Vittorio Peradotto: Un eroe della Resistenza

Di Alessandro Mella

Le guerre sono eventi drammatici, terribili nel corso delle quali, tuttavia, emergono figure che la storia farebbe bene a non dimenticare anche quando le istituzioni si sono scordate di omaggiarne il sacrificio con una medaglia al valor militare per la quale, tra l’altro, non sarebbe mai troppo tardi.

E questo vale anche per Vittorio Peradotto, un giovane nato a Valperga, allora in provincia di Aosta, l’11 luglio del 1921 figlio di Aventino e di Lucia Bonetto. (1)

La famiglia aveva una piccola impresa dedita all’attività conciaria e lo stesso Vittorio si era diplomato, nel 1942 presso il Regio Istituto Principe di Piemonte, Perito Capotecnico per la conceria e chimica conciaria. (2)

Tuttavia, dopo poco venne richiamato alle armi ed avviato al corso allievi ufficiali dal quale uscì sottotenente dei carristi anche se, come tutti, fu poi travolto dall’armistizio del 1943.

Forse come moto spontaneo dopo i Bandi Graziani, forse per ardente passione patriottica, Vittorio decise di unirsi alle formazioni partigiane di “Giustizia e Libertà” che ormai andavano formandosi anche nell’alto Canavese iniziando a militarvi nel luglio del 1944. E dimostrò subito competenza e capacità tant’è che ottenne, già ad agosto, la qualifica di “comandante di distaccamento”.

Fu il drammatico 22 settembre 1944 che Vittorio andò incontro ad un infelice destino quando, nel corso di un’imboscata, fu ferito in un breve scontro fuoco con una pattuglia della Decima Flottiglia Mas. Di quell’episodio esiste un resoconto di Bruno Rolando pubblicato in origine sul volume “La Resistenza di Giustizia e Libertà nel Canavese” e reso disponibile dal bel portale di Piero Berta:

La sera dell’11 settembre Vittorio scende dall’alpe Testona, sede del Comando di Divisione, per raggiungere più in basso il cugino Remo e Dario Fenoglio. Devono andare per servizio a Cuorgnè, sono tutti e tre armati, e sono preceduti da Paolo Orso disarmato.

Conoscono la strada ad occhi chiusi, alla frazione Ceresetta dovranno lasciare la strada che va Sparone per percorrere un sentiero a mezzacosta che porta alla frazione Frachiamo, per scendere alle Fasane, attraversare la strada provinciale ed infine il fiume Orco e giungere a Cuorgnè percorrendo il terreno sulla destra dell’Orco.

Scendono tranquilli perché quel percorso è sicuro e non si sono mai fatti cattivi incontri. Camminavano da oltre un’ora quando sentono gridare: “Decima!  Mani in alto!” (i fascisti della X° avevano già bloccato di sorpresa Paolo che essendo disarmato non li aveva costretti a sparare).

Questione di attimi e si sente un crepitare di colpi di mitra, anche perché non avevano alzate le mani.

Vedo Vittorio che fa cenno di voltarsi ed io mi butto giù dal sentiero. In quel punto c’è un salto di 15 metri circa e vado a finire dopo qualche ruzzolone appeso con lo zaino ad un gruppo di piante. Sento sempre i colpi di mitra, mi sfilo lo zaino che lascio tra le piante e mi butto nuovamente giù. Trovo una balma (un riparo sotto roccia n.d.r.), mi metto sotto, tolgo la sicura ad una bomba a mano e resto in attesa degli eventi.

Nel frattempo gli spari sono cessati e dopo circa un quarto d’ora vedo in alto, sul sentiero, degli uomini che tornano verso Frachiamo, vedo una maglia bianca in mezzo a loro, e subito penso: Dario è stato preso. Penso a mio cugino che era vestito quasi da cittadino e non mi passa per la testa nulla di grave e mi dico: avranno preso pure lui e così torno indietro attraverso il bosco.

Arrivo a Ribordone e la ronda partigiana mi corre incontro, racconto dell’imboscata e vado a curarmi un taglio vicino alla bocca e tante graffiature, ma mentre sto raccontando la mia disavventura giunge una ragazza da Ceresetta che dice: “Venite giù che Vittorio è ferito gravemente!”.

Si corre a Talosio dove avevamo una 500 in dotazione a Ricco Enrico (Ricco morirà nella tragedia della Galisia) che parte immediatamente, mentre io salgo a Testona (due ore di salita ed una di discesa) a chiamare il dottore.

Intanto Ricco è tornato col ferito e alle 1,30 circa siamo al capezzale di Vittorio dove il medico diagnostica un colpo alla spalla sinistra ed uno alla schiena, sono due brutte ferite ma dovrebbe farcela. Purtroppo non fu così, la sera del 22 avviene un improvviso peggioramento e dopo un’ora e mezza di agonia è spirato tra le mie braccia. (3)

Ci vollero mesi prima che le autorità e la situazione permettessero alla famiglia di fargli un funerale dignitoso e solo a dicembre, nel pomeriggio di domenica 31, fu possibile dargli dignitosa sepoltura e perfino pubblicare un necrologio. (4)

Della sua scomparsa, dell’omaggio che gli fu reso dal paese, diede testimonianza anche Mariuccia Ceresa che ricordò come il padre si fosse recato con i figli, salvo lei troppo giovane, ad onorare quel giovane caduto. (5)

I poveri genitori di Vittorio, stremati dal dolore per la perdita di quel figlio valoroso, si spensero dopo la guerra. La madre a soli cinquantacinque anni nel 1952 ed il padre, Aventino, nel 1962 a sessantasei. (6)

Oggi una via, a Valperga, ricorda il nostro eroe e così una lapide che fu posta a “Il Biro” di Ribordone ove cadde. Sulla stessa si legge: “In questa baita - il 22 settembre 1944 - già ferito in combattimento - moriva per la patria - il sottotenente - Vittorio Peradotto. Italiano che passi - medita - e sii degno di chi - diede la vita per la tua libertà’”.

Il giovane ufficiale e partigiano cadde a poco più di vent’anni ed ancora oggi il suo esempio dovrebbe restar caro ai nostri cuori. Il suo sacrificio non valse una medaglia al valore che, oggidì, seppur tardiva sarebbe doveroso conferire. Per onorare il coraggio di chi diede la vita per ideali e valori universali.

Alessandro Mella

NOTE

1) Commissione Regionale Piemontese per l’accertamento delle qualifiche partigiane, scheda Vittorio Peradotto tramite il portale “Partigiani d’Italia”.

2) La Concieria – Bollettino Commerciale Settimanale, 2027, Anno L, 1° agosto 1942, p. 3.

3) http://www.bertapiero.it/garibaldi/il%201944.htm (Consultato il 20 dicembre 2022).

4) La Stampa, 365, Anno LXXVIII, 31 dicembre 1944, p. 2.

5) Il mio papà medico, Mariuccia Ceresa, Effatà Editrice 2010, p. 61.

6) La Nuova Stampa, 255, Anno VIII, 28 ottobre 1952, p. 6 e La Stampa, 94, Anno LXX, 22 marzo 1960, p. 10.

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Articolo pubblicato il 29/05/2023