
… finendo, nel migliore dei casi, per fare esattamente il contrario o, peggio ancora, ingarbugliandole ulteriormente.
Quanto segue si riferisce all’incontro n° 70 del 11.01.2022 che è stato suddiviso in 7 articoli. Questo è il n°4.
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Siamo qualcosa di più profondo di quello che crediamo. Allora è meglio, è opportuno, che andiamo a vedere cosa c’è in questo più profondo
È solo che non ci piace!
È vero che può anche non piacerci, magari solo perché non è piacevole dal nostro punto di vista attuale; quando Dante è sceso nell’inferno non lo ha fatto standosene fuori dalla porta di quel luogo e man mano che è sceso nelle sue profondità si è reso conto che quel contesto non lo stava fagocitando, tant’è che è riuscito ad uscirne.
Quel viaggio, così ben descritto da Dante, è il viaggio che noi rifiutiamo di fare nell’interno più profondo di noi stessi (non per nulla interno e inferno sono chiamati in modo molto simile). Infatti la prima parte del viaggio significa dover osservare, riconoscere ed accettare che i luoghi e le situazioni che stiamo visitando sono ciò che noi stessi abbiamo creato dentro di noi. Insieme ad altro certamente!
Per creare questa situazione attuale abbiamo usato tutto ciò che avevamo a disposizione per poter fare un’esperienza di vita relativamente diversa. Non vuol dire che noi avremmo trovato un percorso tutto rose e fiori, ma un percorso che avremmo potuto affrontare, accettando di comprenderne il senso, piuttosto che restando sulla difensiva rispetto ad esso. Oggi noi siamo posti di fronte al fatto che qualunque decisione prendiamo per il bene della nostra vita e per quella delle persone che abbiamo più vicine e care a noi, si mostrerà immediatamente per quello che è, ovvero percepito come sempre sbagliato, perché lo avremo fatto dipendere da una situazione distorta, osservata in modo distorto e perciò giudicata come tale in modo distorto.
Seguendo il ragionamento, se io immagino la mia giornata come una partita a scacchi, se guardo a ritroso una serie di azioni da quando mi sono svegliato, così facendo ogni cosa che faccio la posso rivedere a posteriori, giudicando per esempio “se non l’avessi fatto”, … sempre usando il sistema polare, … paradossalmente sarebbe un modo per giustificare sempre tutto.
Assolutamente sì. Infatti questo tipo di revisione non è corretta!
Ok! Aiutami a comprendere meglio.
Quando noi rivediamo le cose al contrario facciamo nascere, nonostante quello che pensiamo, tutta una serie di reazioni che si traducono in possibili scenari diversi, per esempio: la prossima volta ne terrò conto ed allora farò in modo diverso; farò così anziché cosà. Perché ho capito dove stava l’errore e allora lo correggerò nel modo che ho dedotto. No! Non funziona così! Al contrario significa non aver compreso! infatti vuol solo dire aggiungere variabili ed ulteriori complicazioni che ingarbugliano ulteriormente le cose, ostacolando ancora di più la nostra capacità di comprensione. Significa aggravare le distorsioni di quella cosa, che già non funzionava secondo le nostre idee in proposito, aggiungendo altri elementi di intralcio. Poiché comunque quella cosa non funzionerà mai in nessun altro modo che in quello che le è proprio e che noi ignoriamo e continuiamo ad ignorare. L’unico modo per uscirne è accettarla per come è, senza intervenire in alcun modo. Però questo è l’unico modo che non vogliamo assolutamente fare (ed è anche in contrasto netto con quanto crediamo di sapere e poter fare).
Questa è dura ad accettare!
Certo, perché ammettere di aver sbagliato giudizio o azione o di non aver capito il senso della cosa o situazione, per noi significa, automaticamente e indiscutibilmente, ammettere la nostra reale ignoranza e impotenza, e perciò siamo spinti a cercare una soluzione a tutti i costi. Ma, mentre siamo così distratti a cercare la soluzione di quella cosa, tutto il resto è già cambiato. E allora a che cosa applichiamo quella risoluzione? Questa è la tragedia umana. Vogliamo risolvere qualcosa che non si può risolvere o è già risolta in se stessa, ma che per noi non va bene comunque perché non segue i nostri desideri o volontà. Ed invece va sempre bene comunque! Il bicchiere di acqua che io ho bevuto fino in fondo era perfettamente inquinato al punto giusto. Non mi ha fatto morire stecchito immediatamente; al massimo concorrerà a farmi morire, come ed insieme a tutte le altre cose, al momento opportuno e giusto, così come “previsto” dal mio piano di vita. Concorrerà a farmi morire allo stesso modo quanto la prima azione, il primo vagito che ho emesso appena nato circa 72 anni fa. Tutte insieme le cose accadute nella vita mi porteranno inevitabilmente all’epilogo scontato, al momento stabilito, non un istante prima né un istante dopo. Qualunque cosa accada, tranquillamente o traumaticamente non fa alcuna differenza se non per il diverso stato della coscienza di chi osserva. Anche se poi ciascuno di noi, credendoci diversi da ciò che siamo, credendoci completi e perfetti per esprimere un giudizio definitivo (come un giudizio divino), pensiamo che quello che facciamo possa aggiungere o togliere anche solo un minuto alla nostra vita o cambiarla essenzialmente (non solo per alcune sfumature che nulla hanno a che vedere con un ipotetico reale cambiamento). Non funziona così. Non funziona così se non nella nostra mente o nelle nostre proiezioni in diversi ipotetici scenari possibili (la maggior parte dei quali, se non tutti, non si verificheranno mai). Un modo di comportarci che ci fa piacere come autori, registi o attori di quella trasmissione televisiva, quella telenovela o fiction, come si usa dire adesso, che ci piace tanto e nella quale ci immedesimiamo al punto di esserne realmente coinvolti con tutte le nostre componenti senza poter più distinguere tra fantasia e realtà.
