Iscrizioni di Emanuele Tesauro nell’Aula Maior del Palazzo Civico di Torino

Di Luca Guglielmino (Prima Parte)

Di recente abbiamo pubblicato lo studio di Luca Guglielmino concernente la lapide in marmo che riporta il testo latino della deliberazione inerente alla volontà di erigere un tempio sacro dedicato alla Gran Madre che si incontra entrando nella Sala dei Marmi del Comune di Torino. Luca Guglielmino aveva ricordato che la Sala dei Marmi è relativamente nuova in quanto ottocentesca: si era verificato un forte deterioramento dei dipinti di Jan Miel, pittore seicentesco “bambocciante” inerenti i miti storici di Torino, ben descritti in latino dal Tesauro. Non era stato possibile un restauro perché cartoni e disegni di Miel erano stati bruciati in piazza con molti altri documenti d’archivio durante il periodo della Repubblica di fine XVIII secolo.

Luca Guglielmino ci ha inviato questo suo secondo studio che si propone di ricostruire i dipinti di Miel e di analizzarli alla luce della descrizione fornita da Emanuele Tesauro.

Ringraziamo l’Autore per la sua collaborazione, con l’augurio di buona lettura (m.j.).

 

Innanzi tutto, due note su chi fu Emanuele Tesauro (1592-1675). Fu gesuita dal 1611 fino al 1635, anno in cui uscì dall’Ordine a causa di dissapori di tipo disciplinare dovuti forse ad alcune sue idee. Divenne sacerdote secolare al servizio del Principe Tommaso di Carignano e scrisse diverse opere storiche e letterarie.

È famoso per il suo “Cannocchiale aristotelico, o sia idea dell’arguta et ingeniosa elocutione che serve a tutta l’arte oratoria, lapidaria et simbolica esaminata co’ principij del divino Aristotele” (Poetica 21 1457b, 5-10 «La metafora è il trasferimento a una cosa di un nome proprio di un’altra o dal genere alla specie o dalla specie al genere o dalla specie alla specie o per analogia», ad es. La vecchiaia è il tramonto della vita) ove parla in particolare della metafora che analogicamente collega concetti fra loro distanti.

È un concettista e un marinista tipico della letteratura del periodo oltre che un latinista e uomo della Controriforma. Se la letteratura italiana lo cita per tale lavoro, la storia, tra le altre opere, lo cita in continuazione al Pingone, per l’”Historia dell’Augustissima Città di Torino”, commessa al Tesauro dalla municipalità cittadina e pubblicata postuma.

Qui interessano particolarmente le “Inscriptiones” (Inscriptiones quotquot reperiri potuerunt opera et diligentia Emanuelis Philiberti Panealbi, Taurini, Typis Bartolomaei Zapatae, 1670) ove si raccolgono tutti i cartigli, le lapidi e le iscrizioni di invenzione del Tesauro.

 

Intanto i dintorni…

Del Tesauro abbiamo la forbita scritta di posa della prima pietra del nuovo palazzo il 6 giugno 1659 che si trova ora nello zoccolo destro entrando, di fianco e a inizio portico.

ALMA DIE SEXTA IUNII | MEMORABILI DIVINI CORPORIS MIRACULO SACRA | AUGUSTA TAURINORUM | URBANUM PALATIUM | IUCUNDISSIMA REGII CONIUGII SPE | SPECIOSUS REDIVIVUM | HAETERNO HOC LAPIDE | AETERNAE FIDELITATIS AC PIETATIS TESTIMONIUM | INAUGURABAT MDCLIX

Riporta la data del miracolo del Corpus Domini e definisce Torino Città Santa in vista della consacrazione del nuovo Palazzo di Città, testimone di dedizione e fedeltà con la lietissima prospettiva di un matrimonio regale. Il tutto suggellato dalla prima pietra. La lapide venne benedetta dall’arcivescovo Bergera in presenza di Madama Reale Cristina di Francia e del duca Carlo Emanuele II.

La lapide attuale è mutila e modificata.

Un frutto della Repubblica dell’anno VII? Prima ipotesi: la lapide venne asportata e rimessa successivamente con un testo più corto che non ne modifica il senso. Oppure, seconda ipotesi, già in origine, c’era un’altra lapide con il testo intero - citato dal Cibrario - che oggi non abbiamo oltre a questa riassuntiva che peraltro non risulta manomessa.

In ogni caso i danni repubblicani tra il 1798 e il 1799 furono molti e assai vasti. Nel 1663 (fatto ricordato dal Cibrario in Storia di Torino vol. II p. 171) venne posta sopra la loggia, una scritta commemorativa in latino del matrimonio tra il duca Carlo Emanuele e Francesca d’Orleans (la colombina d’amore), una dedica agli sposi (in latino) per un matrimonio felice in tale palazzo dalle solide mura. Purtroppo, Francesca morì tisica nel 1664 a soli 15 anni. Tale dedica compare ancora in occasione delle nozze di Carlo Emanuele III nel 1737 e nei quadri del Graneri (1762).

Venne asportata con la Repubblica dell’anno VII.

L’8 piovoso 1799 (27 gennaio) venne tolto lo stemma in bronzo del Regno di Sardegna che si trovava al posto attuale dell’orologio, venduto a peso e fuso per i cannoni francesi.

Nel 1801, al suo posto, venne messo l’orologio, tolto dalla torre civica allora demolita onde rendere più rettilinea per le corse di cavalli la via Doragrossa. (oggi via Garibaldi). L’orologio si trovava subito sopra la volta del salone sottostante e solo successivamente, con l’intervento di sopraelevazione del Talucchi, è stato incastonato nell’altana ove oggi lo vediamo. Il vecchio meccanismo a pesi e contrappesi di pietra, forse di fattura inglese, si trova nella Sala dell’Orologio sottostante, oggi usata per le riunioni delle Commissioni e ove si trovano una biblioteca di testi legali e i ritratti fotografici dei Sindaci dal 1945 ad oggi.

Altri danni perpetrati nell’anno VII della Repubblica furono quelli ricevuti dall’Archivio ove vennero bruciati, in Piazza delle Erbe, almeno cinque carri di antichi documenti e pergamene, assieme ai disegni e ai cartoni del Miel inerenti l’Aula Maior o Sala Marmi.

Il Palazzo Civico o del Pretorio Urbano come allora si diceva, venne restaurato in pochi anni onde applaudire l’arrivo della sposa regale e il Tesauro, non proprio campione di modestia e di umiltà, si esalta con tali parole: “A questa magnificenza (il Palazzo, N.d.T.), quindi, anche il nostro autore (Tesauro, N.d.T.) contribuisce felicemente con la sua opera nella varietà delle iscrizioni e degli emblemi: perché non avrei creduto facilmente che si potesse trovare o un patriota più devoto alla sua patria, o una patria più benevola verso il suo patriota”. Ci tiene a ribadire la sua definitiva fedeltà alla patria che diventa così reciproca, lui che era stato principista, ma anche lealista nel momento in cui trattò come emissario con il Cardinal Maurizio e divenne poi madamista e addirittura precettore di Vittorio Amedeo. Nel dubbio, repetita iuvant.

Nell’Aula Maior si espongono con i colori delle icone, i miti e gli eventi inerenti alla città, il suo decoro e la sua fama, con cartigli che li illustrano, onde dilettare il pubblico con le antiche gesta.

Luca Guglielmino

Fine della prima parte - Continua

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Articolo pubblicato il 11/03/2023