Andrea e il tempo

Racconto di Francesco Cordero di Pamparato

Andrea sin da piccolo aveva saputo che il suo nome aveva origini greche. Derivava da Andros, uomo o da Andreia, coraggio. Stava ad indicare un uomo coraggioso e di quel nome ne era fiero. Il suo nome lo aveva invogliato allo studio della Storia greca.

Le vicende di quel popolo straordinario lo avevano talmente affascinato, che era diventato un vero esperto del mondo dell’antica Ellade. Ne aveva studiato la Storia, ammirato la letteratura, contemplato le sculture e approfondito gli antichi miti.

Riteneva di essere un intenditore del mondo di Omero e dei grandi classici dell’antichità. Ora una nave stava portando lui e la sua fidanzata, verso una delle famose isole dell’arcipelago greco.

Quando scesero, poté costatare ammirato che poco era cambiato dai tempi di cui aveva studiato Storia e letteratura. Il tempo sembrava aver perso la nostra dimensione, il cielo era terso, poche le costruzioni moderne.

Quando, dopo a che si furono accomodati nella modesta, ma linda pensione, lui uscì dal villaggio. Rita, la ragazza, si era fermata a ordinare la camera.

Lui invece era uscito dal villaggio. Non aveva dovuto fare molta strada, per incontrare una natura incontaminata, che sembrava non essere molto diversa da quella dei tempi di Ulisse. Per un po’ stette ad ammirare quel paradiso terrestre: la terra bianca, così come le poche case sulla costa, un mare di un blu intenso, la verde chioma degli ulivi, qualche barca ancorata nella rada, che dondolava pigramente. Il frangersi delle onde sul bagnasciuga sembrava evidenziare l’eternità, non scandire il divenire.

Rifletté che molte località sembrano essere rimasti al di fuori del tempo.

Quella era una delle tante.

Sì, poco era cambiato dall’antichità. Proseguì compiaciuto, sino a quando un lieve torpore lo prese. Si sdraiò, con la testa appoggiata al tronco di un ulivo e si lasciò andare.

Quando si svegliò, avvertì qualcosa di strano.

Gli sembrava che il paesaggio avesse subito qualche cambiamento, se pur difficilmente percettibile. Non riusciva più a vederle le case e le barche ancorate nella rada. Al contrario vide dall’altra parte della valle, su una collinetta, un tempio. Uno di quelli degli antichi dèi.

Non lo stupì tanto la presenza di quell’edificio, quanto il fatto che fosse in ottimo stato. Era talmente perfetto, che sembrava costruito di recente.

Incuriosito, pensò di andarlo a visitare. Fatti pochi passi, appena girato uno sperone di roccia, vide uno spettacolo che non poteva lasciarlo indifferente. In mezzo alla pianura, nella scarsa vegetazione, una piccola mandria di bovini bianchi pascolava tranquilla. All’ombra degli ulivi, due pastori, avvolti in una piccola futa, si erano appisolati. Poco lontano un gruppo di uomini, armati di spade e di bastoni si stavano muovendo cautamente.

Andrea subito comprese di cosa si trattava. Quegli uomini dovevano essere dei ladri che si apprestavano ad aggredire i pastori per rubare la mandria.

Lui non avrebbe potuto consentire una cosa simile.

Forse quelle canaglie avevano in mente di uccidere i pastori. Intanto i due ragazzi continuavano a dormire. Bisognava avvertirli al più presto. Si lanciò di corsa, per arrivare in tempo, ma dopo pochi metri, una forza invisibile lo fermò.

Non riusciva più a muoversi.

Cercò di gridare, ma la voce non gli usciva dalla bocca. Stava per girarsi perché non voleva assistere a quell’aggressione, quando un fatto nuovo lo colpì. Nella pianura era comparso improvvisamente un gigante. Portava solo uno strano perizoma intorno alla vita, impugnava un arco e sulla schiena teneva una grande faretra. Con suo stupore comprese che nessuno lo aveva visto, nonostante la grande mole. Il gigante imbracciò l’arco e incominciò a scagliare frecce contro gli aggressori. I dardi colpivano con una precisione straordinaria, tanto che a ogni colpo uno dei delinquenti cadeva a terra e sembrava morto. Non ci volle molto perché li avesse sterminati.

