La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Feroce delitto in un elegante alloggio di via Artisti

C’è un elemento ricorrente nei cold case di donne anziane uccise nella loro casa dove vivono da sole: quello della scoperta della loro uccisione da parte di un figlio che va a far loro visita oppure che accorre a controllare la situazione, insospettito dal loro prolungato silenzio.

Una situazione del genere l’abbiamo descritta in precedenza, nel caso della pellicciaia Elena Debernardi, nel caso di Maddalena Panitteri e ora lo vediamo ripetersi nel caso di Casimira Pavesio.

È il mattino di venerdì 8 maggio 1987, quando verso le 9:00, Marcello Bellia, commerciante di 43 anni che abita a Pianezza, si reca a casa della madre, Casimira Pavesio, di 72 anni, che vive da sola in un alloggio al quarto piano di un elegante palazzo di sei piani in via degli Artisti al civico 19, in Borgo Vanchiglia, all’angolo con via Michele Buniva.

Il giorno precedente, Marcello Bellia ha cercato la madre al telefono per un ultimo saluto. Sapeva che lei doveva recarsi, per cure termali, a Salsomaggiore. Ha provato una prima volta, lei non ha risposto, ha riprovato sul tardi, ancora nulla. Si è preoccupato e così, al venerdì, ha suonato invano alla porta di via Artisti. Aveva le chiavi, ha aperto l’uscio. La porta blindata era chiusa soltanto col mezzo scatto. In fondo all’ingresso, a sinistra, si trova la camera da letto. Qui Marcello ha trovato la madre stesa sul letto, seminuda. Inizialmente ha pensato a un malore, poi ha scoperto dei segni attorno al collo e ha chiamato la Polizia. Al tempo, il capo della Squadra Mobile, è Piero Sassi mentre Aldo Faraoni è a capo della Sezione Omicidi.

Occorre mettere a fuoco la figura della morta.

Casimira Pavesio, di 72 anni, vedova da undici, non aveva problemi finanziari. Era in pensione dopo una vita di lavoro conclusa con la qualifica di dirigente presso l’Istituto Bancario San Paolo di Torino dove è stata occupata dal 1949 al 1973. La sua sicurezza economica emerge dall’alloggio curato, con tappeti, mobili d’antiquariato, quadri e soprammobili di valore nella camera da letto.

I vicini parlano di una signora molto cortese, ma di poche parole: «Buon giorno» o «Buona sera»: un modo di vivere tipicamente torinese.

Casimira Pavesio amava vestirsi con eleganza, spesso con colori giovanili. Aveva una gran voglia di vivere: «I viaggi, poi molti amici. - dicono i vicini - Andava a ballare, si sentiva giovane, dimostrava 15 anni in meno». Non voleva invecchiare. In salotto teneva un album di foto dei suoi numerosi viaggi, in America, nel Paesi del Nord Europa, all’Est. Sempre i vicini raccontano che a Torino stava poco: «Amava viaggiare, d’inverno spesso andava al mare».

Giovedì mattina aveva programmato di partire per cure termali a Salsomaggiore: la valigia già pronta nell’ingresso, dietro la porta, le poltrone del salotto coperte con un telo bianco, su un mobile della camera da letto le ultime cose da mettere in borsa.

Occorre considerare con attenzione la scena del crimine. L’alloggio appare in ordine, senza segni di lotta o di furto. Inizialmente pare non manchi nulla, in seguito si parlerà della scomparsa di un bracciale d’oro e di 380.000 Lire.

Casimira Pavesio è stata aggredita nella sua camera da letto, picchiata a sangue e, poi, soffocata o strangolata. Un litigio? Nessuno ha sentito gridare. È stata picchiata: ha perso sangue da un orecchio, poi altre lievi lesioni al volto.

La successiva perizia del professor Baima Bollone conferma che qualcuno ha colpito al volto la donna, lei si è difesa, forse è caduta, una botta alla testa lo prova. E l’assassino le ha stretto le mani attorno al collo, strozzandola. Lei ha tentato di difendersi, potrebbe aver graffiato il suo aggressore.

