherita Caltabellotta descrive la vittima come prudente e guardinga. I vicini parlano però di un via vai nell’alloggio, frequentato da molte persone, anche giovani. La Debernardi ha affittato tre camere, fornite di un ingresso indipendente dal ballatoio, la prima a una coppia di giovani sposi - assenti da martedì 21 dicembre -; la seconda a un cameriere e la terza al commesso di un vicino negozio. Nessuno ha sentito niente.

Gli inquirenti cercano le amiche della vittima per saperne di più sulle sue attività. In particolare, si parla di una anziana signora, Mimma Crema, nota come «La Contessa», che fino ad un mese fa abitava presso la Debernardi, e a quanto si dice le faceva da segretaria. La Polizia spera di sapere da lei il contenuto del registro color nocciola. Si parla di costosi affari immobiliari conclusi di recente dalla pellicciaia e di prestiti di denaro.

Gli inquirenti sembrano attribuire minore importanza ad altri elementi, come i due mozziconi di sigaretta trovati in un portacenere, forse lasciati dall’assassino.

Al 29 dicembre si presentano in Questura due donne che risulteranno testimoni molto importanti per la ricostruzione della vicenda, pur senza fornire elementi utili a identificare l’assassino.

Dopo aver letto il suo nome su La Stampa, compare Emma Buzzi, di 72 anni, nota come «Mimma la Contessa» perché vedova del Conte Crema di Modena. È rimasta dalla Debernardi fino al 3 dicembre e ora vive in una pensione di via Foscolo. Viene sentita dalle 10:00 alle 14:00 poi è accompagnata nell’alloggio, dove si cerca invano il famoso registro.

La Contessa afferma che l’amica «Voleva strafare per guadagnare»: oltre all’attività di pellicciaia, si occupava di affari immobiliari, rilevava negozi e pensioni e, saltuariamente, dava denaro in prestito ad alto interesse (24% al mese). Aveva acquistato un alloggio, aveva trattato una pensione per 27 milioni e mezzo e, al 1° gennaio 1983, doveva versare 3 milioni e mezzo per rilevare un negozio, pagamento che la ossessionava.

Disponeva di conti correnti in quattro banche.

Una seconda testimone spontanea è Maria Gianella, di 60 anni, che aveva ordinato e pagato 2 milioni per una pelliccia. La giovane che si è fatta aprire il portone alle 22:00 è sua nuora. Ma le dichiarazioni più rilevanti di Maria Gianella riguardano il giorno precedente il delitto, quando lei era dalla pellicciaia ed era suonato il telefono. La Debernardi aveva avuto col suo interlocutore un colloquio tempestoso che aveva fatto ascoltare alla Gianella grazie a un amplificatore telefonico.

La Gianella fornisce un ulteriore particolare importante: la sera del delitto, verso le 20:00 ha telefonato alla Debernardi per chiedere se la nuora potesse andare a ritirare sua pelliccia. «Venga pure questa sera - le ha detto la Debernardi - bussi al portone. O io, o la custode verremo ad aprire». In quel momento si è sentito suonare il campanello: «Devo lasciarla, mi scusi - ha detto la pellicciaia - stanno suonando alla porta». Era l’assassino? Due ore dopo la Debernardi era già morta, quando la nuora si è presentata alle 22:00.

L’anno 1982 si conclude con il funerale di Elena Debernardi. Su Stampa Sera compare un corposo necrologio dei colleghi del figlio pellicciaio. Il cronista si chiede perché l’anziana signora non abbia voluto andare a vivere con lui a Saluzzo. Secondo un’amica, «Preferiva continuare a sentirsi autonoma e viva con il suo vorticoso giro d’affari che l’ha portata alla tomba».

Il nuovo anno porta modeste novità nelle indagini. Viene identificato l’uomo del tempestoso colloquio telefonico ascoltato da Maria Gianella il giorno prima del delitto: è Placido G., di Messina, di 51 anni, sposato con figli, bidello in una scuola di piazza Zara. È stato arrestato al 3 gennaio per falsa testimonianza, visto che tentava di nascondere i suoi veri rapporti d’affari con la vittima. Non è però sospettato, ha un preciso alibi per il giorno del delitto.

Al 14 gennaio 1983, Stampa Sera annuncia il ritrovamento del «tesoro» della pellicciaia, operato dalla Polizia nell’alloggio, dopo quattro perquisizioni, grazie alla collaborazione del figlio. Il segreto istruttorio non permette di conosce l’ammontare del denaro e degli assegni ritrovati in vari nascondigli. La Debernardi trafficava in un giro di prestiti vicini all’usura. Secondo il cronista, era un pericoloso sistema per guadagnare grosse cifre, dall’ambiente dei prestasoldi potevano subentrare personaggi decisamente pericolosi e, fra questi, l’assassino.

La vittima si pone così in una luce decisamente poco simpatica. Secondo il cronista, i figli non ne sapevano molto dei suoi traffici, molto più le sue anziane amiche.

Certo. Una di queste aveva già magistralmente inquadrato la situazione: «Il suo vorticoso giro d’affari l’ha portata alla tomba».

Con questa scoperta si conclude l’interesse giornalistico nei confronti di questo caso, che abbiamo raccontato grazie alle cronache di Gianni Bisio su La Stampa. Dopo il 14 gennaio 1983, infatti, si inizia a ricordare Elena Debernardi soltanto in occasione di altri analoghi delitti.

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Articolo pubblicato il 25/12/2022