Iceberg Internet

Internet è un mondo virtuale, in cui esseri reali si incontrano solo nell’etereo, avendo adottato l’ora di Greenwich, con e-mail e chat o sui palcoscenici dematerializzati di social network, usando la fittissima rete di collegamenti informatici tra computer a livello planetario, che permette lo scambio quasi in tempo reale di posta elettronica, immagini, filmati, ipertesti, musica. Web è la sua sottorete ipertestuale, navigabile – si dice in gergo - con appositi programmi detti browser.

Nella immensità di Internet tutto è possibile: informarsi ed essere disinformati, indulgere e negare, acconsentire e disapprovare, schernire ed essere derisi, oltraggiare ed essere ingiuriati, insultare ed essere offesi, giocare e farsi prendere dal gioco, vendere e acquistare, vendersi e farsi comprare, farsi sentire anche in musica ed essere ascoltati, vedere e mostrarsi, frodare ed essere truffati. Nella permissività di Internet tutto si può fare in proprio o sotto mentite spoglie, presentandosi con un nickname oppure operando nell’anonimato più assoluto, pagando dovunque e riscuotendo da ogni dove con moneta reale o digitale, con valuta legale o con criptovaluta.

Internet è un immenso iceberg. Solo il dieci percento della propria massa è visibile oltre il pelo dell’acqua e in superficie, nel “surface web”, la navigazione è facile: non necessitano patenti, né particolari conoscenze o competenze, né telefonini, smartphon o computer costosi e sofisticati. Il “surface web” è per tutti: uno dei motori di ricerca più utilizzati è il browser Google. Per pochi, invece, è il “deep web”, l’immenso mare sotto la superficie, che nasconde il novanta percento dell’iceberg. Qui, ci vanno solo gli internettiani capaci di usare software complessi, che girano su macchine non proprio alla portata di tutti, costi a parte. Il “deep” più profondo, dove la luce non arriva più e molto poco lascia vedere della parte terminale sommersa dell’iceberg, il “dark web”, è lo spazio ristretto (si fa per dire) dei pochissimi superspecializzati, che vi possono concludere gli affari più loschi e più grandi, con i più elevati livelli di riservatezza e con garanzia di un pressoché assoluto anonimato delle loro operazioni illegali, dalla compravendita di armi, di droga e di documenti falsi al furto di dati e allo svuotamento dei conti correnti bancari altrui.

Nel “dark web” soprattutto, scandagliano le polizie d’ogni Stato a caccia di certi criminali e anche le compagnie di assicurazione nel caso debbano risarcire valori volatilizzatisi nell’etere per consistenti truffe anche informatiche. Si muovono dunque in questa palude infida anche i più provetti programmatori, che affiancano all’elevato bagaglio di competenze la propria indole di segugi, volta a stanare il malaffare scardinando i sistemi approntati a schermare certe indicazioni digitali. Le loro sfide informatiche non sono tanto diverse da quelle degli “hackers”: padroni della tecnica, questi penetrano abusivamente nelle reti di calcolatori per impadronirsi delle informazioni contenute, mossi da finalità che possono anche essere quelle di sentirsi realizzati psicologicamente con la prodezza commessa, ma che per lo più sono quelle di spionaggio commerciale, finanziario, politico o di ricatto; in questo caso, possono bloccare l’operatività della rete violata o minacciare la cancellazione dei dati nella rete in loro possesso se non si paga la somma richiesta, da versare per lo più in bitcoin nei modi cifrati proposti.

Nel mondo impalpabile dei dati criptati, che viaggiano sulla rete Internet, ci sono dunque specialisti che operano per finalità illegali ed altri che operano per contrastare queste finalità, ma ci sono anche hackers, spesso psicologicamente sfigati nella vita, che hanno fatto dell’hackeraggio la propria vita: forse sono i più preparati perché i più determinati a violare una rete per il solo gusto di riuscirci. Tanti, fra loro, hanno spesso un passato vissuto da “hikikomori”: chiuso il mondo fuori dalla propria stanza per ragioni in genere caratteriali, isolatisi socialmente, sostituita la vita reale con quella virtuale, hanno sviluppato una vera e propria dipendenza psicologia da Internet: una sindrome che pare esaltata dal lockdown pandemico. Si vales vàleo.

FOTO: kaspersky daily

armeno.nardini@bno.eu

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Articolo pubblicato il 27/05/2021