Iscrizioni di Emanuele Tesauro nell’Aula Maior del Palazzo Civico di Torino

Di Luca Guglielmino (Quarta Parte)

Commento ai cartigli e alle note del Tesauro

Eridano. È un re mitico che non ha riscontri nella realtà storica. Infatti, 819 anni prima di Roma, fondata nel 753 a.C., in Egitto regnava la XVII dinastia con Bebankh da Tebe. Tesauro si basa su quanto esposto dal Pingone e se Roma era nata per volere di Venere madre di Enea e di Marte, padre di Romolo, Torino nasce da Iside e da Eridano figlio del Sole o del Faraone egizio e ha come simbolo Api, il bue protettore. Pingone mescola poi a Eridano il mito di Fetonte così come aveva fatto Isidoro di Siviglia, considerando che Fetonte cadde nel fiume Eridano e legando assieme le due cose. Ma 819 anni prima di Roma, in Egitto non vi era nessun Eridano. Nelle note dell’Historia del Tesauro si evita di esporre una verità storica affermando genericamente che l’origine di una città è sempre oscura e ambigua. Qui si confondono vero e favoloso, ma dice che vi è differenza tra falsità e allegoria perché la falsità dice e insegna ciò che non è mentre l’allegoria insegna ciò che è ma non in termini ordinari, bensì con un linguaggio misterioso e quindi anche sacro e divino tanto che ciò proverebbe l’origine della città in un’aura di favola.

La descrizione delle cose razionali è stravolta dall’anomalia e dall’eccezione, secondo il gusto barocco. È evidente che il testo dell’Historia del Tesauro, spiega e giustifica quello delle Inscriptiones. Riguardo ad Iside, che era protettrice anche dei regni e dei sovrani, il Pingone parla del ritrovamento di alcuni frammenti di una epigrafe dedicata ad Iside, nel corso dei lavori di edificazione della Cittadella, frammenti oggi perduti, se mai ci sono stati. Di certo, essendo il culto di Iside diffuso in Roma, questo venne importato in Piemonte attraverso i traffici, viaggi e commerci. Ad Industria infatti sono stati ritrovati un tempio e reperti inerenti il culto di Iside nonché tori votivi in bronzo.

Il detto torinese “antichità d’ monssù Pingon” che il popolino storpiava in Pongon, da un lato è riferito al gusto antiquario del soggetto e dall’altro è criticamente riferito al fatto che si spacciavano cose per antiche e di valore storico quando in realtà non lo erano o addirittura potevano essere dei falsi.

Infatti, gli episodi degli spazi minori del soffitto iniziano con un falso attribuibile a Giovanni Annio, frate viterbese noto per i suoi reiterati falsi letterari e archeologici. È la storia del principe etrusco Pipino. Per Belloveso riprende Tito Livio e quindi una tradizione leggendaria ove costui passò il Monginevro, sbaragliò gli Etruschi, sottomise i Taurini e fondò Milano, mentre il nome di Gallia Cisalpina venne dato dai Romani. Con Appio Claudio Cieco i territori a nord di Bologna e quelli padani iniziarono a romanizzarsi e la rarefazione dei Celti avviene più tardi tra il 200 e il 180 a.C. con la definitiva sconfitta dei Boi, per cui Appio Claudio probabilmente non ebbe alcuna influenza sul dominio taurino. L’accenno a Cozio considera Torino (Colonia Iulia) capitale del regno cozio. Segusium (Susa) fu sempre la capitale dei Cozii che confinavano con i Taurini a Ocelum, Celle, tra Novaretto e Caprie, importante mansio o stazione di cambio di cavalli con alloggio, sulla via delle Gallie. Tuttavia, si può pensare che i Taurini avessero un territorio più esteso se Tito Livio parla di “per Taurinos saltus quae Duriae Alpes trascenderunt” (V-34 Ab Urbe condita…). Quindi il Monginevro nelle Alpi della Dora e non Cozie o secondo il Casalis, Alpi Taurine. Ma quando Cozio divenne cives romanus e prese il nome di Marcus Iulius Cottius e tali Alpi, dopo la sua morte presero il nome di Cozie, ciò pare indicare che, prevalendo l’elemento celtico su quello ligure, i Taurini persero parte del loro territorio.

Tali deduzioni combaciano con Polibio III, 60-5 che parla di entrata di Annibale in Italia direttamente nel territorio dei Taurini. Se notate, le datazioni, soprattutto quelle più remote, fanno difetto al Tesauro.

Per i dieci episodi dipinti sulla fascia superiore, il Tesauro inizia con Annibale e subito cade in errore. Intanto l’anno è il 218 a.C. ma presenta il breve scontro con i Taurini come una vittoria esagerando le perdite cartaginesi e dicendo che la vittoria sfuggì di mano ad Annibale. Avrebbe fatto bene a dire che i Taurini furono gli unici a resistere tre giorni nella speranza di vedere poi l’esercito romano vittorioso. Invece seguirono le sconfitte della Trebbia, del Trasimeno e di Canne. Polibio ci fornisce un conto esatto delle perdite cartaginesi: si basa su documenti (sono ben 12) come la stele bronzea di Capo Lacinio (oggi capo Colonna, in Calabria) ove Annibale fece incidere l’ammontare delle sue forze. Calcoliamo che strada facendo si unirono altri uomini, ma che dovette lasciarne per strada come truppe presidiarie o di retroguardia.

La traversata delle Alpi gli costò più di 20.000 uomini e di 37 elefanti ne rimase vivo solo uno. Neanche le perdite totali, da Cartagena alle Alpi, arrivano a 36.000 uomini, ma si attestano sui 30.000. Nihil sub sole novi: si gonfiano le perdite nemiche e si riducono le proprie mettendo in evidenza esagerata un modesto contributo di una tribù locale.

Mi sono sempre domandato se Tesauro conosceva il greco, il che rimane un fatto incerto; qui cita solo Livio e in modo errato e se è vero che successivamente cita Dione Cassio che scrisse in greco, al tempo del Tesauro ne esistevano traduzioni rinascimentali in latino e anche in italiano.

Il passo di Livio non è così chiaro. Riporta in seconda battuta le impressioni di Lucio Cincio Alimento, storico, che scrisse in greco Annales andati perduti e che afferma, come prigioniero di Annibale e testimone delle dichiarazioni di quest’ultimo, che dal Rodano alle Alpi Annibale perse 36.000 uomini e quindi in territori non taurini. Riporta pure le cifre di Polibio ma sottotraccia e senza far nomi. Lo scopo di Tesauro non è polemico con gli storici antichi e va oltre l’esaltazione di Taurasia onde dimostrare che i Taurini, avendo optato per il giusto alleato, ne furono ricompensati con la fondazione di una colonia e che Cesare prima e Augusto poi, sono equiparabili ai Savoia, eredi e rifondatori di Torino, mentre Annibale è il nemico in genere sia francese che spagnolo che imperiale. Torino, città illustre e vittoriosa già prima di Roma è sempre più degna di essere capitale di augusta stirpe.

Luca Guglielmino

Fine della quarta parte - Continua

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Articolo pubblicato il 14/03/2023