A Venezia le voci poetiche di “Fissando in volto il gelo – poeti contro il green-pass” di Antonella Barina
La presentazione dell’antologia, a cui hanno partecipato ottanta poeti e scrittori dissidenti rispetto la narrativa di questi ultimi anni, ha avuto in Venezia un’altra tappa importante. Antonella Barina, giornalista, scrittrice, poeta, drammaturga dall’interminabile curriculum ci racconta quanto avvenuto in un’atmosfera di eccezionale amicizia e unità di intenti… Chicca Morone
Venezia ha accolto con una serata calda e partecipata i “poeti contro il green pass” che a decine firmano “Fissando il gelo”, titolo della raccolta poetica curata da Luca Bresciani, Ivan Crico, Paolo Gera, Mario Marchisio, Paolo Pera, introduzione di Angelo Tonelli (Terra d’Ulivi edizioni, 2023). Ma il green pass, spiega Gera, non è che la punta evenemenziale di quell’iceberg descritto con tempismo profetico da Gianluca Magi in "Goebbels. 11 tattiche di manipolazione oscura" (Piano B edizioni, 2021), applicate all'oggi. Un canovaccio di tre anni di covid inscenati a livello mondiale con una regia che ha visto distinguersi per precoce attivismo l’Italia, firmataria già nel 2017 dell’accordo con le farmaceutiche, laonde da subito ha esordito con l’obbligo di una dozzina di vaccinazione ai neonati, obbligo preceduto da almeno quattro anni di campagne concentriche contro la medicina “dolce”, “alternativa”, più o meno “integrata”. La poesia ha però una peculiarità: non è storia, non è giornalismo, non è barzelletta (pure se la satira brilla in alcune composizioni della raccolta): la poesia è filtraggio di quel che accade attraverso l’anima di chi scrive, è soggettività imprendibile scientificamente fissata, quando non da metrica, dalle trasgressioni del versificare. Ogni anima ha il suo ritmo, lo ritrova soprattutto nei periodi di profonda crisi: quando più forte è la censura di idee, opinioni, comportamenti, più distinguibile si fa il balbettio poetico, il “rana otara otara katara” di Artaud.
Così “Fissando il gelo” fornisce a futura memoria – quando gli storici si chiederanno in cosa è consistita la svolta che stiamo dolorosamente vivendo – fatti ed elementi che altrove non hanno avuto spazio, a disonore anche di un giornalismo che non sempre ha fatto il suo dovere, ma si è fatto omologare con corsi di formazione riservati ai già iniziati della chimica industriale somministrata in dosi standard all’umano. Impossibilitati ad esprimersi financo sulla casistica di improvvisi decessi giovanili (in costante aumento, coperti dalla diffusione dei dati sui suicidi) seguiti alle vaccinazioni, due o tre generazioni di giornalisti hanno salvato l’anima andando in pensione (resistendo in pochi in una piazza di precari manovrati dai “culi di pietra”). Altrettanto ha fatto, chi poteva, nel mondo della sanità e della scuola, e, perché no, delle forze dell’ordine, lasciando così il timone del sottomarino in mano ai “goebbeliani” (non in riferimento alla storia, ma al metodo) in costante aumento. Se questo rende antropologicamente interessanti gli scritti di “Fissando il gelo”, la poesia, dicevo, è altro. Procede sincopata e zappa la terra senza criteri preprotocollati. Una meditatissima disamina dei materiali pervenuti al gruppo promotore ha suddiviso le poesie in cinque capitoli, dei quali il primo non a caso si intitola “Profezie”. Una per tutte quella di Serena Vestene: “destrutturarci, denutrirci dovranno” (pubblicato nel 2018 e inserito nel blog dei poetanti), mentre Flaminia Cruciani si fa Cassandra e accusa: “Siete tutti traditori con le parole contate” e Tonelli fin dal 2008 vaticinava che dall’athanor infranto “fuoriescono galline in doppiopetto”. A latere del reading veneziano, è stato altrettanto interessante il confronto tra poetanti, evidenziando preoccupanti convergenze: chi per esercizio costituzionale o documentabili (ma indocumentate per assenza di discepoli di Ippocrate atti a verificarle) problematiche sanitarie ha tentato invano di far valere la libertà di scelta descrive anni di emarginazione sociale, negazione di affetti e cittadinanza, intrusioni continuative nei canali di comunicazione, censura diretta e/o indiretta, persecuzioni sul lavoro fino ad attività in concorso di violazioni e disturbo mirato (tra cui gaslighting con simulazioni sataniche) da parte di “bande di esecuzione” attive a livello internazionale, durevolmente attrezzate nel digitale tanto da vanificare ogni potenziale beneficio della rete che, a tutt’oggi, è completamente esposta, vera e propria arma alla quale non è facile – ma possibile sì – sopravvivere.
