Dove eravamo rimasti?

Per una riaffermazione del primato del diritto

Dove eravamo rimasti?

Ah, sì: al ruolo della magistratura. Nell’ultima conversazione avevamo sostenuto che la lotta contro la dittatura sanitaria, o pseudo-sanitaria, si sarebbe basata sul ricorso a coloro che, per tradizione storica e per dettato costituzionale, avevano il compito di applicare la legge e di difendere i diritti dei cittadini.

Il magistrato, nell’antica accezione di “bocca della legge”, è quello che deve stabilire il giusto e l’ingiusto, il lecito e l’illecito, il possibile e il dovuto secondo quanto disposto non tanto dalle singole norme, che possono anche essere illegittime sotto diversi profili -giuridici, etici o di fatto- ma dalla visione complessiva dell’ordinamento giuridico, che è cosa un po’ più complessa della piccola, banale e talvolta meschina legge, leggina, decreto, circolare o fantasiosa interpretazione burocratica dell’ultimo travet di passaggio.

Il magistrato non può e non deve utilizzare altre logiche, politiche, opportunistiche, fattuali, personali, per dichiarare la volontà della legge.

Tutti ricordiamo i danni apportati dall’ “interpretazione evolutiva del diritto” nei decenni scorsi, e molti di noi ricordano anche il richiamo di un grande giurista americano come Antonin Scalia, per quasi trent’anni giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, sostenitore dell’”originalismo” o “testualismo” che mira a ristabilire la volontà originaria delle norme costituzionali a fronte delle interpretazioni contingenti ed estemporanee di governi, burocrazie e magistrature inferiori.

In sostanza, non è lecito far dire alle costituzioni ciò che non hanno detto, o non far dire ciò che hanno detto. Se proprio si ritiene che esse non siano più adeguate ai tempi, le si cambi. O con la procedura emendativa propria degli Stati Uniti o con la procedura di revisione costituzionale contenuta nell’art. 138 della nostra Carta fondamentale. La torsione interpretativa oltre certi limiti non è giuridicamente e politicamente lecita, né eticamente consentita, soprattutto quando cade in contrasto con quell’”idem sentire” di un popolo su cui una costituzione stessa si innesta.

Ecco quindi la necessità per i magistrati di valutare con rigore, e con distacco dalle contingenze politico-sanitarie del momento, la coerenza della normativa covidaria in primis con il precetto costituzionale ma anche con i principi generali dell’ordinamento, non esclusi quelli internazionali recepiti esplicitamente secondo quanto disposto dagli art. 10 e 117 della Costituzione.

A questo proposito, si possono spendere alcune parole su ciò che la comunità internazionale ha dichiarato e sancito nei suoi orientamenti, in particolare tramite trattati che -si badi bene- non sono mere dichiarazioni di buona volontà, ma atti giuridici di diritto internazionale vincolanti per i paesi che li hanno sottoscritti, Italia compresa.

Fra i tanti, giova ricordare La Convenzione internazionale sui diritti civili e politici (meglio noto come Patto internazionale sui diritti civili e politici), trattato delle Nazioni Unite nato dall'esperienza della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, adottato nel 1966 e ratificato dall'Italia il 15 settembre 1978; ma anche la Convenzione europea dei Diritti dell’uomo firmata a Roma nel 1950 nell’ambito del Consiglio d’Europa; ed ancora lo Statuto di Roma istitutivo della Corte penale internazionale del 1998; la Convenzione di Oviedo del 1997 sui diritti umani e la biomedicina; e da ultimo anche gli stessi trattati istitutivi e regolatori dell’Unione Europea, il cui vincolo nei confronti del legislatore e del giudice italiani è assolutamente stringente.

Si tratta di convenzioni (ripetiamo, vincolanti per gli stati sottoscrittori) i cui contenuti sono rilevanti anche come principi generali del diritto in virtù dei richiami effettuati dagli artt. 10 e 117 della Costituzione: il giudice italiano ha il dovere di utilizzarli sia come norme cogenti sia come strumenti interpretativi.

Proprio in quest’ottica, con ordinanza 7 dicembre 2021, emessa nella fase cautelare del giudizio, il Giudice del Lavoro di Padova ha rimesso alla Corte di Giustizia UE ben sette quesiti vertenti, a vario titolo, sulla questione dell'obbligo vaccinale per gli esercenti professioni sanitarie.

Un esempio interessante di come la normativa italiana possa e debba essere posta in relazione con quella europea e, in genere, con quella sovranazionale. Restiamo in attesa non solo del responso della Corte di Giustizia di Lussemburgo, ma anche di analoghe iniziative di altri organi giudiziari italiani che vogliano farsi carico di un giudizio di compatibilità della nostra recente normativa in materia sanitaria con i grandi principi di libertà, di rispetto dei diritti umani, di sovranità del diritto che stanno a base della nostra civiltà occidentale.

Sarà interessante poi vedere sollevate le numerose questioni di legittimità costituzionale che quella normativa pone non solo in relazione alla nostra Carta fondamentale ma anche alla normativa internazionale sopra ricordata.

L’importante, come già sottolineato in un precedente articolo, è che molte persone, molte organizzazioni, molte istituzioni si attivino in questo senso, sommergendo governo, ministri, governatori regionali, funzionari e tecnici amministrativi di ricorsi e istanze giudiziarie, come peraltro sta già avvenendo in diversi casi, e richiamando tutti questi soggetti alle loro precise responsabilità là dove si è disinvoltamente aggirato la legge e il rispetto delle persone, a livello singolo e collettivo.

E questo non certo per una sorta di meschina vendetta postuma, ma per una civile riaffermazione dello stato di diritto e di quei principi etico-politici in cui tantissimi di noi hanno creduto sino a non troppi mesi fa, e per evitare che una simile catastrofe democratica abbia a ripetersi in futuro.

In particolare andrà valutata anche la responsabilità penale di coloro, politici e amministrativi, che hanno posto in essere questi comportamenti, a titolo di dolo o di colpa, quanto meno per riaffermare quel principio di responsabilità personale da cui nessuno può sottrarsi in un paese civile.

Il rifiuto dell’archiviazione da parte del GIP di Reggio Emilia, nel dicembre 2021, di alcune ipotesi di reato a carico di Giuseppe Conte può costituire un significativo precedente di ripristino della legalità nel nostro paese.

Anche qui per riaffermare che in una civiltà moderna nessuno può sentirsi al di sopra della legge, tantomeno chi ha alte responsabilità di governo, e che l’emergenza non significa mai arbitrio, in nessun caso, anche se molti, troppi, a tutti i livelli, di élite e di popolo, hanno ritenuto che la necessità -vera o immaginaria- possa prevalere sulle regole della civile convivenza.

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 24/01/2022