Da sottolineare che le cronache de La Stampa e Stampa Sera riferiscono la scena del crimine con una certa reticenza. Alcune importanti informazioni compaiono soltanto dopo anni. Ulteriori dati si possono ricavare da altri giornali.

Sulla scena del crimine si trova del liquido seminale, verosimilmente dell’assassino, tanto che la Repubblica e l’Unità nel dare la notizia, parlano di violenza carnale, salvo smentire nei giorni successivi.

La Polizia accerta che la porta non presenta segni di scasso, le finestre sono chiuse. O l’assassino aveva le chiavi, o più probabilmente, è stato fatto entrare dalla stessa signora Pavesio. Il delitto, secondo il professor Baima Bollone, è avvenuto nella sera di mercoledì 6 maggio. La vittima aveva già cenato, stava preparandosi ad andare a letto.

Emerge così l’ipotesi investigativa che domina questo caso. Casimira Pavesio sarebbe stata uccisa da una persona che conosceva e della quale si fidava, alla quale lei stessa avrebbe aperto la porta nella tarda sera di mercoledì. Era in vestaglia: secondo gli inquirenti questo abbigliamento per lei inusuale, visto che amava farsi vedere sempre in ordine, truccata e con abiti freschi di tintoria, indica che con quella persona era in grande confidenza.

Si indaga tra le sue amicizie, anche perché qualcuno ha affermato che «A volte invitava gente in casa». Queste considerazioni mettono in ombra l’ipotesi alternativa di un omicidio per rapina, di un malvivente che non le ha dato nemmeno il tempo di reagire, dopo essere entrato con la scusa di un pacco o un mazzo di fiori da consegnare.

La linea investigativa della Squadra Mobile, che l’assassino appartenga alla cerchia di amicizie della vittima, pare concretizzarsi fin dal giorno seguente.

Inizialmente i giornali parlano di un amico di Casimira Pavesio del quale la Polizia non rivela il nome, identificato nei giorni seguenti come Michele Palmieri, di 63 anni, operaio meccanico in pensione, padre di quattro figli, due femmine e due maschi, trattenuto in Questura per chiarimenti e per collaborare alle indagini.

Michele Palmieri da alcuni anni intratteneva con Casimira Pavesio un rapporto poco decifrabile. Si sono conosciuti nella sala da ballo Garden e hanno stretto amicizia: «Ma nessuna relazione, solo semplice amicizia - insiste Palmieri -. È vero, ci vedevamo anche nella sua abitazione, ma non c’è stato niente di più». In casa l’avrebbe soltanto aiutata per «qualche lavoretto». L’uomo sostiene di aver visto Casimira al martedì mattina, per dirle che il giorno seguente intendeva recarsi a Bologna, in auto. È tornato venerdì sera e di notte, sotto casa, è stato fermato dagli agenti. Soltanto negli uffici della Mobile avrebbe appreso dell’uccisione di Casimira Pavesio.

L’elemento più pesante a carico di Michele Palmieri sono i graffi che ha sul viso. Secondo i giornali coevi, lui sostiene di esserseli procurati facendosi la barba. Si apprenderà in seguito che Palmieri spiega agli inquirenti di essere stato graffiato da un cespuglio di rovi, durante una passeggiata al Parco della Pellerina, e mostra loro il punto dell’incidente. Loro sono convinti che sia stato graffiato dalla vittima, in un disperato tentativo di difesa mentre le stringeva le mani alla gola.

Considerano anche strano il suo comportamento in concomitanza col delitto. Lo hanno cercato al venerdì, appena il suo nome è emerso dalle prime indagini. Lui non era in casa e gli stessi parenti si mostravano stupiti della sua assenza: «Non sappiamo dove sia, non riusciamo a capirlo».

