Si vis pacem para bellum (Vegezio)

Il fondamento della pace è nell’ordine razionale e morale della società (Giovanni Paolo II)

Una nota del centrodestra impegna il Governo Meloni a conseguire entro il 2028 l’obbiettivo per la spesa della difesa pari al 2% del prodotto interno lordo; impegna inoltre, a promuovere e sostenere tutte le iniziative diplomatiche volte a creare le condizioni di un negoziato per la cessazione del conflitto che sta portando allo sfinimento il popolo dell’Ucraina. Intanto, il governo Meloni proroga per tutto l’anno prossimo la cessione di equipaggiamenti militari a quello Stato, già deliberata dal governo Draghi a febbraio scorso con provvedimento che scade a fine anno.

Con la generale condanna della “operazione militare straordinaria” portata da Putin in Ucraina, i nostri aiuti militari a quello Stato e le spese per il nostro apparato militare incontrano apprezzamenti e dissensi, che trovano fondamento in ragioni etiche e politiche.

Mentre la Chiesa cattolica di liturgia cristiana è nel periodo di Avvento, con la certezza che dopo quattro settimane arriva il Natale di festa, l’Ucraina è nella notte più profonda senza alcuna certezza di un nuovo giorno che porti la fine della guerra. E la pace? - di cui è simbolo il pittogramma riprodotto nella foto d’apertura di questo articolo, disegnato nel 1958dall’artista inglese Gerald Holtom e da lui mai registrato – La fine della guerra porterebbe anche la pace?

Nel suo messaggio per la Giornata mondiale della pace, era il giorno di Capodanno del 1982, Giovanni Paolo II disse che il fondamento della pace è “nell’ordine razionale e morale della società”. Quindi, la pace regnerà nel mondo quando ci sarà quest’ordine.

In questa prospettiva, le cause di ogni guerra sono da ricercare non tanto, o non soltanto, in ragioni di ordine politico o economico, quanto invece, soprattutto, nelle trasgressioni che sconvolgono l’ordine naturale.

Una ingiusta aggressione è un vulnus. Valentina Bartolucci, esperta di sicurezza accreditata presso il nostro Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con una laurea in scienza della pace presso l’Università di Pisa, ritiene che: “La difesa civile non armata e non violenta è più efficace della risposta armata, anche contro i despoti e i tiranni; è più sostenibile nel lungo periodo perché comporta meno sofferenze, contribuisce a ricostruire e a compattare la società e, spesso, riesce anche a mettere in discussione l’aggressore stesso, aiutando le sue componenti della società civile più attente alla pace e ai diritti umani” (*). Alla guerra aggressiva, però, si può rispondere anche con una guerra difensiva, che è guerra lecita, mentre la prima è illecita e questo qualifica in modo diverso gli aiuti che possono essere forniti all’uno o all’altro dei belligeranti.

L'articolo 11 della Costituzione Italiana recita: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà dei popoli e come mezzo di risoluzione alle controversie internazionali”.

Ci sono però situazioni, in contesti sovranazionali di alleanze partecipate dall’Italia, che impongo aiuti di uomini e di mezzi in risposta a comuni sentimenti umanitari e, ormai, è prassi ufficializzata quella di impiegare talvolta i nostri militari a sostegno di certe popolazioni coinvolte in determinati conflitti locali.

I nostri Padri costituenti hanno previsto saggiamente di ripudiare la guerra aggressiva, non quella difensiva, se resa necessaria per rispondere a un attacco armato di uno straniero; comunque, un apparato militare pronto alla guerra è un deterrente contro un nemico potenziale.

Marco Tullio Cicerone nella sua Settima filippica sosteneva che se vogliamo la pace dobbiamo essere pronti a gestire la guerra, ma più nota è la frase latina, che sintetizza un pensiero espresso tre secoli prima di lui da Publio Flavio Vegezio: “Si vis pacem, para bellum”.

“Se vuoi la pace, prepara la guerra”, è il detto che dà fondamento al principio di deterrenza, teso all’evitamento dei conflitti, imperante per tutto il periodo della così detta Guerra fredda. Un relativo equilibrio militare tra un potenziale aggredente e un potenziale aggredibile è motivo di dissuasione del primo verso il secondo e di tranquillità del secondo nei confronti del primo. Ma le guerre scoppiano ugualmente, purtroppo, e questo costringe a dare alla frase di Vegezio anche una portata diversa.

Infatti, chi porta la guerra di aggressione potrebbe essere indotto a trattare la fine del conflitto (con la quale il ritorno della pace, comunque, non è affatto certo) se vede la vittoria compromessa da chi combatte la guerra di difesa con armi difensive, sottovalutate nel piano di attacco, che si mostrano pari a quelle offensive.

Per alcuni, dunque, tra due contendenti che si combattono, la cessazione delle ostilità (gabellata semplicisticamente come pace) potrebbe essere la risultanza d‘un conclamato equilibrio delle loro forze militari; la guerra scoppia quando questo equilibrio è disatteso; la pace torna con la presa d’atto della persistenza dell’equilibrio militare.

Così, il mondo vedrebbe l’alternanza continua tra guerra e pace.

Ma noi la pensiamo diversamente. Noi pensiamo che la pace vada costruita con la pace, innalzando baluardi contro la guerra. Noi pensiamo alla violenza distruttiva dell’ordine naturale – “ordine razionale e morale della società” - come a un fiume turbinoso, che quando esonda fa danni immani, dai quai ci si può, ci si deve proteggere, governando quelle acque limacciose tra gli argini solidi della fratellanza universale, fino a disperderle nel mare immenso, dove si rigenera costantemente l’ecosistema che dà vita al nostro pianeta.

Si vales, vàleo.

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(*) (https://magazine.cisp.unipi.it/costruire-la-pace/)

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Articolo pubblicato il 03/12/2022