Sul diverso modo di pensare dei greci e dei cristiani: Confronto - Difformità

Un contributo del Prof. Antonio Binni, Gran Maestro Emerito della GLDI

 

di Antonio Binni

 

Ricostruire il pensiero greco nella sua complessa totalità, lungi dall'essere soltanto una pura e semplice curiosità (per quanto invero del tutto legittimo) si prospetta al contrario come una necessità doverosa, dal momento che questo tipo di pensiero ha costituito pur sempre le radici di tutta la cultura più alta dell'intero Occidente.

 

Soprattutto si raccomanda perché consenta di misurare la distanza che separa quel tipo di pensiero da quello che oramai da due millenni è divenuto invece il pensiero dominante, inoppugnabilmente qualificato come cristiano.

 

Volendo tentare un confronto fra le due diverse modalità di pensiero (indagine importante anche dal semplice punto di vista storiografico) non rimane che affrontarne lo svolgimento, limitando però l'analisi allo stretto necessario. Del resto anche la mancanza di spazio e gli evidenti motivi di opportunità suggeriscono, se non addirittura impongono, di agire in tal modo.

 

La trattazione sarà pertanto circoscritta unicamente a quei dati che, a chi scrive, sono apparsi come i più qualificati e qualificanti al fine che ci si è proposto: far emergere proprio le differenze fra i due tipi di pensiero che hanno illuminato il mondo nella sua evoluzione fino ai giorni nostri. Distinzioni importanti perché hanno costituito codici di comportamento dell'uomo, che ne è naturalmente privo.

 

L'esame volto a mettere in luce, fra i tanti punti, la diversità di vedute esistenti fra le due modalità di pensiero premuroso si muove, innanzi tutto, dal diverso modo di concepire che greci e cristiani hanno del mondo . Per il greco antico il mondo non aveva una data di nascita, né era destinata a una fine. Il mondo, per definizione, venne concepito come eterno.

 

Non lo si pensava come creato su di una materia preesistente da una divinità, ma solo plasmato, visto che il demiurgo, come insegnava Platone, non era una divinità, ma solo un artigiano. Nella mentalità greca era addirittura inconcepibile una creazione ex nihilo , così come invece enunciato dal pensiero cristiano.

 

Per il greco, infatti, il vasaio opera sempre sulla materia, posto che l'assenza di materia, nell'ottica qui riferita, coincide con il nulla. La natura sacra del mondo propria del cristianesimo è perciò completamente sconosciuta al pensiero greco che, come già detto, non ne ammetteva nemmeno una fine, così come invece sostenuto dal cristianesimo.

 

I due pensieri divergono profondamente anche sul concetto di natura . Per il greco la natura è un elemento preesistente, assolutamente neutro, un dato immutabile del quale l'uomo fa intrinsecamente parte, nel quale si trova immerso, da accettarsi tuttavia con una paura latente per l'imprevedibilità che nasconde il divenire.

 

Per il pensiero cristiano tutto ciò che riguarda la natura è invece sacro in quanto oggetto diretto dell'atto creativo di Dio. La natura dunque è per definizione buona. Concezione, in sintesi, del tutto positivo, a differenza del pensiero greco che non la qualifica, ma la valuta comunque con apprensione e diffidenza proprio per quello che può causare. Nel pensiero cristiano (è opportuno insistere trattandosi di un punto estremamente qualificante) la natura "buona" è poi un principio così fermo e radicato da essere stato perfino accolto, e ribadito, dal filosofo più laico. Si intende dire Spinoza che, quando pone come trave portante della sua riflessione la famosa frase " Deus sive natura ", non ha infatti mai materializzato la divinità, come invece qualcuno ha erroneamente sostenuto.

 

All'opposto, Spinoza ha voluto invece proprio divinizzare il mondo. Con quella frase il filosofo ha infatti voluto ribadire che la natura è divina e pertanto, in quanto sacra, deve essere compresa e amata.

 

Anche sul tempo v'è una profonda discrepanza. Per l'uomo greco il tempo ha infatti una natura ciclica, coincide pertanto con il ritorno dell'uguale. La sua rappresentazione grafica è costituita dal cerchio. Quella cristiana invece si identifica con una linea retta, proprio a significare che il tempo nasce dalla eternità per poi estinguersi in essa quando l'umanità sarà chiamata al suo giudizio finale. Nascita e morte inconoscibili al pensiero greco che, sul punto, ha la visione meccanicistica dell'eterno ritorno.

 

La differente concezione del tempo esistente fra greci e cristiani ha comportato una marcata differenza anche da un altro profilo oltre modo significativo. I greci, pur ancorando la loro storia alla circolarità e all'eterno ritorno, ferreo cerchio, simbolo della perfezione, hanno idealizzato il passato e assolutizzato il presente, l' hic et nunc , senza, però attribuire alcun rilievo al futuro, avendo tassativo bisogno di sicurezza e di stabilità.

