Coping contro covid

Covid: apolide senza passaporto, migrato non sappiamo da dove, migrante per ogni dove, da confinare altrove, in un altro mondo; meglio, da mandare all’altro mondo. Infido killer, matricola 19. Belva assetata del sangue di ultraottantenni, che cominciano a scarseggiare, sta ora guardando ai meno anziani, e ingordo, già spia i più giovani.

I virologi stanno cercando di porre riparo alla nostra vulnerabilità con i vaccini, ma quell’assassino continua intanto a far pesca di noi, e ci arpiona coi ganci di “spike” dal fascino di fata Morgana, nella tempesta perfetta d’un mare d’ansia e d’angosce. Ci siamo difesi con la segregazione del lockdown. Ci siamo offesi con la perdita di socialità. Ci siamo così privati del reciproco aiuto d’una mano, che trattenga l’altra d’uno come noi, che stava scivolando con noi nel buco esistenziale d’un comune stress emotivo, nel quale tutti vaghiamo, più o meno smarriti, nel decadimento delle nostre performance cognitive, nello scadimento della nostra autostima, nel dedalo delle insicurezze che minacciano la nostra salute mentale e lasciano indifeso il nostro corpo alle aggressioni del virus maledetto.

Gli psicologi stanno cercando di porre riparo alla nostra spossatezza con le strategie di “coping”, di tecniche, cioè, che possono permettere di dominare gli eventi avversi, dai quali si rischia di essere dominati, restandone stressati. Ma ogni stress ha le sue caratteristiche, così come ogni individuo. È difficile, quindi, dettare una regola che valga per tutti e per tutte le situazioni di disagio. È facile invece comprendere che per vincere lo stress, non bisogna restare inerti correndo il rischio farsi stritolare, ma occorre muoversi per sfuggire alla presa che ci blocca, reagire.

Alcuni potrebbero cercare di prendere le distanze dall’evento stressante con la scelta di un diverso modo di pensare, che ne allontani dalla propria mente i contesti fastidiosi. Potrebbe essere utile, per altri, anche l’analisi dell’evento alla ricerca delle cause: conoscerle, consentirebbe di sottrarsi più agevolmente ai loro effetti. Intensificare il tempo delle proprie occupazioni lavorative potrebbe essere stressante, ma si sa, chiodo scaccia chiodo e stress scaccia stress: quello del lavoro, che nel tempo abbiamo imparato a padroneggiare, scaccerebbe quello dell’evento che rischia di padroneggiarci. Alla socialità, che ci hanno o che ci siamo interdetta, magari inopinatamente, possiamo in qualche modo sopperire con i mezzi informatici, che consentono pure di vedere le persone che ci mancano. Ne danno una immagine piatta mentre vorremmo abbracciare a tre dimensioni i nostri cari, i nostri amori, nella loro fisicità, ma bisogna fare di necessità virtù e coltivare il pensiero positivo che questo torneremo a farlo ed altrettanto positiva dovremo figurarci la prospettiva che torneremo a farlo presto e per non mancare a questo incontro studiamoci oggi di essere presenti domani, usando tutte le accortezze suggerite da chi presiede al governo di questa dannata pandemia e anche quelle che ci vengono dalla nostra ragione.

Se ci fosse da ridere su questa tragedia immane dell’umanità, potremmo usare anche dell’ironia, che gli psicologi suggeriscono talvolta in certi casi per il benessere emotivo dei loro pazienti. Possiamo irridere però, e questo ci farà bene, alle tante insulsaggini dispensate a basso costo da chi sa di non sapere ma è obbligato dal ruolo a dire su quel che non sa e che viene sbertucciato subito dopo da chi, sapendo, aveva troppo taciuto.

Non deve comunque venir meno la fiducia in sé stessi, a voi che “fatti non foste per viver come bruti” e per soccombere, ma “per seguir virtute e conoscenza”, né deve mancare la speranza, che va coltivata e correttamente intesa come “aspettazione fiduciosa nella realizzazione di quanto si desidera”: Treccani docet, dopo Dante. Si vales, vàleo.

 

armeno.nardini@bno.eu

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Articolo pubblicato il 18/04/2021