Gasparo Murtola, poeta e pistolero
A Torino, nel febbraio del 1609, un poeta si trasforma in cronista di nera per raccontare l’attentato che ha subito nel primo giorno di quel mese, domenica, vigilia della Purificazione di Maria Vergine. È il poeta Giambattista Marino (Napoli, 1569 – 1625), noto come fondatore della poesia barocca, il quale dal 1608 al 1615 si trova a Torino presso la corte del duca Carlo Emanuele I.
Vi è giunto ai primi del 1608, al seguito del cardinale Pietro Aldobrandini, e, come poeta affermato e ammirato, è subito ricevuto con favore.
Carlo Emanuele I (Rivoli, 1562 – Savigliano, 1630), detto Testa di fuoco per le chiare attitudini militari, è uno dei più abili e colti esponenti di Casa Savoia. A buon diritto gode della fama di cultore delle lettere e delle arti nonché di mecenate. Personalità letterarie come Gabriello Chiabrera, Federico Della Valle e Giovanni Botero, sono assidui presso la Corte ducale, dove Marino può anche incontrare e frequentare aristocratici prestigiosi, come Ludovico Tesauro e il suo giovane fratello Emanuele, il conte Ludovico d'Agliè e il conte di Revigliasco. Più che comprensibile la decisione di Marino di darsi da fare per poter entrare al servizio del duca Carlo Emanuele I, ma così scatena l’ostilità del segretario di questi, il poeta genovese Gasparo Murtola (Genova, 1570 circa – Tarquinia, 1624).
Inizia così uno scambio di acide rime: le Risate del Murtola, note come Marineide, alle quali Marino risponde con le Fischiate, note come Murtoleide, dove con sonetti satirici mette in caricatura lo stile letterario del rivale.
Da parte sua Murtola non è andato leggero: nelle sue poesie è giunto all’insulto personale, rivolgendo a Marino gravi accuse di sodomia, oscenità ed empietà. Esce comunque sconfitto dallo scontro.
Sul finire del 1608, infatti, Marino pubblica a Torino il poemetto Ritratto del serenissimo don Carlo Emanuello duca di Savoia, panegirico in versi in sesta rima del duca, che lo apprezza tanto da conferire al suo autore il cavalierato dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro l’11 gennaio 1609. Grazie a questo titolo, Marino sarà noto come “il cavalier Marino”. Nello stesso tempo, Murtola viene licenziato.
È troppo. Ormai logorato dalla contesa non più soltanto letteraria, surclassato dalle capacità artistiche di Marino, Murtola si apposta nei pressi della chiesa della Santissima Trinità, in Dora Grossa, l’attuale via Garibaldi (1). Imbracciato un archibugio, spara in direzione di Marino che è in compagnia dell’amico Francesco Aurelio Braida, che viene ferito in modo non lieve. Marino, invece, rimane indenne. Racconta lui stesso l’attentato subito in una lettera, poi raccolta nel suo Epistolario, dove leggiamo:
«Domenica passata, che fu il primo di febbraio, vigilia della Purificazione della Santissima Vergine, giorno per me sempre memorabile, su la strada maestra presso la piazza publica, poco innanzi alle ventiquattro ore, mentre ch’io di lui non mi guardava, mi appostò con una pistoletta carica di cinque palle ben grosse, e di sua propria mano molto da vicino mi tirò alla volta della vita. Delle palle tre ne andarono a colpire la porta d'una bottega che ancora se ne vede segnata; l'altre due mi passarono strisciando su per lo braccio sinistro e giunsero a ferire il Braida nel fianco (giovane virtuoso, ben nato e mio parziale amico, il quale mi era allora a lato e veniva meco passeggiando), talché piaccia a Dio che la scampi» (2).
Murtola viene incarcerato e successivamente graziato, per intervento del nunzio pontificio e per intercessione dello stesso Marino. Si trasferisce a Roma e il suo nome sarebbe stato presto dimenticato, se non fosse stato legato al tentato omicidio del cavalier Marino.
Che i poeti possano essere generosi di insulti nei confronti dei colleghi è cosa nota. Ne abbiamo parlato in passato, quando abbiamo rievocato un episodio della Torino, ancora un po’ sonnolenta, del periodo pre-risorgimentale. Nel 1843, scoppia una polemica letteraria che vede lo scontro di Felice Romani (1788-1865), critico letterario e librettista d’opera, col poeta Giovanni Prati (1814-1884), spalleggiato da Angelo Brofferio, Pier Alessandro Paravia (1797-1857), professore universitario, e Antonio Baratta (1803-1864), caustico epigrammista. Una battaglia tra classicismo e romanticismo, dove i protagonisti sono giunti alla rissa con turpi insulti personali, espressi con linguaggio poetico, fino a tirare in ballo la moralità delle mogli di alcuni dei contendenti!
Ma, nel caso di Gasparo Murtola, vi è stato il passaggio alle vie di fatto che giustifica l’inserimento di questo episodio nella nostra rievocazione della Torino noir.
Note
(1) La Chiesa della Santissima Trinità, nell’attuale via Garibaldi al civico 6, è stata costruita, su progetto di Ascanio Vittozzi, a partire dal 1598. I lavori sono stati completati nel 1606, tre anni prima dell’attentato messo in atto dal poeta Gasparo Murtola.
(2) G.B. Marino, Epistolario, vol. I, Laterza, Bari, 1911, pp. 66-67.
Ringrazio Giorgio Enrico Cavallo per l’amichevole collaborazione (m.j.).
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Articolo pubblicato il 15/10/2023