Carceri italiane: il recupero del detenuto è un'utopia

La riflessione di Luigi Cabrino

Assieme ad una riforma della Giustizia che non può davvero più aspettare, con i noti problemi irrisolti di avvisi di garanzia che vengono amplificati su TG e giornali facendo di un innocente un colpevole dimenticato dagli stessi TG e giornali quando mesi o anni dopo il processo si conclude in un niente o spesso nemmeno non inizia; con i pagamenti che l’amministrazione giudiziaria si vede costretta a fare per risarcire i cittadini ingiustamente detenuti ( sono numeri impressionanti ed inaccettabili per un paese che si vuole definire civile); con tutte le storie di ingiustizia che rovinano persone e famiglie e lasciano assolutamente impuniti i magistrati che hanno giocato con la libertà delle persone; con tutto questo non si può dimenticare la situazione delle carceri del nostro paese.

Le carceri italiane sono lontane dagli standard di rispetto della dignità dei detenuti, che – ribadiamo- spesso lo sono ingiustamente per errori dei magistrati e, comunque, anche nel caso di colpevoli conclamati restano sempre persone con una dignità che non va calpestata.

L’associazione Antigone ogni anno pubblica un rapporto sulla condizione delle carceri italiane e nei giorni scorsi è uscito il rapporto relativo all’anno 2022: tra suicidi, violenze e sovraffollamento il sistema carcerario italiano non ne esce affatto bene.

Sono 13 i procedimenti e i processi per violenze e torture – tra quelli attualmente in corso – in cui Antigone è impegnata direttamente con i propri avvocati. Il dato è stato illustrato questa mattina a Roma, durante la presentazione di “È vietata la tortura”, XIX rapporto di Antigone sulle condizioni detenzione. Nonostante l'evidenza che la tortura in carcere esista e solo dal 2017 possa essere perseguita grazie all'approvazione di una legge specifica, dalla maggioranza di centro-destra sono arrivate proposte di abolizione del reato o di modifica dell'articolo 613-bis. Due ipotesi pericolose – ha spiegato Patrizio Gonnella, presidente di Antigone – perché rischierebbero di far saltare i processi attualmente in corso e di lasciare impunito chi si macchia di questo crimine.

Il rapporto di Antigone, che ogni anno fa il punto sullo stato delle carceri italiane, lancia un allarme sul sovraffollamento, un problema ormai endemico del sistema penitenziario, certificato anche dai tribunali di sorveglianza che, solo nel 2022, hanno accolto 4.514 ricorsi di altrettante persone detenute (o ex detenute), che durante la loro detenzione hanno subito trattamenti inumani e degradanti, legate soprattutto alla mancanza di spazi. 

Nel 2022, dai dati raccolti dall'osservatorio sulle condizioni di detenzione di Antigone nelle 97 carceri visitate in tutto il paese, nel 35% degli istituti c'erano celle in cui non erano garantiti 3 mq. calpestabili per ogni persona detenuta. Mentre il tasso di affollamento, al 30 aprile 2023, era pari al 119%, con circa 9.000 persone di troppo rispetto ai posti realmente disponibili. In alcune regioni la situazione è ancor più preoccupante. 

Il sovraffollamento, oltre a limitare gli spazi vitali, toglie anche possibilità lavorative, di studio o di svolgere altre attività alle persone detenute. 

Facendo riferimento solo al tema del lavoro, al 31 dicembre 2022 i detenuti lavoratori erano 19.817, pari al 35,2% dei presenti. Tra questi vengono conteggiati anche coloro che, con turni a rotazione, lavorano poche ore al mese. Circa due detenuti su tre non avevano accesso ad alcuna forma di lavoro. La stragrande maggioranza dei detenuti lavoratori, ovvero l’86,8%, lavora alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria, impegnata in piccole attività interne poco spendibili nel mondo lavorativo. Solo il 4,6% della popolazione detenuta lavora alle dipendenze di datori di lavoro esterni.

Il sovraffollamento impatta poi anche sul lavoro degli operatori, già oggi al di sotto delle dotazioni previste nelle piante organiche. Un problema enorme è quello dei funzionari giuridico pedagogici. Sono 803 quelli che lavorano nelle carceri italiane, a fronte dei 923 previsti in pianta organica. In media, ciascun educatore deve occuparsi di 71 persone detenute. Singole situazioni presentano dati ben più preoccupanti: nel carcere romano di Regina Coeli, dove sarebbero previsti 11 educatori, ce ne sono invece solo 3, per un numero di detenuti che si attesta attorno alle 1.000 unità. Ogni educatore deve dunque occuparsi di oltre 330 persone detenute. 

Fortemente sotto organico sono anche psicologi e psichiatri. Dalla rilevazione diretta di Antigone nel 2022 emerge come le diagnosi psichiatriche gravi ogni 100 detenuti siano state 9,2 (quasi il 10%). I detenuti che assumevano terapie psicofarmacologiche importanti quali stabilizzanti dell’umore, antipsicotici o antidepressivi erano il 20%, una percentuale doppia rispetto a quella dei detenuti con una diagnosi medicalmente definita. Addirittura il 40,3% assumeva sedativi o ipnotici. A fronte di tutto ciò, le ore di servizio degli psichiatri erano in media 8,75 ogni 100 detenuti, quelle degli psicologi 18,5 ogni 100 detenuti.

Benché ogni suicidio sia un caso personale, che dipende da tante dinamiche, le situazioni appena descritte non possono che avere un ruolo nel numero altissimo di questi gesti estremi che si registrano nelle carceri italiane. 85 lo scorso anno, già 23 nei primi 5 mesi del 2023.   

E pensare che in sempre più stati europei il carcere come pena è comminato esclusivamente per i reati più gravi ( ad esempio terrorismo) e si va sempre più verso un sistema penale che miri all’educazione, al lavoro e al reinserimento sociale del condannato.  Del condannato, è bene precisare. Si, perché c’è sempre da tenere a mente che il vizio tutto italico di sbattere in galera prima ancora che inizi il processo è duro da combattere.

Luigi Cabrino

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Articolo pubblicato il 07/06/2023