La gara: come fatto fondante del pensiero greco e cifra peculiare del Fratello massone

Un contributo del Gran Maestro Emerito della GLDI, Prof.Antonio Binni

Dopo attenta, approfondita, riflessione sono giunto alla conclusione che uno degli elementi fondativi della civiltà classica greca - a mio giudizio, predominante - sia costituito dal concetto di competizione, che nella bella lingua greca si definisce con la parola agòn, dal significato appunto di gara, lotta, confronto, tanto di uomini quanto di opposti partiti. Idea centrale, perché nell’agorà convivono insieme la grandezza e il limite, oltre gli opposti complementari. Del resto, il conflitto connaturato alla vita è esso stesso principio di vita.

 

L’enunciato, così come si impone per ogni altra tesi, deve essere persuasivamente argomentato. Di seguito mi riprometto pertanto di darne puntuale e rigorosa dimostrazione, il che, oltre che doveroso, nel caso specifico è strettamente necessario, stante il carattere assolutamente originale della prospettazione sostenuta.

Il primo sospetto sul fondamento dell’assunto propugnato mi è sorto riflettendo sull'epica. Nulla infatti più del duello dell'epica si fonda sulla competizione, con in palio addirittura la vita stessa: gara, dunque, mortale.

Un secondo sospetto mi è nato quando ho considerato la figura di Dike, la Giustizia, che per definizione ha nascosto in sé il principio del conflitto. L'esito del conflitto non è infatti altro che Dike perché essa non è giustizia assoluta, ma esito della valutazione delle diverse e opposte ragioni.

 

Com'è ovvio, una tesi come quella formulata non può però fondarsi su semplici sospetti e labili indizi, per quanto oltremodo significativi. Per questo, a fondamento di quanto formulato, ecco alcuni argomenti più solidi. Primo fra tutti, nel successivo elenco, l'istituto del ginnasio, la cui funzione educativa fa perno proprio sull'agone quale sua peculiarità fondativa, come emergerà con assoluta chiarezza e certezza dalle successive considerazioni, sia pure contenute all'essenziale, come mancanza di spazio e motivi di opportunità suggeriscono.

 

Il ginnasio all'origine era posto all'aperto, all'interno di ampie radure in vicinanza di fonti d’acqua, con estese zone d'ombra per riparo dal sole, con diffusi spazi per la lotta, oltre che con piste per la corsa a piedi o il lancio del disco o del giavellotto. Successivamente, a questo primitivo impianto si aggiunsero alcune strutture fisse: palestre, cortili quadrati o rettangolari a peristilio. In seguito intervennero ulteriori trasformazioni che si realizzarono in edifici che, dalla periferia, traslocarono al centro della polis, a segnare uno spazio sempre più civico.

 

Il ginnasio, infatti, fin dalla sua origine, assolveva un fondamentale ruolo svolgendo nella città una funzione educativa dove, alla cura del corpo, si accompagnava la formazione intellettuale, valori fondativi dell’ethos greco. Il che è tanto più rispondente al vero quando, a partire dall'epoca tardo-ellenistica, il ginnasio diventò il luogo di insegnamento di discipline liberali e filosofiche. Questa istituzione pubblica che qualificava l'identità della polis consentì a Pausania di scrivere che non si potesse definire "città una comunità di persone che non hanno (…) un ginnasio" (Guida della Grecia, X 4,1). Il ginnasio, a tutti gli effetti, è infatti considerato una seconda agorà della polis.

 

Il ginnasio, fin dalla sua istituzione, è il luogo, per definizione, deputato alla preparazione atletica, come denuncia la stessa etimologia della parola. Gymnasion significa infatti «allenarsi, nudo, nell'esercizio ginnico», dove la nudità opera anche al femminile perché - come Platone mette in bocca a Socrate - quando le donne si spogliano in palestra per praticare l'esercizio fisico indossano la virtù invece dei vestiti (Repubblica, 457 a).

 

La pratica sportiva rimaneva tuttavia appannaggio soprattutto degli uomini, sempre conservando la sua natura pubblica in quanto questa attività assolveva una funzione squisitamente cittadina, avendo il compito di trasformare gli efebi - giovani di età compresa fra i 18 e i 20 anni - in cittadini a pieno titolo.

