L’EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Francesco Rossa: Il salutare tramonto del globalismo

La sfida che ci attende

Ci lasciamo alle spalle un 2022 da non rimpiangere. Non siamo di certo in grado di tracciare un’analisi storica attendibile, ma intendiamo soffermarci sui fatti epocali che hanno cambiato in peggio la nostra vita e che in ogni caso c’inducono alla riflessione.

In primis il Covid, con tutte le sue implicazioni, umane, politiche, cliniche e speculative.

La guerra che sta incidendo prepotentemente sulla vita di ogni giorno, con l’impennata dei prezzi, le nuove povertà emergenti e le tante incognite.

Le conseguenze dell’economia globalizzata che manifesta limiti e negatività a scapito della sopravvivenza delle nostre aziende e dell’economia dei Paesi europei.

In più, abbiamo potuto darci risposta su molti fenomeni e comportamenti che, dopo anni di navigazione più o meno sotterranea, ora stanno esplodendo.

Dove ci ha condotto la ripulsa della cultura umanistica e della tradizione cristiana in Europa, meticolosamente perseguita da parte delle sinistre, che contestualmente esaltano l’Islam ed il terzomondismo, quale faro del prossimo futuro da contrapporsi, attraverso ogni mezzo, alla civiltà cristiano celtica, abolendo simboli, credenze e ricorrenze?

Qual era il fine della presa di distanza dai valori dell’Occidente, con la distruzione anche fisica, oltreché culturale delle vestigia del passato, l’oscuramento di valori e ricorrenze religiose, la modifica delle dizioni in uso comune, dal buon Natale ridotto a “buone feste”, sino al divieto di esporre il presepe nelle scuole e all’abolizione della dizione padre e madre sui documenti ecc.?

Il tutto si è palesato nel risvolto infimo della corruttela politica internazionale, ostentato dalle vestali dell’anticiviltà, che fa prepotentemente emergere, in quale direzione queste scelte ci stavano portando e cosa abilmente ricoprivano.

C’è stato chi, astutamente guidato e sostenuto, metteva  in atto ogni mezzo e sforzo per aprire le porte alla legittimazione di società barbare ove religione, diritti civili e stili di vita occidentali, vengono brutalmente repressi, per favorire l’ingresso di quei paesi, alfieri della negazione dei diritti umani, dell’inciviltà e del business, nel novero dei Paesi accolti e finanziati dall’Unione europea, per farci perdonare gli ostracismi del passato.

Questa politica suicida, non dobbiamo dimenticare, ha causato anche risvolti pesantissimi per la nostra economia e non solamente etici. Si pensi alle delocalizzazioni produttive, anche benedette dai massimi esponenti dei passati governi.

Qual è stato lo sconcertante risultato? Non siamo più autonomi in produzioni strategiche, dall’acciaio, all’ energia, ai componenti elettronici. Covid e guerra ci hanno dimostrato i condizionamenti che i Paesi tanto idolatrati, Cina in testa, hanno causato alle nostre aziende, fiaccate di conseguenza dalle mancate consegne e dall’aumenti vertiginoso dei prezzi delle materie prime e di componenti importati.

In Francia è stata vietata la vendita online di paracetamolo, ossia il principio attivo della Tachipirina, perché ce n’è poco in giro per il mondo. Anche qui, molti problemi vengono dalla Cina: non solo perché lì i casi di covid stanno esplodendo, ma perché abbiamo appaltato a Pechino pure la produzione di gran parte del principio attivo usato nel mondo. Forse è il caso di rivedere il nostro sistema degli scambi mondiali.

Il popolo italiano, pur non essendo ancora emersi, nella loro totalità, i comportamenti criminali che tiravano le fila del Qatar gate, benedetti dal PD, schifato dall’operato e l’indirizzo dei due famigerati governi Conte, aveva già dato un’indicazione politica di segno opposto, alle ultime elezioni del settembre scorso, sconfessando il catastrofismo peloso delle sinistre. E’ stata, nei fatti, una scelta politica che comporterà pesanti riflessi etici ed economici.

Dopo avere immaginato, a ridosso delle ultime elezioni e della vittoria del centrodestra, sfracelli e cataclismi, certa “buona informazione”, visti i risultati, sembra ora votarsi ad una sorta di minimalismo cultural-politico ugualmente fuori dalla realtà.

Qualcuno nel recente dibattito parlamentare non si è ancora reso conto che dopo dieci anni dal blitz che troncò l’operatività del governo Berlusconi, in Italia ora governa la coalizione che ha ottenuto il suffragio elettorale da parte degli elettori. E questa maggioranza responsabile, dovrà anche, se vuole essere conseguente, modificare le storture del passato.

Scendendo tra i filoni degli ostracismi avanzati dalla pseudo cultura contiana e boldriniana, soffermiamoci sul “sovranismo”.

