Razzismo a Sanremo

C’è chi considera migranti anche i figli nati in Italia da genitori migrati nel nostro Paese

Razzismo al Festival della canzone italiana di Sanremo, seguito da un vasto pubblico anche dall’estero: ne ha parlato la presentatrice Paola Egonu. Pallavolista italiana, una delle più forti giocatrici al mondo, per la rivista Forbes tra gli Under 30 europei più influenti, è nata in provincia di Padova, a Cittadella, da genitori entrambi nigeriani, emigrati un tempo in Italia. Da loro, ha ereditato il colore della pelle, che l’ha resa vittima costante del razzismo per cui, stella della Nazionale italiana, ha abbandonato la maglia azzurra. Si sentiva diversa; col tempo, però, ha capito: “Questa mia diversità è la mia unicità”. Già: diversa, ma unica.

Gli italiani sono razzisti?

L’ho chiesto a GPT, la chat di intelligenza artificiale voluta da Elon Musk, il magnate dell’elettrico nella mobilità delle automobili, che ha perduto il primato di uomo più ricco del mondo dopo la emorragia delle sue finanze per l’acquisto di Twitter. Questa la risposta generata per me in pochi minuti: “No… Mentre il razzismo e la discriminazione esistono il Italia come in altri Paesi, è importante riconoscere che non è un atteggiamento universale tra la popolazione italiana... L’Italia ha una storia di accoglienza di immigrati e rifugiati e molti Italiani sono attivamente coinvolti nella promozione delle diversità e della inclusione”.

Mi è sembrata una risposta all’altezza della intelligenza artificiale vantata da questo modernissimo modello conversazionale, in fase sempre più avanzata di evoluzione. Poi, ho cominciato a dubitare che non fosse tutta farina del suo sacco, essendo io memore d’un recente articolo di Karima Moual per il quotidiano La Stampa del 13 febbraio appena trascorso: “È certamente ingeneroso descrivere l’Italia tutta come razzista, ma purtroppo bisogna avere il coraggio e l’onestà intellettuale di dire che vi è una fetta importante di italiani convintamente conservatori e razzisti, un’altra di italiani semplicemente ignoranti, un’altra ancora di italiani sentimentalmente e culturalmente non pronti a percepire l’altro come parte di un «noi». E infine solo una piccolissima parte, invece, interconnessa con il mondo e in una dimensione che non conosce confini, e quindi senza pregiudizi, che è più accogliente e meno timorosa di vivere il nuovo come parte di uno spazio di crescita da condividere insieme”.

Il razzismo che si manifesti come discriminazione esacerbata nei confronti dei migranti, considera migranti anche i loro figli, che non sono migrati coi genitori, ma sono nati e cresciuti in Italia, dove i genitori migrati hanno trovato accoglienza. I tratti somatici dei figli dei migrati, che palesano le loro evidenti diverse etnie, pongono infatti queste persone sullo stesso piano relazionale dei loro genitori nel giudizio dei razzisti di qui, pur se ci sono motivi di fondo che impongono diversità di valutazione.

I migranti lasciano la terra d’origine con la speranza, nel cuore, di trovare da noi una terra che consenta loro di vivere una esistenza adeguata alle umane necessità.

I migrati vivono nella nostra terra, straniera per loro, con la speranza, nel cuore, del ritorno nella terra dei padri, per riprendersi quello che hanno lasciato lì. Sono proiettati nel passato d’una esistenza, cominciata altrove, che ha una grande forza attrattiva.

I figli dei migrati vivono nell’Italia dove sono nati con la speranza di avere qualcosa in questo Paese. Sono proiettati nel futuro d’una esistenza, cominciata qui, che ha una grande forza propulsiva.

Io non mi volevo sentire straniera”, ha scritto Karima Moual, marocchina di Casablanca, italiana per cittadinanza acquisita e fortemente voluta.

Come posso sentirmi straniero”, mi ha detto un affermato fisiatra di Abano, figlio di migrati dal Perù, nato a Padova, dove si è laureato e specializzato.

La cittadinanza acquisita dai migrati difficilmente rende completa la loro italianità tanto nel giudizio degli altri quanto anche nel loro giudizio nei confronti di sé stessi, perché spesso faticano a sentirsi completamente italiani. Il processo di integrazione dovrebbe essere normale, invece, per i figli dei migrati nati qui da noi, o, almeno, più facile, poiché essi appartengono a una generazione diversa da quella dei loro padri. D’ostacolo, però, sono spesso anche le loro differenti caratteristiche somatiche, le quali portano tanti locali ad escluderli. Pure per questo, in tanti figli di qui dei migrati, pur se comunque locali di fatto, si esaspera talvolta questo sentimento di esclusione, che li porta spesso ad escludersi, sentendosi esclusi.

La integrazione è un percorso difficile. Ma la diversità, che sconcertava Paola Egonu, era la sua unicità, come lei ha poi capito. Sono uniche, infatti, tutte le persone che popolano questo mondo, pur se di etnie che colorano diversamente la loro pelle, che disegnano diversamente i loro tratti somatici.

“L’individuo è unico – lo ha detto anche il marocchino Tahar Ben Jelloun – ma al tempo stesso somiglia a tutti gli altri individui. La nostra identità sta in questa diversità, in questa unicità”. Ma questo poeta e scrittore ha aggiunto anche una frase emblematica: “Una identità è qualcosa che dà e riceve”.

I nostri padri, maestri del diritto, hanno sintetizzato così il contratto di permuta che, per traslato, non riguarda solo il mutuo scambio di beni materiali: “do ut des”. Lo abbiamo dimenticato?

Si vales, vàleo.

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Articolo pubblicato il 23/02/2023