A Novara, La mostra “Milano. Da romantica a scapigliata” (seconda parte)
Angelo Inganni, Veduta di Piazza del Duomo con il coperto dei Figini

Al Castello di Novara, fino al 10 aprile 2023

Dopo aver narrato la genesi e l’inizio di questa mostra, il 27 febbraio scorso, entriamo ora nel percorso vero e proprio del percorso espositivo, con opere appartenenti a collezioni pubbliche e private, in un suggestivo viaggio nel tempo tra le vie, le piazze e i Navigli, negli anni in cui avviene la loro trasformazione nei luoghi che vediamo oggi.

Sezione I – “Pittura urbana” nella Milano romantica

Il termine “pittura urbana” è coniato nel 1829 da Defendente Sacchi (1796 – 1840) per qualificare il nuovo genere di veduta prospettica elaborato e portato al successo tra il secondo e terzo decennio dell’Ottocento dal pittore alessandrino Giovanni Migliara (1785-1837).

Le opere esposte in questa sezione si propongono di illustrare l’evoluzione del paesaggio urbano in epoca romantica, partendo da alcuni dipinti di Migliara (quali la Veduta di Piazza del Duomo in Milano, del 1828 e la Veduta dell’interno del I.R. Palazzo del Governo, del 1834). Seguono opere di Giuseppe Elena (1801-1867) di Luigi Premazzi (1814-1891) e di Luigi Bisi (1814-1886), già dai primissimi Anni Quaranta acclamato erede del Migliara. Con Giuseppe Canella (1788-1847) si coglie la prima alternativa di avanguardia alle rigorose prospettive di Migliara; Angelo Inganni (1807-1880) è rappresentato dal La veduta di Piazza del Duomo con il coperto dei Figini, eseguito nel 1839 per l’imperatore d’Austria Ferdinando I.

Sezione II – I protagonisti

Dalla città “palcoscenico” della prima sezione, passiamo alla presentazione degli “attori protagonisti” della storia milanese di quegli anni: “ritratti ambientati” e scene di genere di Giuseppe Molteni (1800-1867): figura poliedrica, pittore, restauratore, ritrattista mondano di fama internazionale e pittore della vita del popolo; la sua Fruttajuola, del 1832, rappresenta una giovane venditrice con la stadera, che oggi ricorda un tempo dimenticato. Scopriamo anche Francesco Hayez, rinnovatore del genere storico e del ritratto, con il Ritratto della contessa Teresa Zumali Marsili con il figlio Giuseppe, quasi una maternità laica, esposto a Brera nel 1833. Seguono lavori di Carlo Arienti (1801-1873) e di Giovanni Carnovali (più noto come il Piccio, 1804-1874), autore impegnato fin dalla prima metà degli Anni Quaranta in una personale ricerca sulle potenzialità del colore. Trovano spazio anche i fratelli Induno, Domenico (1815-1878) e Gerolamo (1825-1890), uomini e pittori di indole diversa: mirabili narratori del loro tempo, che raccontano attraverso la storia degli umili (emblematica è L’offerta, presentata a Brera nel 1846).

Sezione III – Milano, da austriaca a liberata.

La terza sezione è dedicata alle Cinque Giornate di Milano e al marzo 1848, che hanno hanno portato alla temporanea liberazione di Milano dalla dominazione austriaca. Carlo Bossoli (1815-1884) è un vedutista di origine ticinese, vissuto e formatosi a Odessa dove la famiglia si era trasferita nel 1820; si stabilisce a Milano nel 1843 – che raggiunse fama internazionale proprio attraverso dipinti rievocativi delle guerre d’indipendenza, opere eseguite per lo più a tempera, medium prediletto dal pittore nell’arco di tutta la sua carriera; Carlo Canella (1800-1879), fratello di Giuseppe, e Baldassare Verazzi (1819-1886), presente in mostra con quello che è considerato il suo capolavoro: Combattimenti a Palazzo Litta. Un altro suo quadro, Episodio di saccheggio durante le Cinque Giornate di Milano, più che mai attuale, ci ricorda come a pagare il prezzo della storia siano sempre i più deboli. Non impotra chi siano i due gendarmi saccheggiatori, ci basta leggere lo smarrimento negli occhi della giovane mamma che allatta.

Sezione IV – La Storia narrata dalla parte del popolo.