 

Alla preparazione atletica si accompagna però anche quella militare, essenziale per una città in pressoché continuo stato di guerra. Partecipare alle guerre come combattente era infatti dovere oltreché privilegio del cittadino. Su questo aspetto - la formazione militare - si è poi soliti porre l'accento, quasi fosse il significato essenziale e prevalente della istituzione, mentre a nostro sommesso, ma ponderato avviso, è da ravvisare invece nella competizione, che è il frutto autentico del pensiero greco, dal momento che connota non solo il ginnasio ma, come si dimostrerà nel prosieguo di questo scritto, tutta la complessa vita della polis.

Nel ginnasio, infatti, si insegna innanzitutto e soprattutto l'agone, che è il cuore di ogni confronto-scontro, che comprende per certo anche la formazione militare, senza però esaurirla. Dal profilo logico non v’è infatti differenza alcuna fra chi vuole prevalere nella lotta o nella corsa o nel lancio del disco o del giavellotto e chi vuole invece affermare la supremazia delle proprie armi.

 

Il furore che accompagna le gare è infatti del tutto uguale a quello che anima gli scontri degli eroi omerici. Che il concetto di gara-competizione assorba e annulli poi ogni altro profilo è infine dimostrato dai giochi olimpici - con cadenza quadriennale - dove si gareggia non per partecipare, come avviene oggi, ma per vincere ed essere così celebrati da quelle odi corali la cui invenzione era attribuita a Simonide (556 - 468 circa) e in cui si erano distinti soprattutto Pindaro e Bacchilide.

 

Che la competizione caratterizzi non solo il ginnasio, ma la complessa vita della polis è inoppugnabilmente dimostrato da quanto avviene nel teatro dove il confronto e lo scontro fra le diverse ragioni incarnate dai personaggi nel microcosmo della scena è competizione che riflette anche - su cui infra - la dinamica democratica della polis. Agonismo, si noti, esistente pure tra gli autori delle opere rappresentate, che si confrontano in una gara bandita durante le feste in onore di Dioniso, giudicate poi con il voto degli spettatori a loro volta in gara fra loro, chiamati con il voto a sancire la vittoria.

 

La competizione va poi colta pure nel semplice scambio di parole che avviene fra i cittadini perché, nel confronto verbale, spesso acceso, che anima l’agòn, confliggono pur sempre diverse ragioni opposte fra loro. È su questo terreno che nasce poi il dialogo classico che altro non è che un confronto-scontro tra opposti partiti in un rimando continuo di argomentazioni volte a demolire il punto di vista sostenuto dall'altro interlocutore. Anche il dialogo è perciò gara, competizione, volta a quella vittoria che persegue anche l'atleta della corsa. È poi sempre su questo terreno di accesa competizione che nasce e si sviluppa la retorica, l'arte dei discorsi che persuadono, atti a far prevalere nella gara verbale che, anche in questo ambito, ha per posta la vittoria nel confronto su qualsiasi materia in gioco, specie in ambito politico, oltre che nei tribunali. Da qui la pletora degli ambiziosi allievi votati a "farsi un nome" nella polis.

 

Il che inevitabilmente sposta la nostra attenzione sull'origine dell'orizzonte democratico. 

 

Il confronto-scontro antinomico e plurale fra i cittadini è osservabile soprattutto nell’agorà, la piazza principale della città dove i cittadini hanno la libertà di prendere la parola e di confrontarsi direttamente in una gara accesa scegliendo fra due partiti di opposta valenza. Il che è appunto l’essenza di quella «democrazia» che è il più grande dono che la civiltà greca ha tramandato all’Occidente. Sulla origine di questa parola e sul suo profondo significato vale la pena soffermarsi.

 

 

La parola «democrazia», probabilmente, è un termine nato come espressione spregiativa nei confronti degli abitanti del demos. Finisce però per affermarsi quando la struttura istituzionale della città non è più basata sul sangue (aristocrazia) o sul censo, ma su di un patto tanto tacito, quanto implicito, fra aristoi e demos, reso imprescindibile dalla presenza di nuovi protagonisti sulla scena della polis: cittadini quali gli artigiani, i commercianti, gli armatori, che non possono più non essere coinvolti nella responsabilità della πολιτε?α (governo della città). Virtuosa alchimia fra valori aristocratici e nuovi soggetti sociali e economici, dove il gioco agonistico fra potere dei nobili e potere del popolo, fra il potere di pochi e il potere di molti è sempre in difficilissimo, oltre che costante, precario equilibrio. Anche se poi solo questa dialettica dinamica - conciliazione fra gli opposti in perenne gara fra di loro - è quella che si rivela come l'unico sistema possibile necessario per l'egemonia di Atene, appunto perché efficace e vincente. Da qui il paragone, poi divenuto celebre, fra la città e una nave dove tutti i cittadini sono impegnati non come passeggeri, ma come indispensabile equipaggio.

