REMEMBER: 27 GENNAIO 1945

Non vorremmo ricordare ma non dobbiamo dimenticare

Quel giorno l’esercito russo, che avanzava alla conquista di Berlino, spalancò un cancello sul quale troneggiava una scritta in ferro battuto: IL LAVORO RENDE LIBERI; ad Auschwitz, chiudeva un campo di lavoro, il “lager” più grande della cinquantina esistenti allora, nei quali si fabbricò la morte di 70 mila persone in camere a gas.

La macchina del tempo corre veloce lungo strade bianche e, nel polverone della sua scia, presto confonde tutto ciò che sorpassa e poco dopo si perde all’orizzonte, in cui, però, nulla si annulla. Il 27 gennaio pertanto, ancora una volta, quest’anno, è pietra miliare d’un cammino di dolore. Per non dimenticare, mettiamo i raggi “x” al nostro cervello perché sulla lastra della nostra memoria resti, della Shoah, la sua conturbante immagine sindonica in negativo, unica possibile, perché nessuno potrà rendercene una in positivo.

La Shoah, che alcuni ancora si ostinano a negare, ed ai quali verrebbe di augurarla, se non fossimo pervasi da buoni sentimenti, è stata una tragedia immane per chi l’ha vissuta. Per chi avrebbe potuto impedirla e non l’ha fatto, è stata invece... giudicate voi: un obbrobrio? Una infamia? Un abominio? Ci sarà pure un termine che tutti li riassuma e che qualcosa ancora aggiunga! Io non lo conosco, ma sento che c’è. Orrore? Ecco, forse, orrore. Un orrore incommensurabile, che il tempo non cancellerà.

Ancora una Giornata della Memoria, dunque, nella ricorrenza di quel 27 gennaio del 1945, quando fu squarciata la pesante cortina che fino ad allora aveva coperto il genocidio nazista. È stata istituita con nostra Legge del 20.7.2000 n° 211 “in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”.

Per dare un senso a questa commemorazione, ci sforziamo ogni volta, per assolverci dalla nostra insipienza, di saperne di più, di capirne di più. Ma “non c’è più nulla da capire. Non c’è più nulla da sapere”, ci disse già tempo addietro Eli(ezer) Wiesel, sopravvissuto per caso all’Olocausto e premiato col Nobel per la pace nel 1986. Scrisse anche ne “La notte” – la sua e quella di milioni come lui – che mai avrebbe dimenticato tutto quel che aveva visto, anche se fosse stato condannato a vivere quanto Dio stesso!

Molti di noi, invece, hanno dimenticato quella data, che la Legge impone di ricordare. Ieri, quest’oggi già non c’è più e quest’oggi non ci sarà più domani e forse, per chi sta leggendo queste righe, il 27 gennaio è già passato, magari da un pezzo, e non se n’è neanche accorto, perché non era un giorno di festa. La consuetudine, infatti, toglie anche alle carezze la loro carica emotiva ma l’augurio, per noi che stiamo vivendo la precarietà d’una pandemia esiziale, è di poterne vivere ancora molte di queste Giornate della Memoria e di far festa allora per esserci ancora.

Anche la memoria serve alla vita. Si vales, vàleo.

armeno.narini@bno.eu

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 19/01/2021