Torino, il toro e i Taurini

Origine di un toponimo, di un etnonimo e di uno stemma (di Luca Guglielmino)

Un argomento più volte affrontato, dove esistono comunque ancora zone inesplorate. Una per tutte i ritrovamenti archeologici.

Nel circondario di Torino abbiamo, sia in direzione della Val di Susa che sul Po, che nel collinare e precollinare, alcuni ritrovamenti di epoca celtica ma a Torino praticamente non si è trovato nulla.

Probabilmente le ristrutturazioni e gli ampliamenti cittadini di epoca barocca, fondando i palazzi in profondità, hanno distrutto eventuali reperti presenti nel sottosuolo. Il Barocco fu –per chi scrive- un’epoca di rovina artistica in primis delle chiese. Della Consolata romanica (S. Andrea) abbiamo solo più il bellissimo campanile e come unica chiesa gotica abbiamo S. Domenico. Lo stesso Palazzo del Comune era gotico e ora è barocco. Spesso, come negli scavi di Palazzo Carignano, di Palazzo Madama o del palazzo di via Garibaldi 18 ang. Via Bellezia, sono stati fatti ritrovamenti romani, tardo-romani o medievali, ma di celtico poco o nulla. Va anche detto che molti materiali come tegole o mattoni vennero asportati da tali siti per essere usati come materiali da costruzione. Quod non fecerunt barbari fecerunt Barberini.

Eppure, malgrado i dati scarni degli autori antichi, qui si trovava la città principale dei Taurini. Era forse una fortificazione con alte mura in pietra (in Belgio ve ne sono di alte fino a 6 metri) di forma circolare e probabilmente con doppie mura a cingere un’altura, precedente alla civiltà cosiddetta degli oppida celti. (II e I sec. a.C) e quindi dell’epoca del dunon -dunum come fortezza. (III sec a.C e precedenti). Interessante è poi l’origine del nome e assieme ad esso quello dello stemma cittadino.

Le antiche fonti scritte

Il primo argomento da affrontare: quali sono gli storici, i geografi e i letterati che ne parlano? Citiamo i più importanti.

Polibio, Storie III- LX, Tito Livio, Ab Urbe Condita XXI-39, Appiano, Storia Romana II- 5 , Strabone Geografia IV-6-12, Cornelio Nepote- Vita di Annibale II-IV e Virgilio, Georgica IV v.371 sgg.

Hanno un modo diverso di affrontare l’argomento pur parlando sempre della discesa di Annibale in Italia. Il greco della prosa asciutta di Polibio, storico e militare, ci dice che: “In seguito, quando l’esercito si era ormai ripreso, essendo i Taurini che abitano proprio presso la catena montuosa, in contrasto con gli Insubri e non fidandosi dei Cartaginesi, egli dapprima li invitò all’amicizia e all’alleanza, ma poiché quelli non gli davano ascolto, assalì la loro città più forte e la espugnò in tre giorni. Trucidando quelli che gli si erano opposti, ispirò un tale terrore nei barbari stanziati nelle vicinanze, che tutti vennero a trattare con lui, affidandosi alla sua protezione. La restante moltitudine dei Celti che abitavano la pianura era ansiosa di associarsi ai Cartaginesi, secondo il disegno iniziale, ma avendo ormai le legioni romane superato le loro regioni, lasciando fuori la maggior parte di essi, questi se ne stavano tranquilli, alcuni anzi furono costretti a militare con i Romani. Constatando ciò, Annibale decise di non indugiare, ma di avanzare e fare qualcosa perché prendessero coraggio quelli che volevano fare causa comune con loro.” (trad. Manuela Mari)

Tito Livio è più sobrio e meno completo di Polibio ma in fondo, dice la stessa cosa. “…Arrivò a Piacenza (Scipione), ma Annibale aveva già levato il campo e la capitale dei Taurini, che aveva rifiutato la sua alleanza, venne presa d’assalto; nessun dubbio che il timore, e anche l’affezione, non avessero trascinato nel partito cartaginese i Galli rivieraschi del Po, se, nel momento in cui, non cercavano altro che un’occasione per rivoltarsi, non fossero stati sorpresi dall’arrivo fulmineo del console. Da parte sua Annibale partì dal territorio dei Taurini persuaso che alla sua vista, i Galli indecisi lo avrebbero immediatamente seguito……”.

Appiano: “…. Dopo essersi riposato un po’, attacca Taurasia, città celtica e avendola espugnata a viva forza, ne fa sgozzare i prigionieri onde seminare il terrore tra gli altri Celti. Giunto al fiume Eridano, oggi chiamato Po, nel paese dove i Romani facevano la guerra ai Celti chiamati Boi, vi piantò l’accampamento…”.

Strabone, Geografia Libro IV cap.6- 6-12 dice: “….Verso le altre parti (intendo le parti che digradano verso l'Italia) del suddetto paese montuoso abitano sia i Taurini, tribù ligure, sia altri Liguri; a questi ultimi appartiene quella che si chiama la terra di Donnus e Cottius. E dopo questi popoli e il Po vengono i Salassi; e sopra di loro, sulle creste dei monti, Ceutrones, Catoriges, Varagri, Nantuates, il lago Lemano (attraverso il quale scorre il Rodano) e la sorgente stessa del Rodano.”