Un nuovo sentimento e un nuovo modo di raccontare la storia. La quarta sezione è dedicata ai già citati fratelli milanesi Domenico e Gerolamo Induno, amatissimi sia dalla critica che dal pubblico del tempo. Al visitatore si aprono gli umili interni domestici dei milanesi, con il loro vivere quotidiano. Tra questi vi è il celeberrimo Pane e lagrime, di Domenico Induno, esposto nella redazione del 1854 che è stata di proprietà di Francesco Hayez.

Sezione V – Verso il rinnovamento del linguaggio: dal disegno al colore.

La quinta sezione esporrà alcuni lavori di autori fondamentali nel rinnovamento del linguaggio pittorico: Eleuterio Pagliano (1826-1903), Giuseppe Bertini (1825-1898), il già citato Piccio, presente con il Ritratto di Gina Caccia, del 1862, Federico Faruffini (1833-1869), insieme a Pagliano tra i primi artisti lombardi ad aggiornare la propria pittura sulle ricerche più avanzate della pittura napoletana incentrate sul colore e sulla luce, tendenze avvicinate da Faruffini alla metà degli anni cinquanta nel corso di un lungo soggiorno romano durante il quale il pittore conosce e frequenta Domenico Morelli (1823-1901), Bernardo Celentano (1835-1863) e Saverio Altamura (1822-1897), e ancora il milanese Filippo Carcano (1840-1914), talentuoso e ribelle allievo di Hayez, impegnato fin dai primissimi anni sessanta nell’elaborazione di un nuovo linguaggio che potesse risultare idoneo a comunicare in senso moderno il “vero”. Carcano, inoltre, porta una innovazione nella essenza della luce e del colore che trasferisce sulle tele.

Sezione VI – “Il sistema di Filippo Carcano. La pittura scombicchierata e impiastricciata”.

Se le accennate sperimentazioni condotte nel corso degli Anni Sessanta da Filippo Carcano erano  incomprese e osteggiate dalla critica che definiva la sua arte “una pittura filacciosa, senza contorni di sorta, quasi senza piani e senza prospettiva” – in aperta rottura con la tradizione accademica del disegno, Carcano costruiva le immagini attraverso l’uso del solo colore -, erano invece abbracciate con entusiasmo da altri giovani artisti; tra questi autori la sesta sezione ospite lavori di Giuseppe Barbaglia (1841-1910), Vespasiano Bignami (1841-1929) e Mosè Bianchi (1840-1904). Una partita alla morra, di Barbaglia, è un tuffo nel passato, al ritmo sincopato di uno dei tanti giochi scomparsi, come in un racconto di Francis Scott Fitzgerald.

Sezione VII – Verso la Scapigliatura.

Il percorso espositivo prosegue con alcune significative opere di Tranquillo Cremona (1837-1878) e Daniele Ranzoni (1843-1889) nel corso dei secondi Anni Sessanta, prima dell’elaborazione di quel linguaggio scapigliato che caratterizzerà le opere della loro raggiunta maturità artistica, quali il Ritratto di Nicola Massa Gazzino di Cremona e il Ritratto di donna Maria Padulli in Greppi di Ranzoni.

Sezione VIII – L’affermazione e il trionfo del linguaggio scapigliato.

L’ultima sezione presenta alcuni dei maggiori capolavori scapigliati eseguiti dalla metà degli Anni Settanta ai primi Anni Ottanta. Tra questi il dittico Melodia e In ascolto (a mio avviso due soffuse atmosfere che preparano al clima impressionista del fine secolo), eseguito en pendant da Cremona su commissione dell’industriale Andrea Ponti tra il 1874 e il 1878; infine, alcuni ritratti eseguiti dal Ranzoni, quali il Ritratto della signora Luigia Pisani Dossi, esposto a Brera nel 1880, e Ritratto di Antonietta Tzikos di Saint Leger, presentato la prima volta al pubblico nella primavera del 1886, in occasione della mostra per l’inaugurazione della nuova sede della Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente.

In conclusione, se il titolo della mostra richiama “Milano”, culla della Scapigliatura, è pur vero che il suo respiro si allarga a una intera corrente (che coinvolgerà anche la scultura), ad una nuova sensibilità artistica che, sempre raffigurando il vero, si fa man mano più intima ed intimistica, preparando il terreno alle rivoluzioni del primo Novecento, non soltanto artistiche.

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Articolo pubblicato il 02/03/2023