Mazzini e Marx: una lunga diatriba ideologica

Una originale e approfondita analisi della prof.ssa Cristina Vernizzi

Parlare di Giuseppe Mazzini e di Carl Marx, nella visione del confronto ideologico, è sempre una sfida difficile e complessa, data la statura storico, politico e filosofica di questi due “giganti del pensiero” che hanno condizionato, nel bene o nel male, la storia della società umana degli ultimi due secoli.

L’ottocento è il secolo della rivoluzione industriale, intesa in senso complessivo, che rimaneggia in modo irreversibile la staticità della società civile del tempo, introducendo nuovi e insanabili conflitti  tra le classi sociali e produttive, che si possono sinteticamente identificare nella consapevolezza dell’insorgere della “lotta di classe”. In questo contesto il pensiero dei due protagonisti in campo assume la valenza dell’universalità per i riflessi che hanno indirizzato l’azione delle masse, consapevoli delle loro aspirazione e diritti e la conseguente reazione dei governi.

L’inconciliabilità ideologica del pensiero di Mazzini e di Marx appaiono subito in modo insanabile. Mazzini rifiuta la prospettiva violenta della lotta di classe, auspica la fratellanza e la collaborazione tra le componenti della società civile, dove devono emergere i doveri e i diritti dei cittadini, quasi in un sincretismo religioso. Marx ritiene tutto questo una prospettiva superata, il vero motore della storia che può affrancare l’umanità dal bisogno sta nella distruzione del capitalismo e della classe borghese che lo rappresenta e nelle temporanea dittatura del proletariato, premessa indispensabile per una nuova società umana egualitaria e senza conflitti.

Pertanto i diritti dell’uomo sono subordinati all’utopia del nuovo stato, che sarà il contenitore dell’umanità, libera dai bisogni, dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e terreno su cui l’uomo “nuovo” ritroverà, nella visione materialista della storia, il suo vero destino.

Questa “diatriba ideologica” è ampiamente conosciuta e dibattuta dagli storici, ma poco nota alla stragrande maggioranza dell’opinione pubblica. Conseguentemente l’articolo che segue, della professoressa Cristina Vernizzi, che ringraziamo per la sua disponibilità e gradita collaborazione, vuole offrire un contributo per la divulgazione di questo complesso scontro tra questi due personaggi storici, portatori di visioni antitetiche e inconciliabili.

Buona lettura. (m. b.)

 

 

                             Mazzini e  Marx: una lunga diatriba

 

“Mazzini può far oggi sorridere per le sue idee su Dio e Popolo, il suo moralismo apparirà angusto, il rapporto tra doveri e diritti antiquato”, leggiamo da un vecchio articolo di anni fa, eppure, l’autore aggiunge subito dopo :” il programma dell’esule genovese non è mai tramontato,  fu soprattutto cosmopolita e  contro le aride dottrine materialiste dei marxisti”.

E queste definizioni ci mettono nel bel mezzo dell’argomento sulla diatriba tra i due politici rivoluzionari dell’800.

Una prima considerazione: quello fu il secolo che vide il diffondersi della Rivoluzione industriale che ebbe, come dirette conseguenze, il rapido accumulo di capitali in mano delle classi borghesi e parallelamente uno sfruttamento incontrollato delle risorse umane dei lavoratori.

Gli stranieri che si recavano in Inghilterra notavano il progresso tecnologico e la turba di proletari, tenuti in uno stato di semi schiavitù, che affollavano le periferie della capitale e dei centri di produzione.

Mazzini vi arrivò nel 1837, a 27 anni, esule politico, condannato a morte in contumacia dal re di Sardegna  per i tentativi rivoluzionari e le sue idee repubblicane. Fu subito colpito dalla miseria in cui si trovavano gli emigrati italiani e provvide a fare quello che riteneva indispensabile per un loro progressivo benessere: istituì dopo qualche anno una scuola pubblica, gratuita, aperta a bambini e adulti.