In “Fissando il gelo” sono dedicati alle dinamiche restrittive istituzionali ben tre capitoli: “Lockdown”, “Green Pass”, “Supergreen Pass” dove, ripetiamo, la forza è rappresentata non dal documentale, ma dallo shining, dalla lucentezza di sguardi e approcci diversi. Per “Lockdown”, estrapolando: “Panico è l’altro nome di dittatura” (Gera), “Siamo roseti di soli gambi / verticali camposanti” (Bresciani), “Baceremo attraverso le vostre maschere” (Cerè), “Rosa eterna / nel deserto” (Cuniberto), “nosologia che smantella sguardi” (Leone), “negghienza spacciata per sapienza” (Smaldone), “mentre frattali di geometria sacra / danzavano armoniosi / nel perfetto incastro degli opposti” (Gandin), “la splendida occasione / di un nuovo virus” (Trinchero), “il mio antidoto / al deliquio mentale” (Buttura), “gelo sordo” (Vespo), esilarante poi “il rito quotidiano / del lavaggio delle mani” con il quale “il demonio ormai purificato / s’inabissa e scompare nello scarico” (Valente), “strano animale in mutande” (Lanzarotti), “avere un nemico placa la rabbia” (Torre), ma “c’è un giardino / che non sono riusciti a chiudere / … / sono i poeti fatti di catrame e fango / … /e d’acqua piovana” (Di Lino). Un Nilo di poesia il seguito: con il passare dei mesi la consapevolezza è distillata in salita nella terza e quarta parte del libro culminando nel “sognare arcangeli alati dalle spade lucenti” e “demoni infami ridotti in catene” (Morone) anche se “Non ho spade o armature con me” (Osella): “saprò guardare il mondo / restandone appartato / come un albero” (Magherini). Altrettanto meritevoli i poeti/e non citati per motivi di spazio.
La quinta sezione del libro approda infine a “Scenari futuri. Utopie/Distopie” dove “a migliaia sono ritornati, immensi / stormi a saccheggiare dai campi nuovi / germogli” (“i xe vignudi de nou, grandononi / ciapi a fliscar dei larghi le nuove / menade”, Crico), dove “mi stringo a Nadia / in amorevole finitudine” (Gallo), dove l’antitesi non è sinonimo in “democrazia o giustizia” (Cardìa) e i tirañitos di don Juan non hanno strappato l’umanità al “seno della Madre” (Giaco). Pertanto amanti piovono dal cielo (Rolandi), miracoli e resistenza ha in animo chi è poeta (Fazzi) e, infine, “ripiega il tempo” (Elia), “il più tremendo dei fragori” (Raggi) a fortificare “chi resisterà a questa tempesta” (Addeo).
Esperienze che hanno determinato, per alchemica trasmutazione, il ritorno di un coraggio dimenticato e di un’energia che non si credeva di avere, e insieme il fiorire di linguaggi animici non sentimentali e non vuoti solo perché sperimentali.
Il Manifesto del gruppo “Fissando in volto il gelo. Poeti contro il green pass” recita: “Noi affermiamo l’importanza dell’attività poetica in questo determinato momento storico, in questo preciso contesto geografico, come risposta convinta, colpo su colpo, alla dilagante deriva autoritaria del nostro sistema di potere e al linguaggio che lo rappresenta”.
Nome del gruppo e titolo del libro muovono dall’elaborazione di un verso del poeta Osip ?mil’evi? Mandel’štam: “A tu per tu, il gelo in volto io fisso: / lui fissa il nulla, e io fisso dal nulla” (il rovescio del motto nietzschiano “Se guardi a lungo l’abisso, l’abisso guarda te” che dovrebbe impaurire chi vede oltre, ndr).
Non più “draghi trafitti”. Semi mossi dal vento, spesso in fuga dal provato centro dell’Occidente europeo, a spargersi per future stagioni. Se a rimuovere la memoria popolare delle restrizioni pandemiche anteguerra è bastato un solo battage su Sanremo, difficile è imprigionare tutti i semi del soffione. Là dove il gelo, splende il sole: la poesia, che nicchiava sotto una coperta troppo soffice trafitta su letti di chiodi, ha ritrovato motivo e costrutto. E tradizione.
Immagine in copertina: acquerello di Chiara Rota.
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Articolo pubblicato il 23/04/2023