Gorby

I Faraoni portavano nelle loro tombe i beni che avevano amato in vita perché potessero servirsene ancora nell’aldilà.

L’ultimo Presidente dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, l’URSS, CCCP in caratteri cirillici, Mikhail Gorbaciov, nel suo viaggio ultraterreno ha portato via con sé due valori nei quali aveva molto creduto: “perestroika” e “glasnost”, riorganizzazione e trasparenza.

La sua opera è stata motivo di cambiamenti radicali nelle relazioni fra il Blocco sovietico e quello occidentale. “Disprezzava la guerra. Disprezzò la realpolitik. Era sicuro che il tempo per risolvere i problemi dell’ordine mondiale con la forza fosse finito. Credeva nella scelta delle nazioni”. Così scrive di lui Dimitry Muratov, caporedattore di Novaya Gazeta, giornale indipendente che aveva sospeso da marzo scorso le pubblicazioni da Mosca per tema di sanzioni dalla censura russa e al quale nei giorni scorsi un Tribunale moscovita ha ritirato la licenza di pubblicazione concessa una trentina d’anni fa.

La Chiesa ortodossa, che vede oggi Kirill come Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, non riconosce il dogma della Immacolata Concezione, festeggiata l’otto di dicembre dalla Chiesa cattolica. Lo ricordiamo perché fu proprio in questo giorno del 1991 che l’Accordo di Belaveza sancì la dissoluzione dell'URSS. Poco dopo, nel giorno del Natale cattolico, che gli ortodossi festeggiano invece il 7 di gennaio, Gorbaciov si dimise da capo di Stato e abbandonò definitivamente la politica e il Cremlino.

Su Twitter, il Segretario generale dell’ONU Antonio Guterres lo ha ricordato come “statista unico nel suo genere” ed ha aggiunto che, con lui, “il mondo ha perso un leader globale imponente, un multilateralista impegnato e un instancabile sostenitore della pace”. “Leader affidabile e rispettato” per Ursula von der Leyen e, per Emmanuel Macron, “uomo che ha cambiato la nostra storia comune”, nel 1990 fu insignito del Premio Nobel per la pace.

In occidente, Gorbaciov è stato sempre molto apprezzato per l’opera di riorganizzazione della struttura sociale e del sistema economico del suo Paese e per le relative riforme improntate alla trasparenza, con l’obbiettivo di combattere la corruzione e i privilegi della classe politica sovietica. Più che riorganizzazione, la “perestoika” è stata una rivoluzione in cui la “glasnost” ha permesso l’accesso agli archivi storici e la pubblicazione di libri già vietati e non più sottoposti a censura. A lui, taumaturgo che allora sollevò l’URSS dal declino, si attribuisce anche buona parte del merito per la fine della Guerra fredda, il crollo della Cortina di ferro, la caduta del muro di Berlino e la riunificazione delle due Germanie.

Nella sua Patria, invece, tanti lo hanno detestato perché la “glasnost” della “perestroika” aveva portato allo scoperto e posto sotto gli occhi del mondo i tarli d’una economia prossima al collasso e gli orrori del sistema politico governato dal Partito Comunista e soprattutto perché aveva lasciato il Paese nelle mani della Federazione Russa nella quale, tra l’altro, Ucraina e Bielorussia, con Estonia Lettonia e Lituania, erano diventate stati sovrani indipendenti.

Per Putin, cultore fuori tempo di un imperialismo atavico, d’altri tempi, la caduta dell’URSS è stata “la maggiore catastrofe geopolitica del secolo” e la “operazione militare straordinaria” è la sua guerra per la restaurazione delle condizioni storiche precedenti, che vedevano l’Ucraina solo come una terra delle Grande Russia: il suo chiodo fisso è la russificazione.

Gorbaciov è stato un graffio nella Storia, che lo ricorderà anche semplicemente come Gorby, vezzeggiativo che non sminuisce la sua figura di grande politico, ma ne attesta la vicinanza al cuore della gente per la umanità e anche, talvolta, per la umiltà dei suoi atteggiamenti.

Non ha cambiato il mondo, come pensano alcuni, ma molto ha fatto per cercare di cambiare il suo Paese. In merito, nel 2018, nell’intervista rilasciata al regista Andreas Herzog, dichiarò che avrebbe voluto questa iscrizione sulla sua tomba: “Ci abbiamo provato”.

L’indolenza degli ignavi non fu dunque per Gorby una norma di vita e un Dante d’oggi non lo metterebbe tra le “anime triste che vissero sanza infamia e sanza lodo”, avendogli il mondo attribuito infamia e lodo.

Si vales, vàleo.

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Articolo pubblicato il 08/09/2022