Mi sembra un punto focale di tutta la questione!
Infatti! Basta cominciare a dire: va bene mi sono stufato di fare il regista, l’autore o l’attore di questo spettacolo (anche se e quando è diventata una comfort zone) e adesso esco dal teatro per entrare nella vita che scorre fuori e provare che effetto fa respirare all’aria aperta. Anche e a dispetto di chi ti ricorderà che sono 50 o 70 anni che stai lì dentro: “non ti trovi più bene così; cosa vai cercando?” Certo che ci stiamo bene! Gli altri, impresari e spettatori, ci pagano il riscaldamento, ci lasciano fare lo spettacolo che vogliamo, mi applaudono o ci lasciano applaudire da soli; certo che ci stiamo bene! Perché dovremmo uscire dal teatro? Sì però nel frattempo mi è venuto il sedere quadro a forza di stare comodo sulla poltrona da regista, non mi escono più neppure le parole perché mi sono seccato la lingua a furia di ripeterle sempre uguali, mi sono spelato le mani a forza di applaudirmi. Beh, però adesso forse è giunto il momento di andare oltre e vedere cosa altro c’è da fare. È chiaro che messa giù così e confrontandola con la nostra vita oggi, la prima cosa che possiamo chiederci è cosa farsene di tutto questo adesso. Qualcuno risponde a ciò con il famoso detto: hai voluto la bicicletta e adesso ti tocca pedalare! Però anche dalla bicicletta si può scendere. La bici si può appoggiare al muro e lasciarcela, oppure metterla in cantina e dimenticarsene. Ciò può avvenire solo quando si stravolgono le priorità, mettendo in cima alla lista qualcosa di diverso da prima. E man mano che queste differenti priorità si fanno valere, poco alla volta ci si può rendere conto che di tutto quello che abbiamo ritenuto indispensabile, il 99,99% non lo è; questo darebbe già un diverso peso alle relazioni considerate assolutamente da salvaguardare, comprese quelle verso i figli, partner e via dicendo. Solo così si riacquista e si restituisce ad ognuno dignità e libertà di fare la propria vita, aiutandosi alla bisogna ma senza costringersi o rendersi dipendenti reciprocamente, aggiungendo dipendenze a dipendenze.
Tempo addietro dicevi che c’è un progettista, un regolatore del cosmo, non ricordo bene come definivi un qualcosa del genere. Come possiamo, in funzione di ciò che stai dicendo, riprogrammarci interiormente e trovare una soluzione a questa sofferenza. Se c’è questo progettista, vuol dire che ci ha già programmati così e noi non possiamo fare più di tanto.
Giusta osservazione! Il progettista c’è (ma non è come crediamo o ci hanno fatto credere) e ha costruito anche una bella macchina. Ma se poi l’uso che si fa di questa macchina è quella di portarla alla sua distruzione alla prima curva non è certo colpa del progettista.
E qui occorre capire quanto di ciò che ci sta accadendo non è solo conseguenza di ciò che ha fatto la macchina, ma di quello che la guida. Costui è l’aspetto silente che ci accompagna tutta la vita e che può essere udito solo quando smettiamo di saltare di palo in frasca cercando soluzioni, accettando quello che ci suggerisce, apparentemente senza parole, attraverso suggestioni che possono essere recepite solo quando la smettiamo di continuare a fare cose per riempire la vita di significati surrogati, con presunzione ed arroganza.
Il che non vuol dire essere negativi o passivi. Vuol dire accettare la condizione in cui ci troviamo in modo equilibrato e il più tranquillo possibile, indipendentemente da quanto possa apparire giusto o sbagliato agli occhi della nostra coscienza.
Però se siamo stati condizionati da un sacco di cose come possiamo scegliere a livello interiore l’una o l’altra cosa se le condizioni sono tali? Sono millenni che è così, non solo da adesso. È una cosa atavica che appartiene all’umanità da sempre.
Hai ragione nel porre questa domanda in questi termini. Per comprendere qualcosa che va oltre questo apparente circuito chiuso occorre nuovamente chiamare in causa un terzo elemento.
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Prosegue nei prossimi incontri
Foto, schemi e testo
pietro cartella
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Articolo pubblicato il 18/04/2023