Iniziò ad elaborare in senso sociale quelle che sarebbero state le linnee del suo pensiero politico inserendosi pienamente nei dibattiti teorico politici del periodo, ma arricchendoli del binomio originale di : Pensiero e Azione.

Marx arrivò a Londra nel 1849 con la famiglia. Era nato a Treviri nel 1818, di otto anni più giovane dell’esule genovese, aveva  alle spalle una buona esperienza di politica, di giornalismo e la pubblicazione di scritti di filosofia, che si inserivano nel dibattito berlinese  post-hegeliano.

Tra questi i Manoscritti economico-filosofici che già avevano delineato la struttura del suo pensiero sul Comunismo e subito sollecitato le critiche del patriota genovese.

Le contrapposizioni furono inevitabili. La nuova ideologia proposta dal tedesco consisteva, in breve, in una filosofia  mirata al miglioramento delle classi sociali, improntata su una analisi dei bisogni dell’uomo, sui valori dell’economia, sul materialismo e sulla lotta di classe che assumeva aspetti di guerra civile .

A quella,  Mazzini opponeva  il progresso morale dell’individuo basato sulla sua educazione e la sua libertà, i concetti dei diritti  derivanti dai doveri, il senso della  solidarietà per coinvolgere tutta la collettività, indipendentemente dalle classi sociali e raggiungere una fratellanza universale, come finirà per dichiarare.

Benché entrambi fautori di radicali trasformazioni sociali, teorici delle rivoluzioni, viventi  sullo stesso territorio per molti anni, i due non si incontrarono se non una volta, in pubblico.

Marx nutriva per Mazzini una certa apprensione; sospettoso contro ogni forma di religione trascendentale, “l’oppio dei popoli” come la definiva , e “ Dio un feticcio creato dall’uomo”, ma  giudicava  l’esule “il più abile rappresentante delle aspirazioni dei suoi compatrioti “e ne riconosceva la capacità di aver guidato per 30 anni le rivoluzioni italiane.

 Dopo un reciproco rispetto intellettuale, la resa dei conti  fu il 1848, la “primavera dei popoli” , quando le loro strade si spinsero  gradualmente  su posizioni sempre più contrastanti. Era l’anno in cui ardeva in Europa la lotta del proletariato con la rivoluzione in Francia, quando uscì la pubblicazione del Manifesto  da parte di Marx ed Engels.

Costoro, contro un socialismo conservatore o utopistico come erano stati proposti dalle teorie socialiste precedenti, programmavano un socialismo scientifico, basato non su teorie, ma sulla constatazione razionale dei fatti. E tutto il progresso del proletariato era improntato sulla lotta tra classi.

Gli stessi autori del Manifesto espressero poi qualche dubbio sulla validità generalizzata del programma, in quanto si resero conto come molti enunciati fossero di difficile attuazione in particolari situazioni storiche e quindi non applicabili ovunque. Dalla loro visone sarebbe uscito un sistema chiuso, senza progresso.

Ma l’effetto che ebbe, sulla popolazione, quell’appello che incitava  alla rivoluzione contro le classi dominanti: Non avete nulla da perdere solo le vostre catene! Proletari di tutto il mondo, unitevi! , fu innegabile e dirompente. Ebbe e avrà nei decenni successivi una grande forza d’urto durante le rivendicazioni e i  contrasti sociali.

Il Genovese, con grande preveggenza, ne elencava i limiti. Tra i punti che il Manifesto enunciava, alcuni in particolare furono da lui presi di mira: l’abolizione della proprietà privata, del diritto di successione, la soverchia nazionalizzazione del sistema economico, la mancanza di libertà dell’individuo. Più che a una dittatura del proletariato, annotava come quel programma avrebbe prodotto una dittatura della classe politica comunista sulla massa dei cittadini: il Comunismo avrebbe condotto ad uno Stato autoritario governato da una gerarchia arbitraria.

Due anni dopo, in un suo Manifesto, Mazzini obbietterà che occorreva pensare allo stabilimento della “Democrazia europea”. E per lui “la democrazia era il progresso di tutti attraverso tutti sotto la guida dei migliori e dei più saggi”.  Questa definizione mazziniana della democrazia è riportata nel Dizionario di Oxford, a testimonianza della sua fama nel mondo anglosassone, e della visione sovranazionale dell’esule.

