Il Vicolo cieco

Italia e sovranità economica

L’emergenza sanitaria di questi ultimi mesi, già affrontata in altri interventi dove si erano evidenziate le sue criticità di ordine giuridico e politico, assume oggi una dimensione nuova.  Passata la fase acuta dell’epidemia -sulla cui natura e dimensioni ci sono state e ci sono interpretazioni contrastanti- sorge un enorme problema di carattere politico-economico: come affrontare la devastante depressione che le varie scelte governative hanno prodotto nel mondo e soprattutto in un paese di grande fragilità come l’Italia? In termini più pratici: come e dove reperire le risorse finanziarie per soccorrere e salvare le attività economiche agonizzanti e riportarle in qualche modo sulla strada della ripresa?

Le strade sono solo due: politica monetaria o politica fiscale, intesa quest’ultima, secondo la terminologia anglosassone, come politica di bilancio in grado di reperire risorse da distribuire all’economia sotto forma di sussidi o prestiti. Altro non c’è.

Una nazione libera, con sovranità monetaria e una banca centrale propria, potrebbe facilmente scegliere fra le due opzioni, privilegiando senz’altro la prima tramite quella che all’estero viene chiamata overt money financing, cioè la monetizzazione del debito pubblico: la banca centrale acquista quantità illimitate di debito pubblico, emesso in situazione di emergenza, con conseguente emissione di moneta da far affluire immediatamente al sistema economico (imprese e famiglie), senza che tale debito debba essere ripagato in tempi definiti, essendo la banca centrare prestatore di ultima istanza e creatore di moneta senza vincoli. E’ sostanzialmente l’helicopter money di Milton Friedman.

La BCE in parte lo sta facendo ma con alcune limitazioni fondamentali: non assorbe debito irredimibile, in quanto esso dovrà prima o poi essere ripagato, non lo assorbe in quantità illimitata, e, soprattutto, lo fa in modo condizionato dalla diffidenza della Bundesbank tedesca e di altri paesi nordici. E ancora, questa pur grande massa monetaria dove finisce? Al settore reale (imprese e famiglie) o al settore bancario che poi, a sua scelta, lo presterà al primo?

Il problema vero è che l’Italia, non avendo più sovranità monetaria, cioè una delle componenti essenziali della stessa sovranità politica, deve sottostare alle scelte della BCE, che potrebbero non essere conformi alle nostre esigenze e potrebbero anche mutare in tempi brevi.

L’ altra scelta, e cioè la politica di bilancio è totalmente legata alle sovvenzioni dell’Unione Europea che, oltre ad essere del tutto intempestive e quindi al momento inutili, comporteranno senz’altro pesanti condizionalità, anche se il governo italiano e la stampa filogovernativa si intestardiscono a negarlo per motivi apparentemente sconosciuti, o forse fin troppo conosciuti.

Riassumendo: la via monetaria è fortemente limitata e in buona parte fuori dalle possibilità di scelta dell’Italia, dipendendo dalla BCE; la via di bilancio è ancor più fuori dalle possibilità di scelta dell’Italia dipendendo in grandissima parte dalle decisioni dell’Unione europea. L’unica via d’uscita da questo cul de sac è ugualmente, alle condizioni attuali, improponibile consistendo nell’uscita dall’euro o addirittura dall’Unione europea. Scacco matto.

L’unica cosa che possiamo fare -ma si tratta di una infima consolazione- è prendere coscienza di questa drammatica situazione e riconoscere onestamente che siamo un paese senza più sovranità, senza capacità di una politica libera e autonoma,  cioè non siamo più un vero paese.

Un’altra magra consolazione potrebbe consistere nell’andare alla ricerca delle responsabilità politiche di questa dissoluzione di sovranità. Non nella politica attuale, la cui bassezza è sotto gli occhi di tutti nel momento in cui vediamo i governanti guardare estasiati ogni giorno ai padroni di Bruxelles e di Berlino, ma anche nella politica del passato quando si fecero scelte sull’onda di un europeismo infantile e inconsapevole delle conseguenze economiche, ma anche delle conseguenze politiche e morali che si sarebbero determinate in termini di cessione di sovranità.

Quando si scelse di trasformare la Comunità economica europea, cioè un normale e apprezzabile accordo di libero scambio, in una megastruttura politico-burocratica sempre più invadente e dirigista in mano alle grandi lobbies continentali la nostra classe dirigente commise un drammatico errore. Non verso sè stessa, che da quella scelta ebbe lodi, onori e prebende, ma verso il paese che avrebbe dovuto servire.

E non si dica che non si poteva prevedere il futuro che ne sarebbe conseguito: molti economisti e molte menti politiche avvedute di allora l’avevano lucidamente previsto. Basta andare a rileggere la stampa e la saggistica dell’epoca.

L’entrata nell’euro fu l’atto finale che sancì la vendita della nazione, e i vari patti di stabilità finanziaria, pur intrinsecamente logici, affossarono definitivamente la nostra sovranità poiché per un paese non può esserci libertà politica senza libertà nella determinazione della politica finanziaria. Come è ben dimostrato dai fatti di questi giorni in cui un governo ha bisogno di un esercito di esperti per farsi dire che politica attuare. E i primi tre esperti che hanno preso la parola agli Stati generali sono state, non a caso, tre potenti signore straniere.

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Articolo pubblicato il 18/06/2020