Prefazione e recensione del 1990 a confronto
La Rivoluzione francese è stato un evento che, senza ombra di dubbio, ha condizionato la storia dell’umanità per il suo impatto sull’ancien regime e per le idee innovative che scardinavano l’ordine sociale del tempo.
Infatti l’importanza di questo evento è stato confermato da una enorme produzione di ricerche e libri in merito. Invece è curioso constatare come sono decisamente in numero minore le ricerche e i libri che hanno studiato le “reazioni” delle diverse classi sociali del tempo alla furia del ciclone rivoluzionario.
Non siamo in grado di fornire una spiegazione di questa realtà, tuttavia ci sembra interessante proporre la rilettura del libro “Reazione alla Rivoluzione francese”, (Casa editrice Adelphi). scritto da di Richard Cobb, uno dei più autorevoli studiosi di questo periodo storico, che analizza, dal punto di vista socio-antropologico, il comportamento delle classi popolari, refrattarie al turbine rivoluzionario.
Pertanto ci sembra importante mettere a confronto la “prefazione” del libro di Cobb, nell’’edizione di Adelphi del 29 gennaio 1990, con la “recensione” di Massimo Terni, pubblicata su Storia Illustrata del 20 maggio 1990, in quanto potrebbero” integrarsi”.
Da evidenziare che il libro “Reactions to the French Revolution “ - Editore, Oxford University Press è stato pubblicato, per la prima volta, il 15 giugno del 1972.
Inoltre riteniamo utile, per il lettore, sintetizzare la biografia (da Wikipedia) di Richard Cobb, onde facilitare la lettura della prefazione e recensione proposte.
Richard Charles Cobb (Erinton –on Sea, 20 maggio 1917 – Abingdon-on- Thames, 15 gennaio 1996) è stato uno storico e saggista britannico.
Professore all' Università di Oxford è stato autore di numerose opere autorevoli sulla storia della Francia in particolare sulla Rivoluzione francese. Cobb studiò meticolosamente l'epoca rivoluzionaria dal punto di vista delle classi sociali più umili, metodo storiografico detto "storia dal basso". Le sue opere offrono dettagli di eccezionale accuratezza raccolti da un'ampia varietà di fonti meno note e analizzate in un ampio ambito interdisciplinare.
Cobb è annoverato tra i progenitori della scuola di analisi storica, detta "storia dal basso". In generale era in sintonia con la loro storiografia marxista, ma l'approccio personale di Cobb evitò sempre le presunzioni dottrinarie comuni ai suoi colleghi francesi. Cobb ha completamente rifiutato qualsiasi identificazione con l' ideologia marxista.
Mentre gli scrittori marxisti erano più concentrati su movimenti storici e tendenze, la visione di Cobb è stata più strettamente rivolta agli individui e ai loro singoli contributi.
Prefazione dell’editore Adelphi
Richard Cobb appartiene alla specie rara e preziosa degli storici-scrittori, come Michelet o Burckhardt. Così è stato definito una volta «il Goya del nostro mestiere». Impaziente e beffardo verso ogni gabbia ideologica, instancabile scavatore di archivi, Cobb ha mirato in tutta la sua opera e mai così chiaramente come in questo libro a scrivere una storia pullulante di storie, una storia che mostri come i Grandi Eventi irrompano nella vita dei singoli o da questi vengano elusi o respinti. Il suo orecchio pretende ancora di percepire le discordanti pulsazioni dei calendari privati sotto l’opprimente «grande ala della storia».
Unendo sarcasmo e senso pratico, Cobb spiega già nelle prime righe di questo libro perché si è sentito attratto dalle vicende del Controterrore: «Gli storici dell’individualità, oltre che quelli della bizzarria e dell’eccentricità estrema, si troveranno molto meglio a trattare il Controterrore che non il Terrore burocratico dell’estate 1794. Qui almeno non c’è un grigio concetto di unanimità, non c’è un modello fisso, non c’è l’aspirazione ad un’indivisibilità destinata a sommergere tutti i traits personali nell’affettazione irreggimentata della Repubblica delle Virtù o nel totalitarismo militare dell’odiosa Sparta di cartapesta auspicata da Saint-Just. Si potrebbe dire che ci furono tanti controterrori quanti controterroristi, e per motivi quasi altrettanto numerosi: «motivi personali, regionali, viscerali, rispettabili, criminali o tribali». In filigrana, fra queste righe, il lettore di Cobb ricorderà allora altre righe, memorabili, dove questo selvatico nemico del metodo ha raccontato una volta come nacque la sua vocazione di storico. Questa si formò, secondo Cobb, quando da bambino accompagnava un suo zio medico che per mestiere era tenuto a metter piede in tante case, quindi in tanti mondi paralleli: «Per tutta la mia vita ho sentito una spinta quasi ossessiva a mettere il mio piede nella porta, ad andar dietro la facciata, a entrar dentro. Dopo tutto, il fatto di essere, o diventare, uno storico ruota soprattutto intorno a questo desiderio di leggere le lettere degli altri, di irrompere nella loro vita privata, di penetrare nella stanza segreta». Come si vede, più che la fiacca definizione di «storico delle mentalità» a Cobb si potrebbe applicare quella, da lui stesso usata, di «storico dell’individualità».