Era anche il periodo in cui in Mazzini gli accenti unitari erano prevalenti nella sua predicazione.

La prova  che diede nel 1849 nella   Repubblica Romana, che inutilmente sperò essere inizio di una Repubblica italiana, fu espressione di una democrazia moderna e nuova, a cui tutti guardarono come un modello internazionale

Al di là delle polemiche marxiste, restò incontrovertibile il valore di quel fugace Governo dove i diritti  dei cittadini, civili, politici, elettorali, religiosi e abolizione della pena di morte si coniugavano  con i doveri della cittadinanza, responsabilità dei governati di essere partecipi e protagonisti del buon governo del territorio.

Asseriva: ”Una repubblica trova la sua legittimità nel rispetto dei diritti dei cittadini, come la sua forza dal senso del dovere dei medesimi cittadini verso il bene pubblico”. Sono i principi che animeranno la Costituzione Italiana 100 anni dopo.                                                                             

Negli anni successivi, tutte le sue energie furono rivolte alla unificazione italiana, mai disgiunta da un  contesto europeo e internazionale . Come scrisse F. Della Peruta (1924 – 2012), egli vedeva nella radicalizzazione dei contrasti sociali un impedimento al movimento nazionale, costante. Da qui la costante predicazione alla solidarietà e al superamento dei dissidi.

Inoltre le rivoluzioni dovevano essere guidate dai ceti colti, uomini delle classi medie, ai quali rivolgeva appello di appoggiarlo nella direzione del partito d’Azione.  Mentre sottolineava che la rivoluzione nazionale avesse un contenuto sociale, rivoluzione politica e sociale insieme, si autodefiniva non agitatore politico, ma riformatore sociale. Inoltre riaffermava il carattere politico della rivoluzione italiana nel 1858 :“I nostri martiri non muoiono da mezzo secolo in poi perché il vitto sia caro, le finanze affidate alle corruttele, le condizioni degli agricoltori siano tristi ed inique, il lavoro mal retribuito, il tributo male ordinato, il commercio inceppato: muoiono per una idea, l’idea di Italia.”

Era la sua  una visione politica, nazionale della rivoluzione italiana, al cui successo riteneva indispensabile la borghesia. Rivoluzione a cui tutti dovevano partecipare. E in questo disegno era inserito lo stesso ruolo degli operai,  nel senso più ampio di lavoratori. Nei Doveri dell’Uomo, pubblicato nel 1861, egli riuniva gran parte delle sue idee  che mostravano l’unità organica del suo pensiero sociale. Dedicato agli operai, inizia con Io voglio parlarvi dei vostri doveri , parlando volutamente una lingua diversa dai socialisti.  Vi espresse il principio  che i loro bisogni  spirituali e intellettuali fossero più importanti della soddisfazione dei beni materiali. Incoraggiava a unirsi, a creare legami di solidarietà al di là delle distinzioni di classe.

Sottolineava che mentre  il capitalismo e il socialismo attribuivano importanza ai diritti economici delle classi, aspiravano ad una felicità in termini economici, per lui si trattava di nulla più che di  un bene parziale. Ora occorreva rompere i legami con la filosofia materialista e affermare gli aspetti spirituali della vita.       

Non il rapporto di uomo–lavoro-alienazione, e lotta dell’uomo, azione anche violenta, appropriazione, con ultimo fine il governo del popolo, enunciati da Marx, ma i bisogni di esseri umani che hanno la precedenza  sugli interessi di classe. A questo punto, come netta frattura con il suo antagonista,  nei Doveri assumeva importanza primaria il ruolo della educazione come strumento di liberazione, cioè non solo istruzione, ma preparazione morale essenziale per una società democratica, dove gli individui possano “liberamente scegliere, a seconda delle proprie tendenze, i mezzi per fare il bene”.