Ma (Polibio) nomina solo quattro passi sopra i monti: il passo dei Liguri (quello che è più vicino al Tirreno), poi quello dei Taurini, ove passò Annibale, poi quello dei Salassi, e il quarto, quello dei i Reti…”

Virgilio, nella IV Georgica v.371 sgg. Ci parla poeticamente descrive il Po: “Con le due corna dorate sulla fronte taurina, l’Eridano, che nessun altro fiume attraverso la fertile campagna, sfocia impetuoso nel mare purpureo”. Volto taurino e corna dorate sono simbolo di potenza e fertilità.

Polibio trae molte notizie dagli Annali in greco di Lucio Cincio Alimento e di Quinto Fabio Pittore, quasi del tutto perduti. Ci dice che Annibale assalì la città più forte dei Taurini (testo greco: ten barutaten polin) e che la espugnò in tre giorni. Tito Livio ci parla di capitale dei Taurini, un dato importante ma confonde Galli con Celti, mentre Appiano parla di Taurasia e correttamente si riferisce ai Celti. Cornelio Nepote è una fonte molto vaga e riassuntiva, tanto da non citare neppure i Taurini e la loro città più forte ma parla comunque della continua guerriglia dei Celti contro Annibale. Non dimentichiamo i vantaggi e i pregi di Polibio: era un generale greco capo della cavalleria o ipparco, o comandante in seconda dell’esercito della Lega Achea, prigioniero a Roma per diciassette anni ma uomo di notevole cultura; s’intendeva quindi di tattica e strategia. Tutti gli altri autori erano uomini di lettere e inoltre Polibio è il più vicino agli avvenimenti narrati e utilizza fonti di prima mano, poiché Cincio Alimento fu prigioniero di Annibale ed ebbe modo di conoscerlo mentre Fabio Pittore combatté sia gli Insubri che Annibale stesso. I Taurini avevano un territorio che a nord confinava con i Salassi, a est con i Libii (Vercelli) e con gli Insubri, a sud con varie tribù liguri e ad ovest arrivava fin sui passi alpini.

Polibio, pur mantenendo il segreto militare sull’itinerario di Annibale, ci indica che costui fu in cima alle Alpi al tramonto eliaco ad ovest delle Pleiadi e quindi siamo nel pieno dell’autunno poco prima dell’aratura delle terre e dopo la vendemmia. Alla latitudine delle Alpi potrebbe essere tra il 26 ottobre e l’11 novembre 218 a.C. Erano anni più caldi della media (periodo caldo romano) anche se Livio parla di neve già dura ricoperta da uno strato di neve fresca.

Di certo sulle cime poteva esserci già un innevamento e quindi il Col Clapier o di Savine-Coche e la parte alta della Val Savine, ove si ritiene che Annibale sia passato, poteva essere innevata e sotto, la ripida mulattiera verso Val Clarea, poteva certamente attraversare pezzi altamente franosi o frutto di vecchie slavine. Tra l’altro dal colle Savine-Coche, poco distante dal Col Clapier, si ha un buon panorama della Val di Susa fino a Torino e oltre, nelle giornate limpide di vento. Polibio dice che per rincuorare i soldati Annibale fece vedere loro la pianura in direzione di Roma e che le Alpi facevano come un’acropoli sotto cui si stendeva la meta e Livio pure ci parla di questo posto panoramico. L’unico punto delle Alpi ad avere tale campo visivo è il colle di Savine-Coche.

Tuttavia, Theodor Mommsen, pur caldeggiando come vie più brevi il Colle del Piccolo San Bernardo oltre al Monginevro e omettendo la visione sulla pianura che da tali passi non si gode, osserva giustamente che Annibale prese la via più breve per attraversare le Alpi e la val Savine è la più breve perché in 120 Km. da Chambery si arriva a Termignon con 6-7 Km. in più fino al lago di Savine; da Grenoble al Monginevro sono circa 129 Km. e da Chambery al Piccolo San Bernardo sono 133 Km. La via più breve è il Colle di Savine-Coche e forse anche la meno esposta ad attacchi di guerriglia. (Th. Mommsen - Storia di Roma antica - ed. Sansoni vol.I Tomo 2 p. 719 -725).

All’epoca dei Taurini e di Annibale, al posto del Moncenisio si seguiva l’itinerario Valle dell’Arc-Termignon-Piccolo Moncenisio, Valle di Savine, col Clapier o Col Savine-Coche, Val Clarea, Susa e al posto del Monginevro (Druentia, Matrona) che già esisteva, praticato dai Romani solo successivamente, vi era l’itinerario più battuto tra Oulx-Vazon-Cotolivier-Passo Desertes- (anche da Desertes) -Plampinet-Brigantium o Briançon oppure da Beaulard verso il passo d’Arbour.

Il commento del Cibrario p. 38-39 della Storia di Torino volume I, è molto preciso.

Giustamente parla della guerriglia celtica e dice che il 15 novembre era già a valle. Certo, il fatto che Annibale espugnò la capitale dei Taurini e non passò oltre per poi assediarla successivamente, depone per un problema militare da risolvere comunque e non è escluso che i Taurini si fossero alleati con Salassi e Libii; inoltre, ci mise tre giorni, un fatto importante per un agglomerato che poteva somigliare a un paese fortificato; non solo, diede un esempio terrificante con l’uccisione dei prigionieri e ciò denota la paura di essere assalito ancora. Del resto, i Romani stavano bruciando le tappe per sottomettere più Galli e Celti possibile, al loro volere. Ecco la fretta di Annibale.

Luca Guglielmino

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Articolo pubblicato il 12/01/2023