I pastori intanto continuavano ignari a dormire.

Il gigante, nel frattempo, aveva visto Andrea e si stava dirigendo verso di lui. L’uomo provò non poco disagio, vedendo quel colosso muoversi nella sua direzione. Notò però che quel volto sorrideva e una voce molto musicale gli disse: “Non temere Andrea, non sono tuo nemico, ti ho visto, so chi sei e ho tante cose che ti devo spiegare. Non avere paura. Anzi grazie che ti sei preoccupato per il mio gregge, ma come puoi notare, so badare bene e da solo alle mie cose”.

Il gigante era ormai giunto davanti ad Andrea, che lo stava osservando attentamente. Era sempre stato un ammiratore delle belle donne e non aveva mai considerato il lato estetico degli uomini, ma quello era diverso. Non aveva mai visto una figura maschile così bella. Di solito chi era molto alto difficilmente era proporzionato. Quel colosso invece aveva un fisico che si sarebbe potuto studiare tanto era perfetto. Era alto almeno il doppio di Andrea, ma le sue proporzioni erano straordinarie. Un fisico robusto e atletico; i lineamenti erano perfetti. Pensò che solo il dio Apollo potesse rappresentare così bene una bellezza maschile.

La figura sorrise. “Bravo Andrea, hai indovinato, si, sono proprio io. Io sono quello che tu chiami il dio della luce e della musica”.

“Ma allora esisti ancora? Io pensavo che tu e gli altri dèi foste scomparsi con l’avvento del Cristianesimo”.

Il gigante sorrise, anche se una nota di tristezza trapelava dal suo volto. “Noi siamo sempre esistiti: siamo immortali. Prima e dopo la grande civiltà greca siamo stati chiamati con altri nomi. Prima ci chiamavano angeli... e forse anche ora, anche se non molti credono ancora alla nostra esistenza. I più si sono dimenticati che esistano entità spirituali”.

“Tu saresti un angelo? O cosa sei? Io ti vedo, ma come mai gli uomini nella pianura non ti hanno visto? Perché li hai uccisi? Non ti bastava spaventarli?”.

Apollo sorrise: “Qui non sei nella tua epoca. Le punizioni devono essere severe. Se li avessi lasciti scappare, avrebbero rubato da un’altra parte e avrebbero continuato ad uccidere pastori. Così non lo faranno mai più”.

Andrea rimase stupito da quanto il dio gli aveva detto. “Cosa vuol dire non siamo più nella mia epoca?”.

“Vuol dire che sei stato proiettato nell’antica Grecia. Il tuo amore per questa terra e la sua Storia hanno compiuto un piccolo miracolo. Se tu mi vedi è perché io te lo consento”.

“Ti ringrazio. M hai molto incuriosito. Credevo che gli dèi dell’antica Grecia esistessero solo nei miti, ma adesso non capisco più. Perché ogni tanto parli di te e di altre entità al plurale?”.

“Perché come me ci sono quelli che voi avete studiato come divinità dell’antichità. Quelli che sono stati adorati dai greci e poi dai romani. Hanno adorato noi, dimenticandosi del Dio al di sopra di noi”.

“Ma come? E Zeus? Quello che i romani hanno chiamato Giove? Non era lui il re degli dèi?”.

“Zeus era sopra di noi. Era il re degli dèi per i greci, ma la realtà era un’altra. Esisteva una divinità molto più grade, a cui anche Zeus doveva sottomettersi, ma non l’hanno mai adorata. I greci non amavano l’infinito. Lo confondevano con l’indefinito”.

“Chi vuoi dunque dire? Il Fato?”.

“Sì proprio il Fato! Ma non è facile conciliarlo con la capacità dell’uomo di essere arbitro della propria vita. Per questo i greci non parlavano di un giudizio dopo la morte. Si ritenevano nelle mani del Fato. È un argomento molto difficile per voi mortali”.

“Tante belle cose e molto interessanti. Ma perché sei comparso proprio a me?”.