Democrazia significava responsabilità . Solo gli operai istruiti potevano sovvertire l’oppressione peggiore cioè la tirannia dei colti nei confronti degli incolti. “La storia delle oppressioni, non vi insegna che chi opprime s’appoggia sopra un fatto creato da lui?”.  

E per lui alleate naturali dei lavoratori erano le donne, che ebbero nel suo pensiero un ruolo etico –sociale originale.  I movimenti politici che parlavano esclusivamente di interessi materiali erano secondo lui destinati a fratturarsi e a spegnersi. A differenza di Marx, che parlava ai lavoratori nella lingua della scienza sociale, muovendosi eminentemente sul terreno di produzione, di lavoro, di rapporto dialettico tra le classi, Mazzini si affidava ad una invocazione religiosa, al principio assoluto del dovere verso Dio e l’umanità nella convinzione che i lavoratori avessero in questo una missione speciale.                                                                              

Nell’acceso dibattito di quel periodo, nonostante su posizioni diverse, Mazzini, Marx e Bakunin si trovarono concordi nella fondazione della prima Associazione Internazionale dei Lavoratori, la cosiddetta Internazionale socialista formata da socialisti di varie correnti, anarchici e repubblicani.

Sorta a Londra nel 1864, Mazzini dettò alcuni articoli nello Statuto della nuova organizzazione, che Marx trasformò e che, commentandoli con Engels, dichiarò irrilevanti. Di fatto l’influenza di Mazzini nell’Associazione fu nulla, egli finì per staccarsene e in Italia segnò il conflitto tra socialismo mazziniano solidaristico e socialismo rivoluzionario comunistico.

Dell’Internazionale egli condannava la irreligiosità, la negazione della nazione e della proprietà individuale, la lotta di classe. “Gli operai avrebbero dovuto tendere verso un ordine di cose nel quale la proprietà fosse frutto del lavoro e nel quale il sistema del salario fosse sostituito dall’associazione volontaria basata sull’Unione del lavoro e del capitale nelle stesse mani. Solo in questo modo si sarebbe potuto creare un sistema nel quale l’utile della collettività precedesse l’utile dell’individuo in un contesto internazionale”. Sono parole sue, molto contestate dagli avversari.

Ma la sua proposta di unire capitale e lavoro nelle stesse mani, ebbe in realtà molto seguito, soprattutto nelle piccole e medie aziende del centro-nord Italia. Qui gli organizzatori mazziniani furono i primi ad entrare in scena dopo l’Unità e il movimento operaio tenne duro contro socialisti e cattolici, anche durante i primi decenni del XX secolo.

Di fatto il conflitto con l’Internazionale, gli sottrasse molti seguaci che passarono nel campo  di Bakunin, lo stesso Giuseppe Garibaldi la sostenne dichiarandola “Il sol dell’Avvenire”, ed entrando  sua volta in conflitto con Marx per la sua diversa interpretazione. Ma  il mazzinianesimo conservava una certa leadership morale nel variegato mondo dell’associazionismo democratico. Bakunin stesso gli riconosceva “un’acuta intelligenza…una totale indifferenza verso il proprio interesse personale…il terribile leader repubblicano che aveva tolto il sonno alla maggior parte dei governanti europei…. Noi combattiamo a malincuore e senza alcun piacere contro quell’irriducibile avversario…E’ stato Mazzini ad aprire gli occhi e a fare da guida ai giovani patrioti nel momento centrale del Risorgimento italiano: quella è stata la sua opera, grande e immortale”.

 Gli attacchi anche indiretti tra i due personaggi, registrano epiteti come: Teopompo, Vecchio asino reazionario,  lo definiva Marx, e Mazzini lo giudicò: “uomo d’ingegno acuto, ma dissolvente: di tempra dominatrice, geloso dell’altrui influenza, senza forti credenze filosofiche o religiose e temo con più elementi d’ira anche se giusta, che non d’amore nel core”.