Gli inquirenti ritengono che fra Michele Palmieri e Casimira Pavesio sia scoppiata una lite per un tentativo di violenza carnale, come autorizza a pensare la presenza di liquido seminale, conclusasi tragicamente. Dopo l’omicidio, Palmieri avrebbe compiuto l’inspiegabile viaggio a Bologna per non farsi vedere dai familiari mentre era ancora sconvolto.

Lunedì 11 maggio alle 12:00, il sostituto procuratore Diana De Martino notifica a Palmieri un ordine di cattura per omicidio volontario: è accusato di avere ucciso, strangolandola, Casimira Pavesio.

Sui giornali appare la sua foto, male in arnese, con la barba non rasata dopo i tre giorni di fermo in Questura. Si apprende che anche davanti alla dottoressa De Martino, Palmieri non ammette nulla, nega qualsiasi addebito e ribadisce di essere estraneo all’omicidio.

Durante la detenzione, viene sottoposto a perizia psichiatrica (La Stampa, 17 giugno 1987).

Un’altra perizia accerta che sotto le unghie della vittima non vi sono tracce riconducibili a Palmieri.

Il liquido seminale, trovato sulla scena del crimine, viene inviato a un laboratorio in Inghilterra per l’esame del DNA. La risposta non appare decisiva perché il liquido era in parte avariato.

Palmieri è rimesso in libertà dopo più di sedici mesi di carcere, ma non scagionato: secondo la nuova normativa sulla detenzione, non ci sono più esigenze di tenerlo in carcere. Non può risiedere a Torino, dovrà scegliersi un’altra residenza e firmare in caserma dei Carabinieri, secondo La Stampa di venerdì 23 settembre 1988.

Palmieri è definitivamente scagionato soltanto nel 1991. Il 7 aprile La Stampa gli dedica l’articolo Sedici mesi in cella innocente a firma di Nino Pietropinto. Le sue dichiarazioni sono riportate con una certa cautela nei confronti degli investigatori torinesi. Noi le abbiamo in parte già anticipate, come ad esempio i graffi provocati dai rovi e non da una lametta da barba. In questa intervista non tutti gli indizi a carico di Palmieri sono da lui chiariti, ad esempio non parla del suo misterioso viaggio a Bologna. Il cronista sottolinea che è un uomo distrutto: la famiglia è stata annientata dallo scandalo e lui, rimasto solo, è tornato al suo paese in Puglia, in cerca di pace.

Questo caso appare particolarmente oscuro. L’uomo che rappresentava un colpevole compatibile con una ricostruzione logica è stato scagionato dalla giustizia.

L’apertura della porta, a tarda sera, in vestaglia, può essere spiegata agevolmente soltanto nel caso di un amico o di un conoscente in grande confidenza. È difficile ipotizzare altri sistemi per farsi aprire la porta, a meno di pensare che l’assassino si sia presentato come un appartenente alle forze dell’ordine oppure un Vigile del Fuoco, incaricato di controllare qualche emergenza, come una fuga di gas. La presenza del liquido seminale evoca aspetti sessuali non chiariti a sufficienza.

È stata accertata la scomparsa di un bracciale d’oro e di 380.000 Lire, ma questo non pare sufficiente per parlare di omicidio per rapina. Anche nell’ipotesi di un maniaco, di uno squilibrato, di un serial killer, si può pensare che questa refurtiva rappresenti una sorta di trofeo, di feticcio.

È un volo pindarico di fantasia?

È un altro volo ipotizzare che Casimira Pavesio, la signora che secondo la Repubblica «non si era rassegnata ad invecchiare», avesse qualche amico molto più intimo di quanto lo fosse Michele Palmieri, ma il suo nome non è emerso perché volutamente tenuto in ombra dalla stessa donna.

Per approfondire la vita intima della vittima, gli inquirenti disponevano di fonti realmente adeguate?

Michele Palmieri ha avuto la disgrazia di corrispondere fin troppo alle caratteristiche dell’assassino giustamente ipotizzato dagli inquirenti. Il vero assassino è riuscito a restare in ombra.

Casimira Pavesio attende ancora verità e giustizia.

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Articolo pubblicato il 03/03/2023