
I mezzi di comunicazione e la scenografia delle istituzioni
Congedato con tutti gli onori il Presidente Emerito, di cui -nel bene e nel male, ma soprattutto nel male- abbiamo detto il necessario nell’ultimo articolo, soffermiamoci ancora un attimo su ciò che la sua dipartita ha rappresentato dal punto di vista comunicativo.
L’impressione generale è che la grande maggioranza dei giornali, ma in particolare la televisione, e la RAI ancor più in particolare, abbiano fornito a tutti noi un servile spettacolo di piaggeria, un’espressione di ciò che potremmo definire semplicemente propaganda di regime.
Che Napolitano fosse un personaggio di opinabile levatura morale e politica, lo sapevamo tutti e l’abbiamo detto in tanti, e che la televisione di stato potesse solo ignorare questa evidenza è perfino comprensibile dato il suo naturale e burocratico conformismo, ma questa sua caratteristica negli ultimi tempi si è accentuata e involuta sempre di più, anche se molti di noi speravano che, con l’avvento di un nuovo governo, questa cattedrale della disinformazione potesse mostrare qualche finestra di libertà e originalità.
Un recente episodio ci aveva già messo in allarme. Il caso Foa-Citro-Pionati è stato emblematico nella sua triste evidenza: Marcello Foa, grande giornalista e intellettuale di razza, in una sua trasmissione radiofonica si è permesso di invitare Massimo Citro della Riva, scrittore e medico torinese anti-vaccinista, e proprio per questo radiato dall’albo professionale, a un dibattito in cui erano, peraltro, presenti anche personaggi di ben diverso orientamento come il televirologo Massimo Galli e il ricercatore Francesco Zambon.
Questo evento, assolutamente normale in un’altrettanto normale logica di confronto informativo, ha suscitato la reazione paranoica del direttore di rete Francesco Pionati che ha preannunciato la morte mediatica a Foa per il delitto di lesa maestà vaccinale, dimostrando la sua statura di piccolo teleburocrate terrorizzato, come sempre, ieri come oggi, dalla libertà giornalistica.
Ora, paragonare Pionati a Foa già è cosa che fa sorridere, ma pensare che il primo possa dettare al secondo che cosa dire o non dire in un’istituzione come la RAI che dovrebbe garantire a tutti una libera informazione è veramente un’offesa a quella cosa sciocca e piccina che chiamiamo democrazia, e magari anche semplicemente all’intelligenza.
Peraltro il dottor Citro, qualche giorno dopo, a Venaria, ha radunato oltre ottocento persone al Teatro della Concordia per esporre liberamente le sue tesi, schiaffeggiando idealmente Pionati e i suoi superiori referenti.
Ma questo episodio, certamente grave e che andava sottolineato, è poca cosa dinnanzi allo spettacolo recente di una TV e di una schiera di rappresentanti delle istituzioni che hanno fatto di tutto per far credere al popolo italiano che Napolitano era un grande statista.
Non solo c’è stata una poco comprensibile visita papale in cui Bergoglio non è stato neppure capace di un segno di croce e di quella benedizione che non si nega nemmeno agli atei, ma abbiamo dovuto assistere a un fluviale intervento di monsignor Ravasi a Montecitorio che, fra compiaciute citazioni e rimandi culturali, non si capiva bene dove andasse a parare; e ancora ci hanno somministrato l’intervento di un personaggio della prima, seconda, terza, quarta repubblica come Giuliano Amato che ha provato coraggiosamente a estrarre dalla biografia dell’estinto quei frammenti di apprezzabilità che gli sembravano idonei; e poi tutti gli altri interventi che, fra i broccati e gli arazzi della sede parlamentare, fra dignitari, mandarini, commessi imbalsamati e corazzieri luccicanti, cercavano di solennizzare e rendere grande una morte che, in fondo, non era poi diversa da tante altre.
Un dettaglio però sembra sfuggito a molti osservatori: l’assenza della gente.
Di solito, in queste occasioni, le telecamere sostano compiaciute sulle persone in fila per rendere l’ultimo omaggio ai feretri delle personalità più amate, con tanto di vigili urbani che regolano l’afflusso e contengono la folla.
Qualcuno ha visto qualcosa del genere nei giorni scorsi davanti a Montecitorio? Qualcosa di simile ai funerali di Silvio Berlusconi a Milano qualche mese fa, tanto per intenderci?
Le telecamere, pudicamente, inquadravano altro: i vip come Meloni o Macron o Steinmeier non certo la strada con le ipotetiche persone in coda per l’ultimo omaggio.
L’impressione è che la televisione di stato, ma anche quelle private, volessero semplicemente veicolare un’immagine aulica e pomposa delle istituzioni, nelle sue persone, nei suoi ambienti, nei suoi rituali, nella sua narrazione retorica, nella sua scenografia materiale e istituzionale quasi fossimo ancora in epoca monarchica, un’epoca in cui bisognava offrire al popolo una realtà sontuosa e ritualistica per accreditare l’immagine di un potere superiore e quasi sacrale, una perenne messa cantata che coprisse le sue inadeguatezze, le sue ipocrisie, i suoi compromessi, i suoi bassi interessi, le sue piccole e grandi ferocie.
Ora, tutto ciò poteva avere un senso, forse, in quel passato dove l’apparenza era sostanza; ma oggi, nel clima di una democrazia che tende a svuotare le manifestazioni cinematografiche e illusionistiche del potere -in assenza peraltro di un’istituzione monarchica che, come in Gran Bretagna, è comunque radicata nell’anima popolare che ne accetta l’apparato simbolico e sacrale-, questo apparato evidenzia tutta la sua vacuità, e diventa perfino irritante agli occhi di un’opinione pubblica che quotidianamente sfanga la sua esistenza fra mille problemi e guarda con diffidenza e talvolta con astio quel mondo di procedure, atteggiamenti, personaggi e privilegi sfarzosi che le televisioni ci propongono con accurata tecnica propagandistica.
E anche i giornali, che dovrebbero essere luogo di pacata e lucida razionalità discorsiva, non sfuggono a questa retorica, anche se costruita sulle parole e non sulle immagini.
Basta seguire con un po’ di cinismo e disincanto le argomentazioni finemente dialettiche, e spesso sofistiche, delle prime pagine e degli editoriali paludati sui grandi quotidiani del potere finanziario (Agnelli-Elkann, De benedetti, Confindustria) per scoprire la loro inequivoca collocazione politica, ideologica, culturale; una collocazione anch’essa adagiata sul versante di quel potere che, brutale nella tutela dei suoi interessi materiali, usa la scenografia del potere per coprire sé stesso con una splendente patina di dignità.
Le esequie di Napolitano cioè, assieme a molte altre narrazioni, e al di là dell’umano rispetto dovuto comunque ad un uomo al cospetto della morte, ci devono istruire sull’uso cinico, e raramente inconsapevole, di una comunicazione non al servizio nostro ma dell’immaginario delle istituzioni e dei suoi uomini che, a loro volta, troppo spesso, sono al servizio di qualcosa che non è la democrazia né le persone che essi dovrebbero rappresentare.
Elio Ambrogio
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Articolo pubblicato il 01/10/2023