“Perché tu ami la civiltà greca. Tu mi vedi come mi vedevano i greci, non solo un Dio, ma anche un essere alquanto dissoluto e questo non mi piace. Vedi ogni popolo che ha sentito la presenza di spiriti pensanti, se li è raffigurati secondo la propria mentalità. I greci ci pensarono secondo la loro ottica. In parole povere fecero gli Dei a loro immagine e somiglianza. Ti parlo al passato perché tu capisca che parlo di un mondo per te antico”.

“Grazie, quello che mi dici è davvero molto interessante, adesso comincio a capire cose che per me sono sempre state strane. Ma allora tu cosa sei? Come devo chiamarti?”.

L’immagine sorrise.

“Puoi chiamarmi come vuoi, sono uno spirito amico. Voi siete prigionieri di una vostra invenzione: il tempo. Il tempo è una misura inventata da voi. È buffo siete prigionieri di una vostra creatura”.

“Ma già da voi esisteva il Dio Kronos. Quella parola non vuol dire Tempo? Non è il Dio che divora i suoi figli?”.

“I greci intuirono che il divenire divora la materia e a questa entità diedero il nome Kronos. Ma noi spiriti non siamo di materia e quindi siamo al di fuori del tempo. Quelli che per te sono passato, presente e futuro, per noi vivono contemporaneamente. Niente e nessuno può divorarci”.

“Come fai a vivere in tre campi diversi? Di che dote sei fornito?”.

“È molto semplice. Immagina un cerchio. Tu sei in un punto della circonferenza. Vedrai davanti a te, quello è il futuro. Dietro di te c’è il passato. Io invece sono al centro: vedo a trecentosessanta gradi. Inoltre, come spirito non sono di materia che si corrompa. È un esempio forse un po’ difficile, ma è per farti capire”.

“Allora tu sai tutto di me e delle altre persone. Dimmi, potresti prevedere il mio futuro? Cosa mi succederà? Quando morirò?”.

Di nuovo lo spirito sorrise, ma questa volta scosse la testa. “Io conosco il tuo futuro, ma non mi è concesso svelarti cosa ti accadrà. Violerei il tuo libero arbitrio e ti farei del male. Conoscere il futuro rovina la mente degli uomini”.

“Ma a te era dedicato l’Oracolo di Delfo! Tutti venivano a consultare la tua sacerdotessa!”.

“Certo! Però la mia sacerdotessa dava sempre delle risposte ambigue, che potevano essere interpretate in tanti modi diversi. La cosa era voluta”.

“Credo di incominciare a capire. La risposta ambigua faceva sì che le persone interpretassero come a loro faceva più comodo, ma se poi non andava come avevano voluto, l’ambiguità salvava la previsione”.

“Proprio così mio caro amico. Comunque andasse la previsione era giusta, e una previsione giusta portava gli uomini a credere in noi. Si crede a quello che ci fa piacere credere. Ricordatelo”.

Andrea stava per rispondere, quando sentì una voce femminile che lo chiamava: “Andrea!”.

Di colpo il gigante sparì. Quasi si dissolse, come la nebbia al sole. Gli apparve invece in controluce la figura di una donna molto bella. Non riusciva a vederne il volto. Pensò che fosse la sacerdotessa di Apollo e glielo chiese.

La risposta fu un’allegra risata. “Andrea, sei diventato matto? Sono io, Rita, possibile che dopo poco che sei qui tu non mi riconosca più? La Grecia ti ha dato di testa?”.

L’uomo era ancora in uno stato di trance. L’evento in cui era stato coinvolto lo aveva scioccato. Si stava chiedendo se fosse stato un sogno o una realtà e narrò tutto alla fidanzata. Rita lo baciò e gli disse “Che differenza fa caro? Qual è la differenza tra i sogni e i ricordi? È cosa ti rimane, cosa ti trasmettono quello che importa”.

Lo prese sottobraccio dicendogli di tornare al villaggio. Dopo due passi si fermarono. Rita era rimasta muta.

Aveva visto le impronte di un piede enorme.

Francesco Cordero di Pamparato

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Articolo pubblicato il 15/04/2023