Lo smart working che ci attende

Con la pandemia ha preso il via un processo di riorganizzazione del lavoro agile

La pandemia ha reso più evidente un elemento già precedentemente presente, ma non sufficientemente conosciuto da tutti, e cioè che tutto è connesso, non solo grazie alle nuove tecnologie come le reti, ma perché la salute, il clima, la geopolitica, l'intera società e i mercati sono più che mai interdipendenti in un contesto globale.

Un punto dunque da cui partire è certamente quello della riorganizzazione del mondo del lavoro e di come questo possa conciliarsi con la vita privata e il tempo libero degli individui.

La ridefinizione del lavoro come attività innovativa collettiva e collaborativa va verso una sua ridefinizione nella quale ad esempio si assiste alla fine del lavoro fordista, ovvero della classica catena di montaggio e del lavoro ripetitivo sostituito sempre più da robot e algoritmi.

Inoltre, si sta assistendo alla trasformazione del lavoro che vede la centralità del singolo individuo, con le sue competenze professionali, fatto di innovazione e di nuove forme organizzative basate sul rapporto integrato tra le diverse persone.

Vi è da sottolineare anche il passaggio da jobs a skills, ossia da mansioni standard a ruoli connessi alla competenza professionale di ciascuno, una evoluzione nella quale non contata tanto e solo più il compito assegnato a un lavoratore, bensì lo spazio che si lascia alla sua creatività, alla sua organizzazione (appunto smart).

Il lavoro si arricchisce e si modifica continuamente attraverso processi continui di apprendimento che prendono il posto di sistemi di formazione statica e limitata a fasi della vita (tanto è vero che la formazione continua sta diventando un punto fondamentale nel rapporto datore di lavoro e lavoratore).

Il lockdown dovuto al Covid-19, il dover stare in casa per centinaia di milioni di persone, ha cambiato abitudini, comportamenti, consumi, relazioni
che tendono a perdurare anche nel futuro con rilevanti effetti sull'economia e sulla società, sfociando in quello che ormai stiamo conoscendo con il nome di smart working, che non è da confendere con un già presente da anni telelavoro, poiché quest'ultimo prevede un'attività da remoto, spesso da casa, ma con orari e compiti ben definiti, appunto ancora con approccio quasi fordista, mentre il lavoro smart richiede capacità autoorganizzativa da parte del lavoratore che da un lato gli lascia spazio e autogestione ma dall'altro necessita di nuove regole contrattuali e etiche per non sovrapporre lavoro a tempo libero.

Dunque, lo smart working è la nuova frontiera del lavoro, soprattutto quello intellettuale, ma affinché possa produrre risultati efficaci è più che mai necessario dotarsi di tutta una serie di apporti, quali nuove forme contrattuali; una legislazione dei diritti (come quello alla disconessione); uno sviluppo della banda larga capillare su tutto il territorio (e su questo l'Italia è leggermente indietro rispetto ad altri paesi europei); incentivi fiscali per trasformare gli uffici, gli ambienti domestici, gli ambienti di coworking; tecnologie di supporto e cybersecurity; sviluppare una nuova mentalità e una capacità di far conciliare lavoro e vita personale; una giusta proporzione tra le ore di lavoro trascorse in ufficio e quelle da casa.

Durante questa transizione, si assisterà a un difficile pareggiamento tra il vecchio mondo del lavoro che arretra in certi luoghi, in certe funzioni e in certe professionalità, e il nuovo approccio smart al lavoro che sta emergendo. Non è però garantita alcuna compensazione automatica tra il vecchio che arretra e il nuovo che avanza, poiché i luoghi, i tempi e le professionalità dei due processi potrebbero non coincidere, creando squilibri. Dovremmo quindi assistere a consistenti interventi di correzione e di sostegno, mettendo in conto una transizione tutta da guidare, gestire e supervisionare.

Non di meno, lo smart working si articolerà attraverso tre direttive: quello esecutivo, in cui il lavoratore svolgerà mansioni lavorative predefinite e ripetitive dettate dall'alto; quello adattivo, che farà leva sull'autoapprendimento del lavoratore per gestire gli adattamenti continui richiesti dai processi di
personalizzazione; infine quello creativo, che assegnerà al lavoratore la funzione di sviluppare la ricerca di nuove soluzioni tecniche.

C’è ancora molta strada da fare affinché il lavoro possa arrivare a questo nuovo ruolo, diventando smart nel senso pieno del termine, ma il percorso è ormai tracciato e difficilmente si potrà tornare indietro.

 

 

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Articolo pubblicato il 26/06/2021