 

Mazzini criticava, con grande chiarezza ed estrema durezza, ogni forma di socialismo autoritario. Ma va precisato che, al tempo stesso, egli criticava il liberalismo, per il suo esasperato individualismo e perché si identificava per lo più con il sistema monarchico in generale. Sottolineava in questo contesto la forma della libera associazione democratica dei cittadini, portatori certo di diritti, ma anche soggetti ai doveri. Citando il senso di responsabilità verso la collettività, dichiarava che “non basta lavorare per il popolo, ma col popolo”.

Da qui una serie di iniziative per fondare associazioni operaie, giornali, scritti per il progresso del lavoratore. Le sue società di muto soccorso e cooperative pullularono in tutta Italia e persistono tuttora.

I teorici comunisti pensano al “mondo”, osservò, invece bisogna occuparsi del miglioramento dell’uomo, richiamandosi al problema educativo e riconoscere il principio religioso della fraternità. Pur accettando le istanze di giustizia che erano alla base di molte correnti socialiste, egli rifiutò sempre la lotta di classe e la violenza come mezzo di lotta politica.       

Di fatto le idee di Marx erano legate a fattori contingenti, come lo stesso Marx ebbe a osservare e quasi mettere in dubbio. Quando i popoli e i lavoratori erano oppressi e privi dei diritti elementari, quelle idee potevano rappresentare una molla all’azione, ma sarebbero state destinate ad esaurirsi appena soddisfatto il bisogno della classe o quando la rappresentanza politica non fosse coincisa più con la rappresentanza degli interessi della stessa. La storia degli ultimi decenni del ‘900 ce ne racconta gli sviluppi.                                       La polemica si accese poi con veemenza in occasione della proclamazione della Comune di Parigi. Fu durante la guerra franco-prussiana che aveva stremato il paese, era stata istituita la Repubblica, dopo la caduta di Napoleone III e i Prussiani avevano occupato la capitale. Il 18 marzo 1871  il popolo insorse contro un governo che riteneva troppo arrendevole ai nemici e su posizioni conservatrici, incapaci ad affrontare la grave crisi economica che attanagliava soprattutto le classi  più deboli.

Eresse le barricate, si scontrò con l’esercito governativo, ci furono morti e feriti e  proclamò la Comune, collegata idealmente a quella del 1793, guidata da esponenti del mondo piccolo borghese e proletario a appoggiata dalla Internazionale.  Il 28 maggio, dopo solo  72 giorni,  questa esperienza di autogoverno popolare era stroncata con il massacro di  circa 20.000 comunardi, ad opera delle truppe governative di Versailles, inviate da Adolph Thiers.

Era stata  sostenuta con forza  da Marx e da Bakunin e fortemente criticata dal genovese, che ne condannò il carattere violento, collettivista e autoritario.     

Nel giugno del 1871, in tre articoli sulla “Roma del Popolo”,  il giornale uscito tra il marzo 1871 e il marzo 1872, condannando tanto il terrore della Comune parigina quanto la feroce repressione effettuata da Thiers,  Mazzini difendeva  invece i vecchi principi  dell’89 di “Libertà, uguaglianza e fraternità”,  su cui era fondata la prima Repubblica francese. In queste stesse pagine Giulietta Pezzi (1810 – 1878) scriveva a puntate sulla  emancipazione della donna (si noti l’attenzione del giornale per la questione femminile), mentre la donna nella concezione marxista era inserita nel sistema della produzione economica.

Mazzini  era a pochi mesi prima della  morte e promuoveva a Roma  un Congresso delle Società Operaie affratellate, con lo scopo di riunire  e agire compatti per la emancipazione operaia. Ma non vi ebbe tregua la polemica contro la Comune parigina e i suoi sostenitori. Con parole infuocate e indignate parlava dei fatti che si erano verificati scrivendo  articoli come: “Documenti sull’Internazionale” , dove si evidenziavano gli obbiettivi comunisti di quel governo:   “Abolizione di Stato, d’eredità, di proprietà individuale, odio alla borghesia, guerra civile ed espropriazione violenta, tutto v’è indicato ….Come possono escire buoni e pratici risultati dall’organizzazione dell’anarchia ?” . Segnalava anche l’uso della censura e la sospensione  della libertà di stampa, il divieto di dibattiti pubblici.  Seguivano attacchi alla Internazionale come responsabile di quegli episodi. Immediata fu la reazione di Fredrich Engels, Segretario per l’Italia presso il Consiglio Generale dell’Internazionale.  

