Le decisioni del Governo sul superbonus, sono dettate da responsabile realismo

La misura introdotta dal secondo governo Conte è già costata allo Stato oltre 70 miliardi, senza considerare l’enorme mole dei crediti incagliati.

La prudenza ha sempre un costo, persino politico. E il colpo di spugna di Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti sul superbonus, non fa eccezione alcuna.

La drastica decisione assunta da Palazzo Chigi, lo scorso giovedì, che ha sensibilmente modificato le regole della misura introdotta dal secondo governo Conte, meglio nota come “superbonus” sotto forma di agevolazione fiscale per gli interventi di ristrutturazione che migliorano l’efficienza energetica di case e condomini, ha sollevato la protesta di tutte quelle imprese che hanno sostenuto il costo dei lavori, per poi cedere il credito oppure applicato lo sconto in fattura e in attesa del rimborso da parte dello Stato.

A proteste ragionevoli e motivate dalle parti in causa, sono seguite reazioni sguaiate da parte di Giuseppe Conte, il vero responsabile dell’attentato ai conti dello Stato. Il problema è che i numeri raccontano la storia vera, che conduce direttamente tra all’unico vero nemico della crescita: il debito pubblico.

L’Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie e la sostenibilità, sostiene che dal 2020 al 31 gennaio 2023 sono stati autorizzati 372.303 cantieri per un importo complessivo di 65,2 miliardi di euro e un costo a carico dello Stato di 71,7 miliardi di euro. Denari a cui vanno aggiunti gli enormi stock di crediti incagliati, anche in pancia alle banche che, tra le altre cose, hanno esaurito le munizioni per anticipare la cassa alle imprese.

Negli ultimi anni i limiti e i problemi di questa misura sono emersi in modo piuttosto chiaro: oltre a costare moltissimo allo Stato, la versione originale del superbonus era poco equa perché ha portato benefici limitati in termini di emissioni risparmiate, ha falsato il mercato dei materiali edili che hanno iniziato a costare moltissimo, ha favorito le frodi. Inoltre, in assenza di coperture, i miliardi di spesa sostenuti dallo Stato, sono destinati a trasformarsi inevitabilmente in deficit e dunque, entro fine anno, in debito.

Questo sia a Palazzo Chigi, sia a Via XX Settembre, lo sanno fin troppo bene e Giorgetti ha messo le mani avanti. Perché se oggi lo Stato deve sostenere oltre 70 miliardi di spesa per il bonus (più i 15 miliardi di crediti incagliati che vanno liquidati alle imprese) e non può, giustamente, aumentare le tasse, da dove arriveranno i soldi per la prossima manovra?

Non si può certo pensare di scardinare l’ultimo Documento di economia e finanza, che fissa il disavanzo nel 2023 al 4,5% o di ipotecare il futuro dei giovani, ben oltre i 2 mila euro già stimati dal premier. Pare difficile per il Governo, andare in Europa e raccontare che l’asticella del deficit va alzata perché non si può fermare il superbonus.

Sulla misura che porta la firma del M5S, non mancano le critiche.

Carlo Cottarelli, economista ed esponente dem, sostiene. “Che ci fosse un problema nel provvedimento originario era chiaro a tutti”, ha candidamente ammesso in una dichiarazione “Chiaramente c’era la necessità di sostenere il settore delle costruzioni e si dovrà ancora intervenire, tenendo conto che abbiamo il problema del rinnovamento dei nostri edifici. Però un bonus al 110% che poteva essere utilizzato con la cessione è una modalità troppo generosa e troppo costosa per lo Stato. Quando consenti di avere gratis, anche in caso di redditi elevati, i lavori effettuati in casa, che rendono un immobile più bello e il proprietario ci guadagna è chiaro che la domanda per quel tipo di incentivo diventa troppo alta”.

Già Mario Draghi nei mesi scorsi aveva denunciato che troppe frodi si stavano consumando all’ombra del Superbonus che da solo ha aperto una falla nei conti pubblici da 120 miliardi, che rischiava di mandare in default il bilancio dello Stato e che è finora già costato 2.000euro a ogni cittadino.

Fermarsi e rivedere i bonus edilizi è pura saggezza ed è quello che il Governo Meloni ha fatto, anche se le modalità del ravvedimento sono tutte da esplorare.

