Il simbolismo nei doni dei Re Magi

Di Achille Maria Giachino

Fin dai tempi più antichi i Re Magi, affascinanti figure della tradizione natalizia, sono stati protagonisti di storie e leggende nelle quali il folklore popolare si è mescolato via via sia a eventi storici che religiosi.

Guidati da una stella i tre uomini affrontarono un lungo e pericoloso viaggio con il solo scopo di rendere omaggio al “Re dei Giudei” e offrirgli i loro regali: oro, incenso e mirra, doni dotati di una simbologia profonda che racchiudono il mistero della duplice natura di Gesù, uomo e Dio.

Nel corso dei secoli i teologi hanno cercato di individuare il vero significato simbolico di quanto portato dai Magi: alcuni sostengono che l’oro rappresenta la fede, l’incenso la santità e la mirra la passione.

Altri reputano invece che i tre doni coincidano con le tre virtù teologali: l’oro è la carità, l’incenso è la fede e la mirra è la libera volontà.

Il più anziano dei Re Magi, Melchiorre, porta l’oro, simbolo della regalità di Gesù: non a caso l’oro era il dono riservato ai sovrani e agli dei e per i Magi Gesù era il Re dei Re.

Il prezioso metallo è da sempre associato alla luce, al sole, alla capacità di trasmettere forza ed energia. Alcuni però sostengono che l’oro non fosse il prezioso metallo, ma una spezia utilizzata sia in cucina che in medicina.

Costoro reputano che una errata traduzione dall’aramaico abbia confuso l’oro con la polvere di curcuma, dello stesso colore del metallo e dotata di grandi proprietà curative.

In questo modo i sapienti venuti dall’oriente avrebbero donato a Gesù Bambino due incensi e una spezia, tutti materiali preziosi e tutti legati alla vita spirituale, al culto religioso e a quello dei defunti, ma anche alla cura del corpo, alla salute e al trionfo della vita.

L’incenso offerto dal più giovane dei Re Magi, Gaspare, è una resina ricavata incidendo la corteccia di alcune piante diffuse nella penisola arabica e nell’Africa nordorientale, tra le quali la Boswellia Carteri.

Chiamato anche olibano o franchincenso è stato utilizzato fin dalla più remota antichità nell’ambito di cerimonie religiose e rituali.

Il fumo prodotto dalla sua combustione era considerato un’offerta gradita agli dèi e favoriva la meditazione e la purificazione.

Con questo dono Gaspare desiderava onorare Gesù con un qualcosa di prezioso e utile per preservare il corpo, ma allo stesso tempo voleva riconoscere la natura divina con un regalo che solitamente era offerto in sacrificio agli dèi e bruciato all’interno dei loro templi.

Baldassarre, il Re Magio dalla pelle scura, porta in dono la mirra (dalla parola semitica “murr” che significa amaro), una resina estratta dal tronco della Commiphora Myrra, originaria della Somalia e dell’Etiopia.

Non a caso a portarla è quello che, tra i Magi, era caratterizzato da tratti somatici riconducibili alle genti che vivevano in quelle terre.

Fin dall’antichità la mirra, con il suo straordinario profumo, era apprezzata per le proprietà antisettiche e antibatteriche e utilizzata allo stato liquido, in polvere o mescolata a oli e balsami.

Come l’incenso indica il riconoscimento da parte dei Magi della natura divina di Gesù, così la mirra celebra la sua umanità.

Questo perché anticamente era usata, tra le altre cose, per il culto dei defunti, quale simbolo di vittoria della vita sulla morte. Infatti, sono a base di mirra gli unguenti che il giorno di Pasqua le donne portano al sepolcro per preparare il corpo di Gesù e in questa accezione la sostanza è legata alla risurrezione.

Tre doni, tre materiali preziosi che racchiudono in sé un significato ben preciso: l’oro è la prerogativa dei re, l’incenso è l’aroma che si offre agli dei e la mirra è la sostanza che rende incorruttibile il corpo del defunto preservandolo per l’eternità.

Essi rappresentano quindi il triplice stato del Bambino: un Dio, un Re e un Uomo immortale.

Achille Maria Giachino

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Articolo pubblicato il 06/01/2023