Mutatis mutandis

Noi ragazzacci, al tempo del liceo, si traduceva molto liberamente in modo maccheronico questo massima, che è diventata il titolo d’un libro di Giacomo Danesi: Mutatis mutandis – Cambiate le mutande– Sottotilo: “Aforismi e sentenze latine, liberamente scelte e commentate dall’autore(Ciliverghe di Mazzano - Edizioni Nadir -Febbraio 2009). 

La traduzione letterale è questa: cambiate le cose che sono da cambiare (cambiate, non è imperativo ma participio passato). L’aforisma si usa per indicare che certe situazioni sono rimaste immutate, pur se sono cambiate le cose che dovevano essere cambiate: mutatis mutandis, ci troviamo nella stessa situazione. C’è quindi, nella sintesi verbale latina, il senso di sconsolata presa d’atto d’una speranza andata delusa.

Non è stato proprio così, dopo il rimescolamento delle carte nel nostro Governo, che ha frustrato l’aspettativa d’un Conte ter.

“Cambiamo ciò che va cambiato” aveva detto il Presidente della repubblica nel suo messaggio indirizzato agli Italiani la sera dell’ultimo giorno dell’anno passato, “rimettendoci coraggiosamente in gioco”. Il suo è stato un imperativo categorico e più di qualcosa, infatti, è cambiata.

Il gradimento del Presidente Draghi, intorno al 70 percento al momento del suo insediamento, ha però perduto una decina di punti, stando ai recenti dati Ipsos per il Corriere della Sera. Invocato ad una funzione taumaturgica, egli ha messo mano a tante cose ma non tutto si può far presto e bene: certi cambiamenti richiedono tempi tecnici di esecuzione che, per le riforme, sono più lunghi. Il popolo, stressato da una congiuntura tra le più terribili a memoria d’uomo, voleva miracoli: tutto e subito. Continua ancora, invece, ad essere nella stretta vischiosa e costrittiva d’una situazione pandemica che non ha perduto tanto della sua drammaticità.

Ma ci sono bagliori di luce in fondo al tunnel della speranza: la riduzione dell’indice di contagio; le aperture prospettiche di progressiva eliminazione del lockdown con lo spegnimento del semaforo delle Regioni e una Italia tutta in zona bianca; le notizie sempre più rassicuranti dei virologi; il ritmo militare della marcia guidata dal generale Figliuolo verso la meta della vaccinazione di gregge, che coinvolgerà presto anche i più giovani, la cui salute ci sta cuore ma le cui possibili sconsideratezze future, memori del passato, ci preoccupano.

Lungo il cammino della completa liberazione dal contagio, ci sono però ancora ostacoli: il numero giornaliero dei decessi continua a fare impressione; i tanti che rifiutano la vaccinazione lascia perplessi, suscita spesso sentimenti di ostilità e impone provvedimenti amministrativi e sanitari diversamente intesi e auspicati ma non facili da attuare neanche nei confronti dei dipendenti pubblici; i contenuti ristori economici, erogati per altro tardi e troppo disordinatamente, pur rivisti in maniera significativa, sono lontani dal determinare quel corale tiro alla fune che porti il carro di tutti fuori dal pantano; non è ancora diffuso il sentimento anche transnazionale che da questa pandemia, connotata di comorbilità socioeconomiche collettive, ci si può salvare solo tutti insieme. A questo, anche, si deve lavorare, politicamente. Si vales vàleo.

armeno.nardini@bno.eu

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Articolo pubblicato il 02/06/2021