A lanciare l’allarme, purtroppo inascoltato, già due anni fa sulla eccessiva generosità del superbonus ci aveva pensato l’economista Giuseppe Pisauro da presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), l’organismo indipendente che si occupa di produrre analisi e verifiche sulle previsioni macroeconomiche e finanziarie effettuate dal governo. La principale difficoltà riscontrata era quella di “prevedere l’effettivo impatto dei maggiori incentivi sulle decisioni di spesa, circostanza resa più problematica dal fatto che il Superbonus per la prima volta copre integralmente i costi, con massimali di spesa agevolabile più elevati rispetto a quelli previsti per altri interventi di incentivo riguardanti gli immobili”.

La premier Giorgia Meloni domenica, nel suo ormai tradizionale appuntamento social, col quale ha interrotto il silenzio della convalescenza post influenza, ha difeso e provato a spiegare il perché della decisione presa. "In Consiglio dei ministri siamo tornati a occuparci della vicenda del Superbonus e l'abbiamo fatto per cercare di sanare una situazione diventata ormai fuori controllo", ha detto, parlando del decreto sulla cessione dei crediti. "La bolla dell'aumento incontrollato delle spese si è gonfiata così tanto che questo meccanismo al momento ha un costo totale di 105 miliardi di euro, pesando su ogni singolo italiano per circa 2.000 euro. Anche chi non ha una casa, un senza tetto, un neonato, ha sulle spalle la spesa di duemila euro", ha affermato il premier. "Il Governo ha proposto come soluzione di portare il superbonus dal 110 al 90 per cento e allungare da 5 a 10 anni il periodo per smaltire questi crediti. Ma non consentiremo l'acquisto di questi crediti da parte della pubblica amministrazione" spiega, per poi concludere che “attualmente è di 9 miliardi di euro il totale delle truffe messe in atto".

Come promesso dal Governo, nel pomeriggio di ieri si è iniziato il confronto del governo con le banche Abi, Cdp e Sace, per verificare, pur nell’ambito delle decisioni  assunte, le disposizioni che potrebbero salvare la vita delle aziende delle settore coinvolto, come pure l’occupazione.  A pochi giorni dalla stretta sui bonus edilizi il governo deve trovare una soluzione volta a trovare 24-25 miliardi di liquiditá per evitare il fallimento di 25.000 imprese, il blocco definitivo di 90.000 cantieri e la perdita di 130.000 posti di lavoro. In rappresentanza dell'esecutivo, ci sono il sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano e i ministri Giancarlo Giorgetti, Adolfo Urso e Gilberto Pichetto Fratin.

Sul Superbonus "la grande questione è data dai crediti incagliati". Secondo il ministro dell'Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, "il problema è che le imprese hanno in pancia più di 15 miliardi di credito verso lo Stato e non riescono a incassare. Un credito che potrebbe determinare il fallimento di queste imprese". Il ministro ha quindi garantito che "siamo pronti come governo a chiedere una valutazione".

Sulla questione è intervenuto anche il viceministro al Mit, Edoardo Rixi, parlando a margine del convegno 'Rigenerazione Urbana: oltre il passato la nuova Liguria'. "Un intervento di Cdp è una delle ipotesi allo studio", ha detto. "È evidente che chi si occupa della finanza pubblica in un Paese la prima cosa che deve fare è riavocare a sé tutti i crediti per capire quanti sono da pagare - afferma - Dopodichè l'intenzione del governo è far fronte al pagamento nei confronti delle imprese, cosa che a oggi era bloccata comunque, perché le banche non intendevano più pagare i crediti temendo per i loro bilanci".

Prima di qualsiasi decisione, il governo aspetta il parere definitivo di Eurostat che dovrebbe arrivare mercoledì, per sapere quale criterio vale per il calcolo degli sconti fiscali ai fini dei conti pubblici.

L’incontro interlocutorio si è concluso nel tardo pomeriggio. “Samo soddisfatti, abbiamo trovato un confronto franco, una apertura e anche una grande consapevolezza da parte del governo che vanno sbloccati i crediti pregressi e quindi un'apertura sull'F24 che era una delle misure proposte da noi». Lo ha detto la presidente di Ance, Federica Brancaccio, lasciando palazzo Chigi dopo l'incontro sul decreto che ha bloccato la cessione dei crediti fiscali dei bonus edilizi.

Il ministro dell'economia Giorgetti, riferiscono i partecipanti al tavolo, ha indicato la disponibilità ad intervenire attraverso le banche con il meccanismo della compensazione con gli F24.Soddisfatti, ma ora bisogna subito aprire un tavolo tecnico per il futuro”, ha commentato Brancaccio. “Non c’è più tempo”.

 

 

 

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Articolo pubblicato il 21/02/2023