Era considerato una sorta di dannazione nazionale, di fronte ad un mondo avviato lungo i “felici” percorsi della globalizzazione e dell’integrazione delle economie e delle culture. Il “sovranismo” viene oggi letto come una risposta “periferica” dai bassi orizzonti strategici e geopolitici.

Quale potrebbe rappresentare la sfida per uscire dal gioco del conformismo?

  

 

L’impegno e la perseveranza volti al perseguimento del “Bene comune”, senza condizionamenti e paraocchi.

Perché il mondo sembra andare nella direzione esattamente contraria rispetto all’utopia globalista. E proprio sulla base di una realtà fattuale di cui certi osservatori benpensanti non sembrano voler tenerne conto.

Che il “globalismo”  non abbia goduto di  particolari fortune lo dicono una serie di ragioni che proprio nel 2022 hanno trovato concreta visibilità:  le nuove limitazioni allo spostamento di merci e persone; il tramonto del  mondo interconnesso dell’informazione senza confini, a fronte di  una guerra parallela, quella delle new e di una nuova Rete che invece di globalizzarsi crea nuove cortine di ferro digitali; l’impatto demografico; il  riorientamento geopolitico dell’Europa destinato a spostare sempre di più il suo asse strategico verso il Mediterraneo; le diversificazioni in campo energetico; la sfida dell’autonomia strategica nel campo della sicurezza energetica, della sicurezza cibernetica e dell’economia digitale.

All’ordine del giorno degli Stati è il venire meno della speranza che il mercato globale avrebbe reso universale un’unica visione del mondo. A dirlo – si badi bene – non è qualche intellettuale “sovranista”, ma le opinioni pubbliche internazionali, analizzate da Ipsos, il cui sondaggio, svolto in 33 nazioni, è stato pubblicato da “Domani” (Enzo, “Il pericoloso spettro dell’iper egoismo nazionale aleggia sul mondo”, “Domani”, 27 dicembre 2022).

Secondo questa inchiesta il 79 per cento dei cittadini delle realtà monitorate ritiene, oggi, che sia giusto concentrarsi prioritariamente sul proprio Paese e occuparsi meno di quello che accade nel mondo. La classifica è lunga, ma le tendenze sono ben chiare. Ai vertici l’Indonesia, con il 90 per cento, seguita dal Sud Africa e dalla Corea del sud (89), dalla Malesia e il Perù (87), dalla Romania e dalla Turchia (86).

In fondo alla classifica, con numeri comunque molto significativi l’Italia e la Germania (70) per i cui cittadini è necessario pensare meno al mondo, concentrandosi sui problemi nazionali.

Scendendo nel dettaglio: il 70 per cento degli italiani ritiene che la mondializzazione abbia generato svantaggi per i popoli e vantaggi solo per i super ricchi che manipolano i mercati, le OnG e l’informazione; il 64 per cento ritiene che le dinamiche dei mercati globali stiano uccidendo la nostra economia e il 68 per cento avverte la globalizzazione come una minaccia distruttiva della nostra cultura.

A questi tratti si associa una perdita di fiducia verso l’Unione Europea (scesa dal 59 per cento di fine 2020 al 53 per cento di dicembre 2022).

Sono numeri che debbono far riflettere, in particolare quanti, negli ultimi decenni, hanno fondato sulla globalizzazione le nuove sorti e progressive dell’umanità. Non tutto – al contrario – pare definito su questi crinali. A sfarinarsi è la cultura dell’astratto, a fronte di una nuova domanda di concretezza e di identità, maggioritaria a livello delle singole nazioni.

Un vecchio mondo è al tramonto, con le sue facili illusioni globaliste, egualitariste, taumaturgiche. Politica, economia, tenuta sociale, cultura dell’appartenenza sono in discussione. Con forti domande identitarie, nuove suggestioni tecnologiche, orizzonti post industriali, aspettative di sintesi, segno di un tempo in cui tutto va ricomposto. Certamente su nuove basi.

Gli ultimi fatti di cronaca lo dimostrano. La sinistra globalista e corrotta è a pezzi, alla ricerca di un’identità che non è in grado di ritrovare i valori, perché schiava del cinismo del potere, da conseguire a qualsiasi costo e mezzo.

L’avanzata intelligente e strategica del governo voluto dagli elettori, dovrebbe  liberarci dalle incrostazioni del passato e potrà prospettarci una strategia che non rinnega i nostri valori per cimentarsi anche con il concorso di altri Paesi a ridare smalto all’istituzioni comunitarie, nate con ben altri presupposti per ergersi tra i colossi dell’Est, dell’Ovest e dell’Oriente che nelle loro lotte di predominio, individuano l’Europa e l’Italia quale ventre molle per negare l’indipendenza economica e produttiva, propria della globalizzazione.

Torniamo ai valori della nostra Civiltà, protesi ed a testa alta al confronto con il mondo!

Questa è la sfida che ci attende.

 

Francesco Rossa

Condirettore Responsabile e Direttore Editoriale

 

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Articolo pubblicato il 15/01/2023