Dopo l’insana proliferazione di chiacchiere e trinciamenti di giudizi sulla Rivoluzione francese in occasione del bicentenario, tanto più salutare apparirà tuffarsi nelle pagine di questo libro per capire come respirarono, come approfittarono, come patirono tanti testimoni e attori di quegli anni fatali. Come ha scritto Robert Darnton a proposito di tutta l’opera di Cobb: «Insistendo continuamente sulla complessità del passato, la sua opera spicca come un monito contro i tentativi di piegare la storia per adattarla entro strutture sociali prefabbricate».
Recensione di Massimo Terni
Nel corso del bicentenario del 1789 è stato dimenticato Richard Cobb, uno dei grandi della storiografia contemporanea. A tale lacuna ha opportunamente rimediato l’editore Adelphi traducendo il libro di Cobb, Reazioni alla rivoluzione francese, dell’ormai lontano 1972.
Il titolo fa riferimento a quelle forme storiche di resistenza all’evento rivoluzionario, definite come ”contro rivoluzione” e “controterrore” che, soprattutto nel Midì della Francia, hanno coinvolto insieme ai singoli personaggi impegnati in atti di brigantaggio e terrorismo (di costoro a titolo esemplare viene ricostruita la biografia) l’ancestrale “mentalità collettiva” di tutta una società. Una società in cui c’era “ un gran numero di individui per i quali la Rivoluzione era … un contrattempo occasionale”, e che al messaggio illuminista e giacobino contrappone il motto religioso e monarchico “Cristo e Re”, arrivando fino al punto, come nel caso della banda di Orgères, di configurare “una Controsocietà e un Antistato”. Questo modo disincantato e anti-eroico di fare storia si traduce in un paradossale capovolgimento del racconto storico: nel rapporto tra pubblico e privato, è il secondo a fare luce sul primo. Per esempio nella vicenda del terrorista Chartrey, la sconfitta di Neerwinden del marzo 1793 viene inquadrata nell’ambito delle ruberie di un commissario inviato presso l’armata del nord con l’incarico di mettere in vendita i beni degli emigrati di Bruxelles.
Chartrey ha incamerato in un suo magazzino grandi quantità di gioielli, argenteria, e mobili dell’arciduchessa Maria Cristina ex governatrice dei Paesi Bassi austriaci. In seguito alla rotta di Neerwinden questi tesori vengono caricati su dei convogli e inviati in Francia. Ecco che un evento descritto dagli storici come la disfatta dell’armata di Dumouriez diventa tutt’altra cosa nell’ottica “privata” delle malversazioni di un oscuro terrorista.
Questa sì, è veramente la storia vista “dal basso”, e non “dall’alto” del racconto epico di una storiografia istituzionale che, sia nella versione marxista che in quella revisionista, tende comunque a sottolineare la centralità e rilevanza storica della rivoluzione in quanto tale. Gli uni, i marxisti, hanno celebrato l’ormai arcaico mito delle origini della “rivoluzione borghese” madre e modello di tutte le rivoluzioni a venire. Gli altri, quelli della scuola oggi dominante di Francois Furet, stanno celebrando il più aggiornato e attuale mito della formazione della moderna democrazia e del suo linguaggio politico e giuridico.
Invece, nell’anti-storia di Cobb, che evidentemente vuole essere una risposta anomala e originale, anarcoide e polemica all’imperio della storiografia ufficiale, ciò che emerge nella messa a fuoco del quotidiano è la zona grigia dell’anti-rivoluzione: quella dimensione apparentemente storica e apolitica della vita personale di ciascuno di noi che spesso fa sì che gli stessi contemporanei di un evento epocale non ne siano affatto i testimoni presenti e partecipi, ma piuttosto degli assenti e distratti vicini di casa che si accorgono della storia con la S maiuscola solo in quanto ne vengono direttamente colpiti nelle abitudini e negli interessi individuali.
N. d. R. - Massimo Terni, nato nel 1945, ha insegnato Storia delle dottrine politiche all’Università Statale di Milano e all’Università Orientale di Napoli. Tra i suoi saggi: La pianta della sovranità, Teologia e politica tra Medioevo ed età moderna (1995).
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Articolo pubblicato il 15/08/2023