 

Questa mirabile costruzione di ingegneria costituzionale è una invenzione ateniese che, ancora oggi, desta stupore e meraviglia, rientrando nel codice genetico della città. Consentire infatti a pazzi e insani di alzare le mani in assemblea fino a fare vibrare l'aria - per citare Eschilo (nelle Supplici v. 603) - pare davvero una follia! Così com'è facile denunciare l'irrazionalità di un procedimento che prevede e valorizza l'autorità di ciascuno. Ma il sostanziale equilibrio che si realizza nel confronto agonico fra le parti in lizza sta, invece, proprio a dimostrare la validità di quel sistema che consente di governare la città in pacifica armonia tanto agli aristoi, quanto a quel popolo "che fa andare le navi" (Aristotele, Costituzione degli Ateniesi, XX VII I), strumento di quella talassocrazia che è il destino di Atene.

È dunque proprio quella unione, nata dalla competizione e dalla gara che ha per posta il potere, verificatasi fra due profili opposti, ma destinati a conciliarsi, che ha dato potenza a Atene, che vince sulle altre città anche se governate meglio di come lo sia la stessa Atene. La parola «democrazia», all'origine, come si è detto, oggetto di scherno e di disprezzo, finisce così per divenire sinonimo di libertà: un bene così insostituibile da divenire un postulato. La democrazia come sistema di governo infatti non può più essere messo ai voti nell'agone che abitualmente si instaura fra gli elettori. Per questo nell’epitaffio per i primi caduti ateniesi della guerra del Peloponneso (429 a. C.) tramandatoci da Tucidide (II, 37, 1), Pericle potrà rivendicare la democrazia come la cifra peculiare caratteristica della città di Atene perché essa si alimenta nel riconoscimento di parità di tutti i cittadini di fronte alle leggi considerate stelle fisse attorno alle quali ruota l’etica privata e pubblica, l'ossatura sulla quale si costituisce l'assetto della comunità civile. 

 

Dall'argomento trattato esula il tema dei limiti che la democrazia implica e comporta. Sia consentito solo aggiungere che i Greci, anche da questo profilo, si sono rivelati, ancora una volta, degli autentici maestri per avere insegnato che la parola «democrazia» è vocabolo neutro, che porta con sé sempre, in qualche misura, un arbitrio prepotente, implicando in ogni caso il dominio di una parte sull'altra: sia essa la maggioranza sulla minoranza, o, nel caso inverso, tutt'altro che infrequente, della tirannide della minoranza sulla maggioranza.

 

L'agonismo della contesa è ciò che avviene nella gara sportiva, nel teatro, nell'agorà politica, nel tribunale. L’agòn è dunque la cifra stessa della vita della polis perché il confronto acceso - la gara, la lotta - è ciò che accade sempre in tutti gli spazi della città. Se non andiamo errati, ci lusinghiamo pertanto di avere così dimostrato in termini persuasivi l'assunto sostenuto.

 

 

Ci sia consentito sottolineare infine che il costume del Fratello massone, dal profilo considerato, è del tutto identico a quello del greco antico. Come quest’ultimo, infatti, anche il Fratello massone fa della lotta quotidiana la peculiarità della propria esperienza iniziatica. Una competizione giornaliera contro sé stesso senza quartiere: scontro durissimo volto come è a superare i vizi della profanità per conseguire - faticosamente - quello stato di grazia che è la completa umanità, abbandono definitivo delle tenebre, vita autentica che è Luce, saggezza, amore e bellezza, compito interminabile perché la via intrapresa della lotta non ha fine, perdurando fino all’ultimo giorno.

Andreas Trepte, www.avi-fauna.info

 

 

 

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Articolo pubblicato il 25/12/2022