L’EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS – Sara Garino: C’era una volta una terra bellissima.

La storia senza età della buona politica

C’era una volta una terra bellissima. Era ricca e prospera, e i suoi abitanti vivevano nell’abbondanza di un raccolto che non conosceva carestia.

A Settentrione era cinta da montagne immacolate, mentre il Sud riverberava nello sfavillio di un sole caldo e fertile. Freschi fiumi l’attraversavano e verdi pianure aprivano il loro dolce passaggio al passo dei viandanti.

La bellezza e la buona sorte del paesaggio parevano infondersi nell’animo degli uomini, tant’è che nessuno era privo di doti, virtù o abilità particolari. Gli artigiani plasmavano i materiali di natura per crearne oggetti e utensili, gli agricoltori carezzavano il suolo per farne germinare frutti maturi, e gli artisti cantavano la miracolosa armonia di quanto stava loro intorno. Non c’era borgo ove non sorgesse castello, corte dove non stillassero sonore fontane, o giardino privo di fiori turgidi e profumati. Astronomi e filosofi alzavano con rapimento lo sguardo verso le meraviglie del cielo, mentre gli altri scienziati studiavano le proprietà degli elementi e i medici indagavano i misteri e il funzionamento del corpo umano.

Tuttavia, come sempre accade nelle storie più avvincenti, un brutto giorno arrivò il freddo. L’aria si riempì di grigio e per lungo tempo spessi nuvoloni tappezzarono il cielo, facendo perdere a esso tutta la sua gaiezza. Le zolle, prima tiepide e accoglienti, divennero desolate e stanche: e smisero di dare frutto. La voce suadente dei rivi divenne uno sciabordare a volte furioso; le fontane si inaridirono, i giardini si riempirono di rovi e le alte torri dei castelli caddero rapidamente in rovina.

Di tanta speme sembrava essere rimasto ben poco.

Gli abitanti avevano preso a farsi la guerra fra loro, e invece di affrontare questioni realmente importanti si accapigliavano per argomenti futili, al solo scopo di rivendicare il proprio primato sugli altri. Nell’impossibilità di ricomporre le crescenti liti, decisero dunque di affidarsi alla guida e al giudizio di alcuni Saggi, scelti con scrupolo fra la popolazione affinché traghettassero il Paese fuori dalle secche in cui si era incagliato.

I Saggi, però, dissero che avrebbero accettato l’onorevole ma gravoso incarico solo se tutti avessero loro ceduto una parte di sé.

Sono sufficienti tre monete?”, chiesero alcuni. “Non possediamo molto denaro, ma potremmo comunque cedervi una parte delle nostre misere provvigioni”, commentarono altri.

Prendete i miei libri: sono la più grande ricchezza che possegga”, sentenziò un filosofo. “E da me accettate ch’io componga un’aria in vostro onore”, cantò il musicista. “Non so scrivere Musica ma le mie mani plasmano la pietra e la carezzano come l’onda del mare sui rocchi della costa. Vi cedo volentieri queste sculture”, disse infine l’artigiano.

E giù, tutti a offrire e a proporre quanto ritenevano più importante, nella speranza che i saggi accettassero finalmente di mettersi al loro servizio. Il vociferare aumentò d’intensità, mentre la folla si accalcava per far conoscere le proprie merci e la propria storia.

Con solenne ma imperioso gesto prese allora la parola uno dei Saggi, e zittì il clamore. “Tenete per voi il vostro oro, non è questo ciò che vogliamo”, affermò. “Conservate pure le vostre ricchezze e impiegatele al meglio: esse sono servite ai vostri avi, servono a voi e domani serviranno ai vostri figli. Custodite voi stessi e i vostri valori, le vostre doti e la vostra cultura, perché queste sono le uniche cose che vi rimarranno quando vi accorgerete di aver perso tutto. Serbate soprattutto il tesoro della vostra mente e l’Arte che da lì può scaturire: essa vi recherà conforto durante i momenti difficili. Inoltre”, disse infine, “tenete pure per voi il frutto del lavoro delle vostre mani, e di esso cibatevi. Non è sulla materia che si fonda il mandato che volete conferirci”.

Stupefatta per il rifiuto, la popolazione trasse a sé le proprie cose. “Ma che cosa volete dunque per riportare la prosperità nei nostri villaggi e rendere di nuovo solidi quegli edifici che oggi pericolano”?

Il Saggio che aveva parlato in precedenza scrutò con trasporto la linea dell’orizzonte e gonfiando il petto per farsi meglio udire così disse. “L’obiettivo nostro e vostro è il bene comune. Per raggiungerlo abbiamo bisogno che ci diate una sola cosa: la vostra fiducia”.

Quel Paese era l’Italia, e i Saggi uomini politici dediti all’esercizio quotidiano del buonsenso.

Conferendo loro la nostra fiducia noi cediamo una parte del nostro io, quello che si attende la risoluzione di problemi che con le nostre sole forze non saremmo in grado di affrontare. Per questo la ricerca del consenso genera persuasione, ma la persuasione non può essere fine a se stessa. Essa è frutto di scelte comunicative strategiche, cui però si affianca un fattivo processo di costruzione di conoscenza e consapevolezza, con cui scrivere il finale della storia.

Sempre guardando alla concretezza delle cose, visto che purtroppo non viviamo in una fiaba stellata.

 

 

SARA GARINO

Direttore Editoriale

CIVICO20NEWS

 

 

 

 

 

 

 

 

(Immagine in copertina: Allegoria degli effetti del Buon Governo in Città, di Ambrogio Lorenzetti, 1338-1339, Palazzo Pubblico Siena)

 

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Articolo pubblicato il 05/05/2019