Ricordarsi di non dimenticare

La scoperta russa del 27 gennaio 1945

Seconda guerra mondiale. Operazione Barbarossa. Prevedeva la invasione e la conquista della Russia da parte della Germania nazista, ma le forze armate tedesche furono bloccate in vista di Mosca, che avevano raggiunto in pochi mesi: era l’inverno del 1941/42. La controffensiva portò in tre anni l'Armata dell'Unione Sovietica ad Auschwitz. Era il 27 gennaio del 1945; Hitler si sarebbe suicidato tre mesi dopo. Lì, su di un cancello, dominava l’insegna Arbeit macht frei - Il lavoro ti rende libero. Nel 1873 l’etnologo Lorenz Diefenbach aveva scritto un libro dallo stesso titolo. Quello era un lager, campo di lavoro. Col senno di poi, campo d'internamento e di concentramento, quindi, campo di sterminio. 

In quello speciale campo, gli operai avevano vitto e alloggio gratuito ma non un contratto sindacale ed erano lì non per aver risposto a una domanda di lavoro. Erano stati reclutati con rastrellamenti organizzati e poi, non condotti come persone, erano stati trasportati come bestie con la forza in quel campo di concentramento, il più grande di tanti altri. Erano lavoratori particolarmente dotati. La loro specializzazione? Ebrei di razza!

Razza: il concetto fondato sul presupposto che esistono razze umane diverse, alcune biologicamente e storicamente superiori ad altre ha supportato, nelle Storia dei tempi, prassi politiche discriminatorie di razzismo, in qualche modo perduranti.

Ebrei: persone appartenenti al popolo ebraico, leggiamo nella Enciclopedia Treccani. Persone, quindi esseri umani, e soltanto una, ed unica, è la razza degli umani.

Per Luigi Luca Cavalli-Sforza, genetista tra i più grandi al mondo deceduto nel 2018, il concetto di razza non ha fondamento scientifico, non esistono razze superiori o inferiori, la purezza della razza è inesistente, impossibile e totalmente indesiderabile. Per Richard Charles Lewontin, genetista statunitense deceduto nel 2021, la classificazione razziale non ha alcun significato: i suoi studi hanno dimostrato che le persone sono tutte diverse tra loro proprio perché individui: soggetti unici, quindi, ma tutti della stessa specie.

La conferma della unicità della razza umana viene, poi, dai più recenti studi consentiti dalla scoperta del DNA, la molecola che presiede alla codificazione delle informazioni genetiche ed è responsabile della trasmissione dei caratteri ereditari. Dopo che il sequenziamento del genoma umano ha dimostrato in termini inconfutabili la unicità del genoma di qualsiasi individuo, come leggiamo nel magazine elettronico della Fondazione Veronesi, il termine razza non ha più alcun significato biologico, giacché ciascuno di noi porta nel proprio genoma ancora un 1,7 % di DNA dell’uomo di Neandertthal.

Diverse, nel mondo, non sono, dunque, le razze umane, ma le etnie, i gruppi di individui, cioè, legati tra loro da comuni elementi religiosi, culturali e di lingua, da identici stili di vita e da antiche tradizioni, che affondano le radici nei territori d’origine, già abitati insieme, e che perdurano pure nei singoli, che se ne sono allontanati per l’evolversi dei tempi, seguendo le strade della vita.

Nei lager, la paga di quei lavoratori era la morte e la morte dolce nelle docce dai veleni soporiferi, da preferire, era comune invocazione degli addetti comandati allo smaltimento nei forni crematori dei corpi senza vita di persone come loro. Nell’aldilà, avevano porta una domanda senza risposta: cosa c’è di sbagliato nella specializzazione d’essere ebrei?

Per gli umani, con un solo atto creati tutti da un solo Dio, cui quasi ognuno si lega con religioni diverse, non possono esserci differenze di razza, ma possono esserci differenze di imprinting etnico per i diversi insediamenti delle genti sulla Terra.

Quel 27 gennaio del 1945 i lavoratori ancora presenti ad Auschwitz, e poi anche gli altri degli altri lager non ebrei per razza ma ebrei per etnia, furono tutti messi in pensione non per limiti di età, ma di sopportazione. E il loro trattamento di fine rapporto fu il bagaglio delle storie, patite in quelle baracche, che nessuno di loro ha mai raccontato intorno al focolare per intrattenere i bambini col borbottio della polenta nel paiolo. I fatti di quei giorni, qualcuno di loro ce li ha riferiti solo a fil di voce, con lo sguardo perduto in un vuoto difficile da colmare, con pudore, ritraimento d’animo da laide cose (Dante – Convivio, IV, XXV,7) non imputabili a loro, ma ad uomini come loro. Sono rimasti in pochi, ormai, a custodire quel patrimonio personale di ricordi da dimenticare. Noi dobbiamo invece ricordarci di non dimenticare l’addio alla parola razza, senza rimpianti, ma col compiacimento di persone perbene.

Razza è termine già eliminato nel 2018 dalla Costituzione francese, dove era presente fin dal 1946. Angela Merkel aveva proposto di cancellarlo dalla Legge fondamentale della Repubblica federale di Germania, ma quella Corte Costituzionale ha di recente detto che è meglio tenersi l’attuale testo perfettibile, piuttosto che avventurarsi oggi verso nuovi lidi giuridici, che rischiano di vedere domani indebolito il principio che si vuole difendere, principio di cui, a parer nostro, si parla troppo poco.

E in Italia? L’Art. 3 della nostra Costituzione dice che Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Abbiamo istituito il Giorno della Memoria al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati (Legge 2011/2000).

Abbiamo il privilegio di averlo fatto prima dell’ONU, che solo nel 2005, per la stessa data del 27 di gennaio ha decretato la celebrazione della Giornata mondiale di commemorazione in memoria delle vittime dell’olocausto, ma la parola razza è ancora lì, nella nostra Costituzione, pur se le leggi razziali fasciste sono state cestinate da tempo. Abbiamo motivo di ritenere che questo basti? Ci manca il coraggio dei Francesi o preferiamo forse la linea scelta dai Tedeschi, col rischio d’essere tacciati d’essere ancora nei teli eterei di chissà quali fantasmi culturali?

Si vales, vàleo.

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 26/01/2023