Auguri in abbondanza
La pandemia e le sue conseguenze ci hanno scaraventato nel più grave disagio sociale che potessimo immaginare. Siamo vissuti in apprensione costante, in inquietudine continua, in tensione crescente per le problematiche sanitarie, enfatizzate dalla minaccia d’una insicurezza economica destabilizzante.
Quasi indifesi, ci siamo trovati esposti d’improvviso alla sommatoria di eventi stressanti, già difficili da fronteggiare singolarmente. Con lo scadimento della qualità della vita, siamo scivolati inesorabilmente nella palude melmosa dell’ansia. Addio, in noi, alla serotonina, ormone della felicità fagocitato dalla noradrenalina, che è l’ormone dello stress. La faticosa gestione d’un quotidiano senza aspettative ha visto il dominio dell’ansia in noi, grande, ma non tale da spegnere la voglia di riscatto.
Poiché siamo “uomini, non caporali” abbiamo quindi trovato la forza di rispondere alle prevaricazioni degli eventi avversi puntando sulle innate capacità di reazione, preso atto del fatto che, se l’ansia priva di certezze il futuro, il suo antidoto è la speranza, che dà concretezza all’avvenire. Potevamo quindi cambiare la nostra vita, e noi stessi, combattendo le pene dell’ansia con la fiducia nella speranza.
Abbiamo buttato l’ansia alle ortiche, e abbiamo cominciato a coltivare la speranza d’un ritorno alla normalità. Abbiamo ripreso a vedere gli amici, a combinare incontri conviviali, a frequentare palestre, a partire per il viaggio sospeso o per uno diverso e catartico dagli affanni passati, a sospendere il lavoro da casa e incontrare i colleghi nei luoghi di lavoro; il tutto, dando anche un senso diverso alle dosi di farmaci anticovid, da metabolizzare alla stregua di tutti gli altri vaccini cui ci siamo sottoposti sin dall’infanzia.
L’alba di questo nuovo giorno è stata oscurata, però, da una tempesta che la meteorologia politica aveva sottovalutato: la guerra portata in modo proditorio da Putin all’Ucraina. La sua insensata “operazione militare straordinaria” ha colpito noi, e tanti altri, come un tremendo pugno allo stomaco, per il quale ancora boccheggiamo, dopo ben 10 mesi. Stavamo venendo fuori dalla nostra ansia generalizzata, quando ci ha preso l’ansia empatica per gente già vittima delle nostre stesse sofferenze pandemiche, in preda ora di afflizioni più gravi, più dolorose, più devastanti, più disumane, più insensate delle prime, anche perché non addebitabili alla determinazione avversa della natura ostile ma alla volontà perversa d’una decisione disumana.
Nel mare d’ansia della nostra navigazione esistenziale abbiamo però rafforzato l’albero maestro della nostra barca per la vela più grande della speranza, fiduciosi nel buon vento che ci porti fuori più rapidamente dalla inquietudine del domani, incerto tra le brume all’orizzonte.
“La speranza – scrive Francesco Alberoni - riapre l'orizzonte… Consiste proprio in questo la vita, nell’aprirsi dell’orizzonte del futuro”.
Con la speranza, costruiremo il nostro futuro.
Siamo ormai al nostro Natale, che ha dato significati cristiani di rinascita alla tradizione pagana di questa festa. Per i nostri padri era il “Dies natalis Solis invicti”, il giorno di nascita del Sole invitto. Dopo la lunga notte del solstizio d’inverno, il Sole rinasce, per dominare con la sua luce vitale sul buio dei giorni passati, all’alba di un nuovo anno di aspettative.
Trovi dunque ognuno il coraggio di cominciare a pensare al domani con fiducia, di venir fuori dal pantano dell’ansia per mettersi sul sentiero della speranza, “attender certo della gloria futura” (Dante – Paradiso XXV – 67/68).
Si vales, vàleo.
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Articolo pubblicato il 23/12/2022