L'EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Elio Ambrogio: MES? No, grazie

Qualche idea per il governo Meloni

Dopo attenta riflessione abbiamo ritenuto di trascurare alcuni fatti grandi e drammatici che stanno sconvolgendo il mondo e la storia dell’Occidente in questi giorni, e cioè: Zelensky a Sanremo, Donzelli e i visitors piddini a Cospito, le donnine di Matteo Messina Denaro.

Concentreremo invece la nostra attenzione su un piccolo e frivolo argomento, giusto per alleggerire un po’ queste pagine: il MES, cioè il Meccanismo europeo di stabilità, e relativa riforma, una cosina da nulla che però potrebbe portare la nostra nazione alla rovina.

Ironia a parte, si tratta di un tema che sembra scomparso dai palinsesti televisivi e dalle pagine dei grandi giornali per lasciare il posto alle notizie sopra indicate, ma che purtroppo incombe come un macigno sulla nostra vita collettiva e sulle scelte imminenti che il governo sarà chiamato a fare, e che -al di là dell’aspetto tecnico- coinvolge l’intera visione politica che la nuova maggioranza ha esibito in campagna elettorale e propone anche oggi al suo elettorato e al paese intero.

Intanto, che cos’è il MES? In estrema sintesi, è un’istituzione internazionale, con sede in Lussemburgo, nata nel 2012 a seguito degli sconvolgimenti finanziari determinati dalla crisi del 2007-2008 e costituita essenzialmente da un fondo di 700 miliardi di euro (80 già versati) creato dagli stati dell’eurozona, fondo che presta denaro ai paesi con problemi di bilancio i quali  hanno difficoltà a collocare i loro titoli di debito sui mercati finanziari; tali prestiti sono però subordinati all’adozione da parte dei paesi destinatari di rigorose, e sovente molto dure, politiche di risanamento finanziario dettate dallo stesso MES.

La durezza di quelle politiche è stata sperimentata dalla Grecia negli anni seguenti il 2009: il paese è infatti precipitato in una drammatica recessione che ha provocato un generale impoverimento dell’intera società, una recessione che a tutt’oggi non è ancora pienamente superata.

Dal 2019 è partito il percorso di ratifica della riforma di tale istituto, ratifica già firmata da diciotto stati su diciannove: manca solamente l’Italia, che però con tutta probabilità provvederà in tempi brevi.

E qui si impongono alcune considerazioni.

Intanto va notato come il MES abbia una natura molto ambigua che non convince assolutamente la nostra piccola mente schematica: si colloca infatti perfettamente in quella tendenza contemporanea a ibridare mondo pubblico e mondo privato creando organismi che non appartengono né all’uno né all’altro  e riuscendo a riassumere in sé i difetti di entrambe le realtà, ma che soprattutto permettono agli interessi privati - in particolare a quelli colossali della finanza internazionale - di entrare nelle decisioni pubbliche, o sedicenti pubbliche. L’OMS (Organizzazione mondiale della sanità), ampiamente finanziata da imprese e fondazioni private, ne è un altro inquietante esempio che negli ultimi anni ha dimostrato tutta la sua pericolosità.

Il MES infatti -e contrariamente a quel che può pensare qualcuno- non è un’istituzione dell’Unione Europea bensì un’impresa avente la forma giuridica di una société anonyme di diritto lussemburghese con suoi amministratori, anche se nominati dai ministri finanziari dell’area euro, che godono di un’assoluta immunità giuridica sotto il profilo amministrativo, penale, civile: in pratica le loro persone, le loro azioni, il patrimonio dell’ente hanno una caratteristica assimilabile all’extra-territorialità (leggi “impunità”) che contrasta profondamente con ogni principio di responsabilità comunemente accettato dal diritto moderno;  cosa che dovrebbe farci pensare, anche se ormai sembra una tendenza consolidata negli organismi sovranazionali.

Il MES non è semplicemente un’istituzione a cui i governi possono rivolgersi per ottenere finanziamenti, ma è di fatto un sovra-stato non legittimato da nessun pronunciamento democratico: la concessione di prestiti è infatti pesantemente condizionata sia sotto il profilo economico sia sotto quello politico, e nessuno garantisce che quanto successo in Grecia nel 2009 non possa ripetersi oggi o domani per altre nazioni in difficoltà le quali potrebbero vedersi imporre politiche finanziarie pesantissime che vanno dall’espropriazione di beni pubblici alla riduzione del valore nominale dei titoli di stato.

