Il furto della Gioconda

La mostra della Prima Monna Lisa

Mercoledì 24 gennaio alle 18:30, presso la promotrice delle Belle Arti di Viale Crivelli 11 - Torino, si terrà una conferenza sugli aspetti meno conosciuti del Lavoro di Leonardo da Vinci. Pubblichiamo un breve estratto del saggio di Giancarlo Guerreri che sarà presentato in questa occasione.

Ringraziamo Yume Edizioni per la gentile concesione.

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Il furto della Gioconda

Il dipinto più famoso del mondo è stato protagonista di un evento veramente incredibile che nel 1911 ha riempito le pagine dei giornali.
Ci sono fatti di cronaca che sembrano appartenere più alla fantasia che alla realtà. Dopo aver analizzato il capolavoro leonardesco, ed aver colto una serie di spunti che potrebbero incuriosirci se non addirittura stimolare nuovi e più credibili approfondimenti, riportiamo un vecchio caso comparso sui giornali del secolo scorso che si trova a metà strada tra il tragico e il patetico.
Il 21 agosto 1911 un tale Vincenzo Peruggia (1881 – 1925) riuscì a compiere un colpo clamoroso: il furto della Gioconda al Museo del Louvre.
Che si trattasse di una operazione assolutamente inutile probabilmente era noto anche al Peruggia stesso: rivendere un capolavoro unico al mondo risultò essere ovviamente impossibile, almeno in tempi brevi…
Generalmente furti di questo tipo sono organizzati da bande criminali che si avvalgono di “talpe” introdotte presso strutture museali o enti privati dove alloggiano importanti pezzi da collezione. Il furto avviene quasi sempre su commissione di qualche facoltoso collezionista che terrà per se l’oggetto proibito dei suoi desideri.
In questo caso non si trattò di un furto su commissione.  
Scopriremo in seguito che le vere motivazioni che spinsero l’autore del gesto “criminale” furono ben altre, e forse un po’ più nobili del previsto.
I FATTI:
Qualche tempo prima che avvenisse il furto, Vincenzo Peruggia, di professione imbianchino venne assunto dal Louvre per occuparsi della pulizia dei quadri e della loro copertura in vetro. Dobbiamo anche aggiungere che proprio in quel periodo i responsabili del museo parigino si stavano organizzando per valutare nuovi sistemi di sicurezza atti a prevenire i furti, sollecitati da una pressante campagna di stampa che denunciava la fragilità degli apparati di prevenzione.
La mattina del 21 agosto, giorno di chiusura, il Peruggia entrò nel Museo con altri operai da una porta secondaria, utilizzata esclusivamente dal personale interno. Senza alcuna difficoltà e senza incontrare nessuno entrò nel Salon Carré e staccò il ritratto della Gioconda. Si diresse verso l’esterno usando una scala di servizio, estrasse la tavola liberandola dal telaio, la infilò sotto la giacca e abbandonò vetro, e cornice nel cortiletto interno. Giunto a casa costruì una cassa di legno con doppio fondo e la custodì all’interno, quindi tornò di corsa al Louvre per riprendere servizio.
I custodi del Museo non fecero caso all’assenza del quadro, poiché pensarono che fosse stato portato in laboratorio per qualche accertamento tecnico.
Fu, infatti, solo il giorno seguente che la direzione prese atto del fatto criminoso, ma le successive perquisizioni alle quali sottoposero tutti i visitatori non condussero, ovviamente, ad alcun risultato.
Gli inquirenti trovarono in giardino la cornice e il vetro, scoprendo che era presente un’impronta digitale… purtroppo non ebbero il buon senso di confrontarla con quelle presenti nell’archivio del Museo… altrimenti avrebbero potuto scoprire che si trattava di un’impronta del Peruggia.
Il furto poteva considerarsi perfetto. Nessun sospetto particolare e nessun risultato durante le varie perquisizioni che furono effettuate a casa dei dipendenti del Museo.
Forse ingenuamente, ma in modo evidentemente efficace, Peruggia aveva tolto dalla cassa la tavola di Leonardo, ponendola sopra il tavolo della cucina sotto la tovaglia.
Per due anni le indagini proseguirono senza successo, venne posta una ricompensa di 25.000 franchi e furono anche compiuti alcuni arresti.
In quel periodo alcuni falsari riuscirono a vendere negli USA alcune copie della Gioconda ad incauti acquirenti, realizzando guadagni superiori ai 300.000 dollari.
Gli investigatori tentarono inutilmente di percorrere vie sempre diverse, venne pesa i considerazione persino la pista del “maniaco sessuale”. Due anni difficilissimi costellati di completi insuccessi.
Nel frattempo la tela era stata trasferita dal Peruggia in Rue de l’Hopital Saint Louis, in una piccola abitazione di proprietà del Peruggia stesso.
L’autore del furto, nel frattempo stava meditando come concludere la vicenda del furto e si decise a contattare un antiquario fiorentino per proporgli “l’Affare”.
Nonostante le apparenze il nostro imbianchino decise di vendere la Gioconda non tanto per realizzare un discreto guadagno… sicuramente non disprezzabile… piuttosto per riparare al furto, che secondo lui, Napoleone aveva perpetrato ai danni dell’Italia, trafugando il prezioso dipinto. In realtà la Gioconda venne portata in Francia dallo stesso Leonardo… ma questo risultò essere un dettaglio privo d’importanza.
Peruggia scrisse quindi all’antiquario fiorentino Alfredo Geri, per concludere la transazione.
“Egregio signor Geri, abbiamo l’onore di portare a vostra conoscenza, che si sta facendo della pratiche, in questa città e per mezzo corrispondenza, per la vendita del capolavoro vinciano La Gioconda. Ne saremo molto grati, se, per opera vostra, o di qualche vostro collega, questo tesoro d’arte ritornasse in Patria, e specialmente a Firenze dove Mona-Lisa ebbe i suoi natali, e che saremmo in special modo lieti se, un giorno futuro e forse non lontano fosse esposta alla Galleria degli Uffizi al posto d’onore e per sempre.
Sarebbe una bella rivincita sull’Impero Francese, che, calando in Italia fece man bassa su una gran quantità d’opere d’arte, per crearsi al Louvre un grande Museo e che, ancora oggi giorno la direzione si guarda bene dal far conoscere sulle guide, ai visitatori ed al popolo francese della loro provenienza”.

