Commemorazione del maresciallo Rosario Berardi e del brigadiere Giuseppe Ciotta, a Torino

Le due vittime di gruppi eversivi ricordate dalle parole di Giovanni Berardi, Presidente dell’Associazione Europea Vittime del terrorismo (ASEVIT)

A Torino, nel mattino di venerdì 10 marzo, si è tenuta la cerimonia di commemorazione del maresciallo della Polizia Rosario Berardi, Medaglia d’Oro, ucciso dalle Brigate Rosse nel mattino del 10 marzo 1978 in largo Belgio, oggi a lui intitolato, in Vanchiglietta.

Nel mattino del giorno successivo, si è svolta in via Gorizia 67, nel quartiere Santa Rita, la cerimonia commemorativa dell’uccisione del brigadiere di Pubblica Sicurezza Giuseppe Ciotta, Medaglia d’Oro, avvenuta alle 8 del mattino del 12 marzo 1977, ad opera delle Brigate Comuniste Combattenti - Prima Linea.

A quasi mezzo secolo di distanza dal duplice assassinio, al di là degli aspetti più formali delle cerimonie e degli elenchi di autorità partecipanti, ho voluto riprendere alcuni passi significativi del discorso pronunciato da Giovanni Berardi, figlio del maresciallo assassinato e Presidente dell’Associazione Europea Vittime del Terrorismo (ASEVIT), prima della S. Messa, celebrata dal Cappellano della Polizia di Stato presso l’Istituto delle Suore Carmelitane di Santa Teresa.

«Inchinandomi reverente al Gonfalone medaglia d'oro della Città di Torino e della Regione Piemonte, ringrazio per la presenza e la solidarietà le autorità Civili, Militari, le associazioni d'arma, le vittime del terrorismo i loro parenti, il cappellano della Polizia di Stato gli amici e comuni cittadini».

Dopo questo esordio, Giovanni Berardi ha ricordato l’uccisione del padre Rosario:

«Sono trascorsi quarantacinque anni da quel giorno nel quale a pochi passi da qui, alla fermata del tram, quasi sotto casa, mentre si recava al lavoro, venne assassinato con nove colpi d'arma da fuoco, tutti sparati alle spalle, l'ultimo alla nuca, quando era già a terra, il maresciallo Rosario Berardi.

Sono trascorsi quarantacinque anni, un tempo lunghissimo, specialmente se paragonato alla velocità con cui scorre la nostra vita attuale, un tempo lunghissimo, ma certo non sufficiente a farci venir meno al nostro dovere di non dimenticare e tener viva la memoria di chi per difendere il nostro Paese, sacrificò la propria vita o fu gravemente ferito, tenendo fede a principi valori che li fecero opporre a chi volle invece abbatterlo armi in pugno. […]».

Il «dovere di non dimenticare e tener viva la memoria» di tutti «coloro che a costo di sopportare infinite difficoltà, anche contro il personale interesse, scelsero di servire un ideale di giustizia ed un'etica convinzione» è un tema molto caro a Berardi, il quale teme l’oblio di coloro che «vollero semplicemente opporsi alla violenza vile e assassina e alla farneticante illegalità terroristica». Uomini e donne che con il loro sacrificio hanno permesso allo Stato italiano «di resistere all'attacco mortale portato non solo dal terrorismo ma anche dalla mafia e di far evolvere, significativamente l'organizzazione della giurisdizione delle istituzioni Italiane».

Cosa accadrebbe, immaginando che quanto accaduto in passato possa venire dimenticato, cancellato dalla memoria collettiva italiana?

«Sarebbe compromessa in maniera irreparabile la nostra identità, - sostiene Berardi - torneremo ad essere schiavi del terrorismo, della mafia, del totalitarismo e delle nostre paure, saremmo impreparati ad affrontare rigurgiti violenti ed eversivi che ancora oggi minacciano la nostra convivenza civile, orde di barbari che vedono alla testa dei loro devastanti cortei i terroristi di un tempo tornati liberi, certo ancora oggi sono terroristi, non possono ex terroristi finché non ci saranno ex vittime, così come non potranno mai essere ex assassini.

Questo non lo permetteremo mai».

Sono affermazioni pienamente condivisibili e che pare opportuno sottolineare nel difficile momento che stiamo attraversando e che, anche nella nostra città, di recente ha fatto sentire i nefasti effetti.

Questa la conclusione del discorso di Berardi: «Quindi celebrazioni come questa assume fondamentale importanza, non solo per il tributo alla memoria, ma anche a indicare, soprattutto alle nuove generazioni, il percorso per preservare e tutelare la giustizia, la libertà, la democrazia della nostra Patria, così come ci hanno insegnato con il loro sacrificio le vittime del terrorismo e della mafia».

Il coinvolgimento delle nuove generazioni in questo ricordo condiviso costituisce certamente un impegno significativo, forse non ancora adeguatamente affrontato.

Non a caso il Cappellano della Polizia di Stato, che ha celebrato la S. Messa in ricordo del maresciallo Berardi, nella sua omelia ha sottolineato la mancata partecipazione di giovani alla commemorazione. Personalmente, nell’assistere alle due cerimonie, ho percepito una certa distanza dagli abitanti di Vanchiglietta e di Santa Rita, quasi che uniformi, gonfaloni, stendardi, costituissero, agli occhi dei distratti passanti, un cerimoniale puramente formale, fine a se stesso e non il ricordo del sacrificio di due Servitori dello Stato.

Al di là degli sforzi dell’Associazione Europea Vittime del terrorismo per sensibilizzare a queste tematiche, si deve registrare il fatto che vaste componenti della cittadinanza sono latitanti, perché la memoria storica non è stata adeguatamente condivisa.

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Articolo pubblicato il 13/03/2023