Spiriti armoniosi, ventagli che volano

L’Oriente espone le proprie meraviglie di Alessandra Gasparini

Tra le infinite, straordinarie sorprese di Parigi si colloca il Musée National des arts asiatiques Guimet. Scoperto per caso da me, da circa un ventennio residente nella città delle luci, almeno nei miei sogni ad occhi aperti.

Leggo di una esposizione temporanea dei meravigliosi ventagli del grande artista giapponese Hiroshige (dal 15 febbraio al 29 maggio 2023) e mi precipito. Place d’Iena n.6, XVI arrondissment. Scopro qui un universo orientale di armonia e di bellezza, trasportato nella capitale francese da Émile Guimet (1836-1918), appassionato viaggiatore e fondatore di quello che si può definire museo delle religioni e culture orientali.

Di buona famiglia, appassionato all’antichità classica, il giovane Guimet inzia il suo percorso esplorativo nel 1865, con un viaggio in Egitto, che lo spingerà più tardi verso Oriente.

Il museo nasce nel 1879 a Lione, per essere poi trasferito a Parigi nel 1889, ed è oggi considerato uno dei più grandi musei d’arte asiatica del mondo, dotato di una importante biblioteca. Si sviluppa su quattro piani ricchi di sale espositive e consente di uscire all’aperto sul tetto-terrazza, da cui fa capolino la Tour per eccellenza, la sempre cara Eiffel, coronata dalla cupola dell’edificio e da splendidi palazzi ottocenteschi. Luogo di sogno.

Il sorriso che rasserena

La grande sala d’entrata emoziona al primo sguardo, proponendo una scenografica sfilata di divinità dell’arte Khmer. Tre enormi teste di Buddha sovrastano le altre splendide statue di divinità cambogiane, la maggior parte risalenti ai secoli dal VII al X. Lo sguardo si perde, rapito dalla dolcezza e dalla perfetta armonia dei volti, tra cui prevalgono le raffigurazioni del Buddha ma anche di Vishnu, colui che preserva l’universo dal male. Mi lascia senza parole l’insolita bellezza del dio-cavallo, risalente al 960 circa. Si tratta probabilmente di un avatar di Vishnu, chiamato Hayagriva, sceso sulla terra per annientare due demoni, di cui si racconta nei Veda. Accanto al busto del dio-cavallo mi fermo a lungo a contemplare il viso di una divinità femminile, dai tratti puri ma al tempo stesso reali, animati da una forza che infonde una serena vitalità. Questa giovane incoronata ha lo stesso sorriso incantevole dei numerosi Buddha che occupano le due grandi stanze dedicate alla Cambogia. Non vorrei lasciarle, perché mi stanno parlando di quello che fuori di qui non trovo, mi infondono serenità interiore, mi trasferiscono forza e desiderio di ricerca spirituale. La scultura più complessa e ammirabile della sala vede unite più divinità sorridenti che con braccia e mani molteplici afferrano un mostro dai numerosi volti, per trattenerne la malefica voracità. Il sorriso dà forza, il sorriso vince la paura e l’oscurità.

Le divinità degli alberi

Nelle sale dedicate all’India le sculture risalgono sino al I secolo d.C. e rappresentano divinità protettrici della prosperità e della ricchezza, ospiti degli alberi e dei boschi, oggetto di culto popolare. Il loro aspetto riflette la loro funzione: il ventre è prominente, sono corpulenti e ingioiellati, simbolo di abbondanza. Splendida appare la “Porteuse d’offrandes” (portatrice di offerte), del II secolo. È una ragazza dall’espressione scherzosa, con seni nudi in evidenza, grandi orecchini e una collana, i capelli raccolti, porta in mano un contenitore di cibo chiuso da un coperchio. Queste statue più antiche sono tutte in gres rosso. Accanto a lei una testa di Buddha, ugualmente adornata da monili, ancora una volta ci sorride. Ma la mia attenzione è rapita da una piccola statua in bronzo del mio dio preferito, il giovane Krishna (anche lui avatar di Vishnu) che allegramente, sinuosamente, danza. Numerose, sempre in bronzo, le statue rappresentanti Shiva, distruttore, (spesso del male), assieme alla sua sposa Uma (Parvati) e al figlio Skanda, dio della guerra e signore delle armi divine. La sposa è sensuale, separata dallo sposo. Il figlio è simile ad un piccolo cerbiatto. Incantevole. Ma Shiva è anche signore della danza ed eccolo danzare, mentre, circondato da fiammelle, calpesta il demone dell’ignoranza.

Che simbolismo attuale!  mi dico. Non è una coincidenza. La lotta contro l’ignoranza e il male che essa diffonde è questione umana da sempre, universalmente rappresentata.

La dea Parvati è prosperosa ma snella, bellissima, decorata da gioielli, ci osserva carica di dolcezza e sensualità. Di nuovo in gres rosso è la splendida “Divinité à l’arbre” (X-XI secolo). Incarna la forza vitale e rigeneratrice della natura. È racchiusa nell’albero e lo fa fiorire. Il suo corpo generoso esprime l’energia fecondante della femmina, che crea nutrimento. La sua apparizione ai devoti porta loro benefici. Viene spesso per questo evocata e rappresentata sulle pareti dei templi e dei santuari.

Ventagli che volano

Salto un piano, alla Cina e al Giappone mi dedicherò con la dovuta attenzione in un’altra visita, molto presto, spero. Al terzo piano mi aspetta la mostra “Hiroshige et l’éventail, voyage dans le Japon du 19e siècle”. Utagawa Hiroshige (1797-1858) mette il suo grande talento di pittore al servizio dei ventagli, realizzando più di 650 illustrazioni destinate a ornare questo accessorio in bambù, all’epoca di uso quotidiano, molte delle quali sono andate perdute. La mostra ne propone una selezione tra quelle miracolosamente preservate dagli editori di stampe e dai collezionisti. Il percorso ci conduce attraverso i soggetti più cari a Hiroshige, come i luoghi famosi della città di Edo e i paesaggi delle province del Giappone, sino alle magnifiche composizioni di fiori e di uccelli, passando attraverso i ritratti femminili, le scene storiche e le immagini parodistiche. L’inventività grafica del pittore è illimitata, la preziosità delle tonalità si unisce alla originalità dei soggetti. Incantevoli le scene di vita quotidiana attraverso le diverse stagioni, dove i bambini giocano, gli anziani osservano, le donne benestanti conversano o scrivono o si riparano con ombrelli colorati dalla neve, le serve portano pesanti secchi d’acqua, gli animali accompagnano, le vele di barche sognanti si muovono al vento simili ad ali di gabbiano. Le anatre selvatiche si levano in volo. Appare la luna e riempie di luce la notte, ad essa fiori rossi e blu si schiudono, vaporosi.

Che sensazione di benessere mi attraversa dopo la visita, non completata per decisione di avere un’altra occasione di fragrante bellezza, in cui perdersi, di cui animarsi. Con cui potere meglio affrontare l’asprezza del nostro tempo. A Parigi.

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 29/04/2023