In pratica, la spoliazione legalizzata di una intera società; e neppure attuata da una comunità sovranazionale a cui si è liberamente aderito, come l’UE, ma da una società finanziaria gestita da tecnici e tecnocrati senza volto e sconosciuti a tutti: l’UE infatti viene chiamata in causa solo nel momento in cui la Commissione europea deve esprimere un parere sulla situazione economica del paese richiedente e sulla sua solvibilità, poi tutto passa al MES che agisce autonomamente.

E’ pur vero che nessuno stato è obbligato a richiedere i “servizi” del MES, ma è altrettanto vero che governanti irresponsabili, messi alle corde da una situazione finanziaria drammatica, potrebbero non avere altra scelta e cedere la sovranità del paese a quell’istituzione.

Il MES si finanzia, oltre che con i contributi degli stati, con l’emissione di prodotti finanziari da collocare sui mercati e anche questo è un ulteriore elemento di commistione fra pubblico e privato con tutti i possibili inserimenti di interessi particolari in un’azione che dovrebbe essere esclusivamente proiettata alla tutela di interessi collettivi, anche considerando che non viene per nulla esclusa la partecipazione di capitali finanziari privati a quello del MES. Immaginiamoci quali conseguenze potrebbe avere una simile opzione: grandi fondi di investimento acquisirebbero un potere significativo in un istituto che a sua volta avrebbe poteri immensi sulla vita degli stati; una vera distopia economica e politica.

E la riforma del MES che presto dovrà essere discussa, e probabilmente approvata, dal parlamento italiano non andrà ad attenuare questi problemi, infatti essa contempla essenzialmente tre modifiche: la possibilità di finanziare il Fondo unico di risoluzione delle crisi bancarie, cosa in sé non negativa se dà maggiore sicurezza al sistema bancario; l’estensione del requisito della sostenibilità del debito a quello della capacità di ripagarlo, cosa assai fumosa, arbitraria e politicamente pericolosa; e infine la precisazione delle condizioni per la concessione delle linee di credito precauzionali, che comporta però per il paese che le richiede una forte riduzione del deficit e del debito pubblici, cosa già conosciuta e sperimentata in Grecia ma anche in Italia.

Senza considerare che il nostro paese, terzo contributore del MES con una quota del 18%, oggi è costretto a mantenere immobilizzati e inattivi in quel fondo 14 miliardi di euro con l’eventualità di salire a 125, denaro (quello versato e quello impegnato) totalmente congelato e inutilizzabile in un momento difficilissimo per la nostra economia e per la possibilità di fornire all’intera società servizi pubblici decorosi e aiuti alle famiglie.

E qui si pone il problema politico per Giorgia Meloni: che fare dinnanzi alla ratifica del nuovo MES?

Dopo che la Presidente, per anni, ha mostrato un’ostilità neppure tanto velata verso quell’organismo ripetendo in sostanza le critiche sopra riportate, risulta piuttosto difficile per lei favorire un’approvazione della sua riforma; e francamente appare un po’ patetico asserire, come da lei fatto, che l’Italia potrebbe votarla solo per non bloccarla definitivamente in sede europea e per non danneggiare gli altri paesi che l’hanno già sottoscritta, giurando però sulla testa degli italiani che mai e poi mai il suo governo accederà in futuro ai prestiti del MES, per nessun motivo.

Se si ritiene che quell’istituzione, anche nella sua nuova versione, sia una trappola pericolosa per l’Italia e per molti paesi europei, come argomentato sopra, sarebbe invece necessario dire di no, un puro e semplice no. Tanto il MES rimarrebbe in piedi, con le stesse strutture e nelle stesse funzioni progettate dai tecnocrati europei sin dal 2012, e mancherebbero solo le modifiche più recenti.

Cara Giorgia, sarebbe un modo semplice e diretto per dire chiaramente che il nuovo MES non ci piace, come non ci piaceva quello vecchio, e che neppure la costruzione europea come sta andando avanti oggi ci piace poi molto.

Sarebbe soprattutto un modo -per riprendere le tue belle parole dette a Del Debbio qualche giorno fa- per far capire che non è più nostra intenzione andare a Bruxelles col cappello in mano.

Proprio come avevi promesso in campagna elettorale.

 

Elio Ambrogio

 

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Articolo pubblicato il 05/02/2023