Il 21 dicembre 1871  mandava al direttore una lettera: “Signor Direttore, chiedo alla vostra lealtà la pubblicazione della dichiarazione qui annessa. Se ci facciamo la guerra, facciamola leale. Gradite i miei distinti saluti.” Engels confutava le dichiarazioni mazziniane discutendone la veridicità soprattutto sulla  posizione assunta da Bakunin in seno alla Internazionale. Seguiva la replica di Mazzini che faceva valere la forza delle documentazioni accessibili a tutti. Il 30 novembre 1871, scriveva un lungo articolo con una profonda analisi sulle rivoluzioni sociali e politiche nei paesi europei.

Parlava ancora una volta che  “bisogna combattere l’infausta dottrina.  L’agitarsi della classe artigiana in cerca di un migliore avvenire, è universale non è terra in Europa che   non si abbiano manifestazioni…quindi diversi sono i mezzi ma il fine è unico….affratellarsi  di terra in terra gli uni cogli altri…Attende una Era nuova…Voi classi emancipate…per terrore della Russia l’Europa si ostina a puntellare l’Impero Turco. Condannato a perire e travolge le popolazioni indigene in braccia allo zar….ricordatevi che l’ostinazione della monarchia a negare il diritto repubblicano di Francia creò il Terrore e le carneficine del 1793… Siete oggi in tempo per promuovere pacifico e regolare il moto con noi…”. Mentre agli amici di molte società operaie democratiche, predicava la concordia  nel fine ultimo, per l’ideale di Patria,  il 22 febbraio 1872 commentando scritti del filosofo Ernesto Renan  (1823 – 1892) sulla fine della Comune, “la Francia ha veramente bisogno di una riforma morale… un  moto lasciato agli impulsi di inetti materialisti doveva aggiungere sventura a sventura….Bisogna a risorgere, rinnegare gli ultimi 57 anni e mutare radicalmente via”.

Ancora un appello il 29  febbraio, in risposta agli auguri di pronta  guarigione pervenutigli dalla società operaia di Reggio Emilia, “Amate questa povera patria, contribuite per quanto potete ad apprestarle Libertà vera, moralità ed educazione…V’aiuterò sulla via finché avrò soffio di vita e come le fiacche forze mi danno.” E ancora il 7 marzo, pubblica il capitolo  su  Renan con una ultima significativa frase: “Nella storia dei popoli le rivoluzioni hanno segnato nuovi periodi e bisogna giudicarle dai passi fatti dalle nazioni verso il fine assegnato sulla via del futuro”.  Sono le sue ultime righe, il 14 marzo il giornale annunciava la morte di Mazzini avvenuta il 10 del mese a  Pisa presso Giannetta Nathan Rosselli, esule, sotto il falso nome di  George Brown. 

Marx morirà nel 1883 a Londra e la sua dottrina modulata da Lenin produsse la rivoluzione russa, madre di molte altre con le conseguenze alterne che conosciamo. A conclusione di queste nostre osservazioni, che non vogliono essere esaustive, ma solo indicative di come a grandi linee si sia sviluppata la diatriba storico-culturale tra due uomini che segnarono il pensiero e l’azione di intere popolazioni,  possiamo citare le parole di  Nello Rosselli  (1900 – 1937) che si introdusse nell’annosa controversia: “Mentre Marx si studia e si ammira, Mazzini è sentito in ogni parte del mondo: per la sua sensibilità, per la sua umanità, per la sua larga simpatia umana….Profondamente pervaso di spirito religioso… Così, se da Marx venne formulata una ferrea legge economica che, se non annulla, certamente attenua l’influsso dei valori morali, da Mazzini venne una predicazione di amore; venne il sogno della solidarietà fra le classi sociali, una dottrina di educazione e di elevazione morale". 

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Articolo pubblicato il 27/06/2023