 

Nella mente dell'uomo greco difetta dunque del tutto la speranza che, interpretando correttamente il pensiero dei greci, Seneca intende come un dulce malum , ossia come una sorta di incantesimo proprio perché proietta la vita in un avvenire incerto. La speranza nasce allora solo con il cristianesimo, perché solo il cristianesimo assegna al futuro la parte più importante dell'esistenza, avendo predicato una vita oltre la morte della carne. Un futuro, si noti, indefinito, sconosciuto, ma luogo certo di una abitazione eterna, per di più in termini beati, se l'esistenza terrena è stata indirizzata al bene.

 

Ampio spazio merita la diversità di vedute che grecità e cristianesimo hanno della concezione dell'uomo . L'uomo greco, quando riflette su sé stesso, pensa a un essere destinato alla morte. I greci si indeboliscono infatti come Brotòi , esseri cioè «dotati della facoltà di morire». Questo in netta contrapposizione agli dèi, definiti appunto in negativo come àbrotòi , esseri cioè non dotati della facoltà di morire ( αθ?νατοι ).

 

Nel mondo greco, la morte era considerata un evento naturale, inevitabile, in quanto fine di un ciclo, necessario perché la vita potesse continuare. Era tuttavia considerato un male perché i greci non credevano che, dopo la morte, ci fosse un'altra vita. Al contrario, erano profondamente convinti che li attendesse soltanto l'Ade, un luogo tremendo, visione tragica, tale da escludere a priori la possibilità di una qualsiasi salvezza individuale. L'uomo greco è perciò bruciato dall'amore per la vita perché il presente è la sua unica certezza, dove si gioca il senso di tutta la sua esistenza. Dopo, infatti, non c'è che il nulla, il regno del nulla.

 

Solo una dimenticanza, così temuta ed esecrata da autorizzare a sostenere che la morte, in verità, è una lotta contro l'oblio. Ciò non di meno l'uomo greco ha un profondo orrore della immortalità della carne proprio perché, in quest'ottica, è del tutto innaturale superare il riciclo continuo che la natura fa del corpo dei viventi.

 

S tantibus sic rebus , non desta alcuna meraviglia il rifiuto di Ulisse all'immortalità offertagli da Calipso ( Odissea Libro V, vv. 257-290). Dominato dalla natura, l'uomo greco si sente vittima della Necessità e del destino a tal punto da non credere alla libertà, avvertendo, nel profondo, la particolarità della legge della specie che ignora spiegazioni. Nella visione cristiana invece l'uomo, creatura del Sommo Fattore, è per definizione un essere senziente dotato della libertà, oltreché signore del creato in quanto suo vertice.

 

L'uomo prova dolore .

 

Anche su questo punto le vedute divergono per la diversa rilevanza che si attribuisce allo stesso, per definizione cifra del vivente. Per l'uomo greco il dolore è infatti un male inevitabile che rende evidente la fragilità dell'esistenza umana. Nella visione greca, il dolore riveste pertanto una valenza del tutto negativa, a differenza della concezione opposta che sul dolore ha, al contrario, il pensiero cristiano, che di esso fa un elemento fondamentale, dal momento che lo concepisce come una prova che redime. Da qui deriva la sua essenzialità.

 

Del resto, così si assume, se la perfezione di Dio lo permette, questo non può significare altro che la sua riconosciuta necessità. Argomento, come noto, al quale il cristianesimo fa ricorso puro per giustificare anche la presenza del male, specie quello incolpevole.

 

Rivolgendosi al cielo , i greci hanno elevato a rango di divinità le forze più significative della natura e delle facoltà umane. Zeus è il potere sulla terra; Poseidone, il potere sulle acque; Ade, il signore degli inferi, Apollo, la misura e la bellezza maschile; Ares, la guerra e la violenza; Dioniso, la sfrenatezza e l'istinto; Efesto, il fuoco; Hermes, il commercio e la comunicazione; Atena, l'intelligenza; Afrodite, il piacere e la bellezza femminile; Era, il matrimonio e la famiglia; Demetra, la fertilità; ecc. La caratteristica di tutte queste divinità è la loro beatitudine autarchica, nel senso che, non avendo bisogno di nulla, bastano a sé stesse.

 

La loro attività coincide con l'auto-contemplazione, essendo del tutto appagati del mondo celeste. Di norma, sono totalmente indifferenti nei confronti dell'essere umano. I loro interventi nelle vicende degli uomini sono determinati unicamente dall'arbitrio e dal capriccio, decisivi anche nell'accogliere o nel respingere preghiere e invocazioni. Posto che sono del tutto imprevedibili, per l'uomo greco è preferibile non fidarsi di ciascuno di loro. La loro volontà è infatti inevitabile nel senso che il contrariarla non permette di vivere a lungo.

