La vittoria del Sultano: cosa cambia nel 'nostro mondo'
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan

La riaffermazione di Erdogan è uno schiaffo a tutti i liberal europeisti che ignorano la storia e la volontà di potenza dei popoli. Convinti che la storia sia finita, in verità è appena incominciata.

Le elezioni che potevano, secondo le previsioni dei liberal, risultare in un disastro per Erdogan hanno invece blindato con il voto dei turchi la permanenza al potere del Reis fino al 2028.

Il liberale europeista Kemal Kilicdaroglu è stato dunque sconfitto da Erdogan nel ballottaggio decisivo del 28 maggio, confermando l'Akp come primo partito in Parlamento.

Sebbene la Turchia sia ancora divisa al suo interno, la coalizione di Erdogan ha il controllo legittimo del paese. Tuttavia, il Sultano si troverà ad affrontare sfide economiche, tra bassa crescita, alta inflazione e rischi recessivi. La situazione economica interna è precaria nonostante il sollievo temporaneo dato dalla guerra in Ucraina. Inoltre, Erdogan dovrà gestire la questione del futuro della Turchia nell'Alleanza Atlantica.

Il rapporto di Ankara con la NATO è sempre stato fortemente ambiguo. Ufficialmente filoamericani, da sempre non disdegnano di fare accordi con i russi, sia in tema energetico sia riguardo la spartizione delle sfere d’influenza sul Mar Nero.

Per non parlare del difficile rapporto con la vicina Repubblica Ellenica, storica rivale, ma ipocritamente unita insieme nel Patto Atlantico.

Oltre alla NATO, il Sultano dovrà fare i conti con il sempre più difficile rapporto con Bruxelles. Già, i rapporti tra l'Unione Europea (UE) e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan sono stati complessi e talvolta tesi negli ultimi anni. Ci sono state diverse questioni che hanno influenzato i rapporti tra le due parti.

Prima fra tutte la libertà di stampa e il rispetto dei diritti umani, per non parlare della questione della Repubblica di Cipro, ancora invasa da truppe turche e per questo vede la propria capitale (Nicosia) divisa da un muro.

La Turchia svolge un ruolo chiave nella gestione della crisi dei migranti verso l'Europa. Nel 2016, l'UE e la Turchia hanno siglato un accordo secondo cui la Turchia si impegnava a trattenere i migranti in cambio di sostegno finanziario e altre concessioni dall'UE. Tuttavia, l'accordo è stato oggetto di critiche per le presunte violazioni dei diritti umani nei confronti dei migranti.

Come se non bastasse ci sono state tensioni diplomatiche tra la Turchia e alcuni Stati membri dell'UE, in particolare Germania e Paesi Bassi. Queste tensioni sono state alimentate da controversie riguardanti i comizi politici turchi organizzati in Europa, il rifiuto di alcuni paesi di concedere il permesso per tali comizi e il rimpatrio di cittadini turco-tedeschi detenuti in Turchia.

Importante e vitale sarà inoltre il confronto con gli interessi geostrategici italiani nel contesto mediterraneo e dei gasdotti, dove potrebbe esserci la possibilità di una fase di mediazione in cui Roma potrebbe essere coinvolta.

Ciononostante, la costante presenza turca nelle ex colonie italiane inibisce non poco l’azione strategica della nostra penisola. In particolar modo in Tripolitania e in Albania dove militarmente i turchi imperversano lungo i nostri confini geostrategici e le nostre prime linee di difesa.

L'obiettivo degli attori regionali è quello di rilanciare la geopolitica dei gasdotti, e la Turchia potrebbe avere un ruolo chiave in questo processo. Per Erdogan vi è la necessità di fornire risposte al suo elettorato e di giocare un ruolo distensivo per costruire opportunità e relazioni affidabili con i partner internazionali.

I problemi non finiscono qui. Le difficoltà economiche e sociali dovute al terremoto subito continuano ad influenzare negativamente non poco la stabilità interna del Paese anatolico.

Inoltre, Ankara continuerà a fare da mediatore di “pace” con uno sguardo privilegiato verso la propria politica aggressiva ed espansionistica. Continuando nel solco della sua ambiguità, persisterà nel sostenere un tavolo di negoziazione fra i russi e gli ucraini, e dall’altro accerchiare l’alleato storico di Mosca in Medio Oriente, l’Iran. Cercando di portarsi nella propria sfera d’influenza tutte quelle repubbliche turcofone nemiche di Teheran.

La visione imperiale di Erdogan continuerà indisturbata. Con grandi opere ed infrastrutture al suo interno, e obbiettivi di egemonia marittima al suo esterno (mediterraneo in primis).

Infine, una considerazione. Se la fine dell’Impero ottomano aprì l’inizio del caos mediorientale, la sua riaffermazione potrebbe riportare “Ordo ab Chao”. Questo almeno dinanzi ad un ipotetico ridimensionamento dell’egemonia americana ed israeliana nella regione. Nel breve periodo, facile immaginarlo, difficile vederlo.

 

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Articolo pubblicato il 31/05/2023