Ricevuta la lettera, Geri si rivolse a Giovanni Poggi, direttore della Regia Galleria di Firenze, che gli suggerì di prenderla in seria considerazione.

Pochi giorni dopo giunse la risposta dell’antiquario.

“Riguardo alla proposta che mi fate potrebbe essere accettata, occorre però che l’oggetto sia presentato qui in Firenze. Pensate voi a portarmi l’oggetto”.

La Gioconda, con grande umiltà, giunse in Italia nascosta in una valigia colma di biancheria sporca. Secondo la testimonianza diretta di Alfredo Geri, l’incontro avvenne in questo modo:
“il Peruggia chiuse la porta e la finestra e trasse dalla cassetta la tavola che il Poggi esaminò e richiese, per prudenza, di portarlo agli Uffizi per un riconoscimento più esatto. Peruggia acconsentì a rilasciare il quadro senza riluttanza e senza neanche aver chiesto la ricevuta”.
Il giorno seguente Vincenzo Peruggia veniva arrestato.
Durante il processo Peruggia tentò di discolparsi affermando di essere egli stesso un pittore di aver inteso il furto come un’operazione provocatoria di stampo futurista…
Negò sempre il fine di lucro, specificando che la sua azione era stata mossa da evidenti motivi di matrice patriottica.
Per il Pubblico Ministero si trattava di un furto premeditato, tale conclusione era avvalorata dalle dichiarazioni dell’antiquario fiorentino che affermò di aver ricevuto dal Peruggia una richiesta di cinquecentomila lire. La pena richiesta fu di tre anni di reclusione.
L’Italia, sede del processo, era divisa tra innocentisti e colpevolisti, vinse la fazione più severa e Peruggia fu condannato ad un anno e quindici giorni di reclusione.
Successivamente si ricorse in Appello e la condanna venne ridotta a sette mesi e otto giorni: Peruggia venne immediatamente scarcerato.
Da quel momento il capolavoro leonardesco venne riportato al Louvre, dove si trova oggi, identificato con il numero d’inventario 779.
Durante una recente intervista di Costanzo Gatta a Celestina Peruggia, Figlia di Vincenzo, deceduta nel 2011, emerge il ritratto di un uomo romantico, una sorta di “Don Chisciotte” desideroso di riparare a un ipotetico misfatto perpetrato dai francesi ai danni dello Stato italiano.
“Papà era un idealista”, affermò Celestina. “Nato a Dumenza l’8 ottobre 1881, andò in Francia nel 1909 e, dopo essersi adattato ad ogni lavoro, fu preso da una squadra di imbianchini che aveva appalti al Louvre, grazie ad un diploma di disegnatore di ornato. Mio padre rubò la Gioconda, fu arrestato e processato. Chiamato in guerra finì prigioniero. Dopo il conflitto si sposò e tornò in Francia, dove morì d’infarto l’8 ottobre del 1926. Sempre l’8 ottobre: tragica coincidenza di date. Quel giorno era anche il compleanno di mia madre Annunciata. Lei 29 anni, papà Vincenzo 44. Papà mi stava venendo incontro a braccia aperte, con in mano un cabaret di paste e una bottiglia. Cadde davanti alla porta di casa.
 
Vi è un particolare che riguarda la morte di mio padre che mi riempie ancora oggi di dolore:
Nel 1947, chissà perché, scrissero che era morto il ladro della Gioconda. Altri giornali andarono dietro alla voce senza controllare e mia madre apparve in paese come bigama o concubina. Eravamo tutti e tre rientrati a Dumenza dal 1942. Dovetti sbandierare il certificato di morte. Non è finita. Lo sceneggiato tv sul furto della Gioconda, girato da Castellani nel 1978, ripercorrendo le cronache dei giornali, ripeté l’errore. E fece morire mio padre come alcolizzato, solo e abbandonato da tutti, in una cittadina dell’alta Savoia.
In realtà mio padre morì a Sain Maur des Fosses ed ora è sepolto nel cimitero di Condé”.

Celestina disse anche che suo padre era stato espulso dalla Francia come cittadino indesiderabile, ma riuscì a farvi rientro, sotto mentite spoglie, per beffare una seconda volta il popolo francese.
Una storia assai singolare quella del “Ladro della Gioconda”, la storia di un personaggio che fece sorridere e commuovere milioni di persone.

 

- Brano tratto dal saggio "Il Mistero di Leonardo da Vinci" di Giancarlo Guerreri Ed Yume 2019

- Per gentile concessione di YUME EDIZIONI -

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Articolo pubblicato il 02/01/2024