 

Non sono tuttavia sovrani. Neppure Zeus, perché anche il padre di tutti gli dèi soggiace pur sempre al destino personificato dalla Moira inesorabilmente all'opera già prima della nascita dell'uomo, oltre che decisiva nel decretarne la morte. Zeus viene così ridotto a mero dispensatore del destino. È poi vero che questa assoluta discrezionalità del destino, per merito dei filosofi più illuminati, viene col tempo edulcorata con l'idea correttiva che la Moira opera secondo Dike.

 

Da questo punto di vista sarà pertanto Giustizia a garantire prosperità a chi la persegue e punizione a chi la contrasta. Rimane tuttavia parimenti vero che prevale il destino. Con la conseguenza che, per l'essere umano, non può esistere alcuna libertà. Da qui propriamente la definizione della religione greca come "la religione del fato". Nel mondo ebraico prima, e cristiano poi, la divinità, lungi dall'appagarsi della propria perfezione, è protesa invece proprio verso l'uomo, al quale riconosce piena libertà.

 

Sicché ogni suo intervento obbedisce unicamente al fine di liberare e salvare l'uomo sul fondamento di un patto di natura eterna denominato "alleanza". L'incontro delle due libertà, quella divina e quella umana, è ovviamente asimmetrico, perché la parte preponderante è naturalmente quella divina. La peculiarità di questa relazione è contrassegnata dal fatto che l'uomo si trova in presenza di un Dio personaleappassionato a chi ha posto al vertice della sua creazione. In estrema sintesi, una basilare diversità, una netta contrapposizione fra un politeismo aperto fino al "Dio sconosciuto" e un monoteismo invece rigido e rigoroso, inclusivo, il primo, e perciò aperto alla tolleranza e al rispetto integrale di ogni altro credo religioso; discriminante invece il secondo, perciò oggi in difficoltà in un mondo multireligioso. 

 

Esauriamo la rassegna sintetica mettendo in luce infine la diversa concezione che nel pensiero dei greci e dei cristiani riveste il concetto di Stato . L'uomo greco, a tutti gli effetti, è un cittadino attivo della polisperché in guerra la serve come soldato valorosamente (proprio come Socrate) e in pace invece come un elemento costitutivo di quella democrazia che si regge proprio sul confronto-scontro di tutti i cittadini, spesso più che acceso, assolutamente necessario ma soprattutto idoneo a garantire alla città una esistenza pacifica e armonica. Il cristiano, al contrario, pur essendo di questo mondo, non si sente però cittadino di questo mondo, perché totalmente orientato verso il regno dei cieli. Chi ha questa veduta è dunque un obiettore di fatto perché ciò che per il cristiano ha autentico valore è soltanto la salvezza della propria anima.

 

Oggi nessuno pensa più alla greca. Onestà intellettuale impone infatti di riconoscere l'assoluto dominio del pensiero cristiano. In Occidente il pensiero è infatti divenuto tutto cristiano . Anche, e forse soprattutto, perché, com'è doveroso riconoscere, il cristianesimo ha una visione ottimistica della esistenza che la scandisce in tre momenti essenziali: il passato (che coincide con il dato negativo costituito dall'ignoranza della buona Novella) - il presente ( che si risolve nella diffusione della dottrina) - il futuro (del tutto positivo, anche se lontano, che coincide con il conseguimento della salvezza). Il che, com'è ovvio, è poi reso logicamente possibile in conseguenza dell'avere accolto una visione lineare del tempo.

 

Ciò detto, per quanto possa apparire singolare, risponde invece a verità che proprio questo modo totalizzante di pensare ha finito addirittura per dominare anche la scienza e la filosofia. La scienza identifica infatti il ??passato con il negativo; il presente con lo studio preparatorio e propedeutico alla terza fase costituito dal futuro con il superamento della ignoranza combattuta e vinta a seguito e in conseguenza delle sue scoperte. Parimenti dicasi della filosofia che, in questo senso, offre pure qualche sorpresa! Marx, ad esempio, è sicuramente un pensatore cristiano, visto che, prima appura le ingiustizie sociali, poi le denuncia e infine indica la via per superarle definitivamente con la lotta di classe, terza fase positiva in quanto contrassegnata dalla uguaglianza.

 

Dal triplice profilo emerso dall'indagine effettuata è in conclusione del tutto sostenere che anche la massoneria ha pensato e pensa in termini cristiani, se è vero, come è sicuramente vero, che, alla ignoranza dei tempi bui (primo stadio), ha poi fatto seguire l'insegnamento accurato dei rimedi (stadio intermedio), proiettando successivamente, cioè proprio nel futuro, l'ingresso della Luce in un mondo nuovo, terza e ultima fase risolutiva dal chiaro valore positivo.

 

Questo l'epilogo della riflessione. Anche per non abusare oltre dell'attenzione del benevolo lettore.

 

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Articolo pubblicato il 24/02/2023