Gocce di sudore

Caldo, clima, media e soldi: un’analisi disallineata

Scusate le gocce di sudore sull’articolo, ma vivendo i giorni più caldi della storia umana (o forse dell’intera storia del pianeta) qualche inconveniente capita.

Non staremo a sottolineare la follia generalizzata dei mezzi di comunicazione che, in quest’estate 2023, hanno scatenato il terrorismo climatico più dissennato di questi ultimi anni; è un fatto sotto gli occhi di tutti, così come lo è un interrogativo fondamentale: come mai, a fronte di una situazione climatica sostanzialmente non differente da quelle del passato, i mezzi di comunicazione hanno calato su di noi una “bolla comunicativa” che non ha nulla da invidiare a quella covidaria di recente memoria?

Come mai tanta ossessiva insistenza su un fenomeno per nulla drammatico o difforme da situazioni già vissute senza particolari criticità in anni recenti e meno recenti?

Può darsi che i media scontino la normale carenza di notizie che caratterizza la stagione estiva pre-feriale e che quindi riempiano lo spazio informativo desolatamente vuoto con la non-notizia di una calura anomala.

Oppure ci troviamo di fronte qualcos’altro, magari a quella che Paul Krugman sul New York Times chiama “politicizzazione del clima”?

O siamo di fronte a qualcosa di ancora più ampio e complesso, come potrebbe essere un vero e proprio riassetto dell’economia capitalistica che usa il clima come presupposto ideologico per operare e giustificare quel riassetto (non usiamo il termine reset, che sa di complottismo)?

Parliamo di presupposto ideologico per sfuggire alla fumosa e inestricabile discussione sulla realtà o sull’irrealtà della questione climatico-ambientale.

Non siamo in grado di valutare l’attendibilità dei dati che giornalmente ci vengono inflitti in una girandola di elaborazioni, composizioni e scomposizioni, interpretazioni e interpolazioni, verifiche e confutazioni.

E in fondo nessuno è in grado di conoscerli nella loro genuinità prima che finiscano nelle mani di chi, scienziato, pseudo-scienziato, giornalista, attivista, politico ce li proponga secondo la sua personale visione o collocazione di parte. Oggi come oggi quasi nessuno è in grado di dire se esista o no un reale mutamento climatico e se esso sia di origine antropica o meno.

Giocare con le percentuali di consenso scientifico attorno a questa questione (“la stragrande maggioranza/la quasi totalità degli scienziati sostiene...”) presuppone la domanda fondamentale: la scienza è democratica? E’ vero solo ciò che è sostenuto dalla maggioranza degli studiosi?

Naturalmente no, soprattutto se si considera il fatto che la scienza nel mondo attuale è ben lontana da una qualche forma di “neutralità” e che ha dei finanziatori privati che indirizzano le ricerche con denaro privato e dei finanziatori politici che fanno lo stesso con denaro pubblico.

L’unica cosa assolutamente certa in questo mondo di incertezza è che gli scienziati sono divisi sul tema e che non c’è assolutamente unanimità -o anche solo amplissima condivisione, come si vuol far credere- sull’esistenza di una emergenza climatica e sulla sua origine antropica. E di questo c’è ampia documentazione, sia a livello italiano sia a livello internazionale. Cercare per credere.

Dunque sarebbe bene abbassare i toni sovreccitati che quasi sempre caratterizzano il dibattito ambientale, soprattutto da una parte, ed espellere da esso il termine “negazionista”, che già in sé contiene una monumentale arroganza e un’altrettanto monumentale presunzione intellettuale. Senza considerare il fatto che la negazione di un errore, o di una affermazione opinabile, è di per sé un contributo alla verità, e che in fondo Copernico, Galileo, Newton, Pasteur, Einstein furono grandi negazionisti delle verità scientifiche contemporanee.

Credere ingenuamente che la scienza sia una sola e sempre virtuosa, indiscutibile e angelica, come ritengono gli “affermazionisti” della crisi climatica, è proprio una di quelle posizioni mentali che vale la pena di negare. E la politicizzazione del clima, di cui parla Krugman, è appunto una variabile della discussione che va presa in seria considerazione.

Non staremo a ricordare la divertente tesi per cui la calura estiva vada in qualche modo ricondotta al governo Meloni, non tanto perché in qualche stanza segreta di Palazzo Chigi abbiano acceso le fornaci, quanto piuttosto perché qualcuno, con mirabile contorsionismo intellettuale, ha parlato di “indifferenza ambientale” come caratteristica saliente del governo di centro-destra. Insomma, da una parte c’è una sinistra con un cuore verde e palpitante e dall’altra una destra apatica e cialtrona che si occupa d’altro.

Il problema vero però, a nostro avviso, va riportato in una sede più alta e il termine “politicizzazione” va inteso in senso molto più ampio.

Molti ritengono infatti che l’emergenza climatica sia la nuova frontiera creata dalla finanza internazionale per convogliare le immense risorse gestite dai fondi ESG (environmental social governance) verso impieghi ambientali. Secondo il Bloomberg Barclays global negative yelding index debt a fine 2020 l’ammontare di tali risorse era di 18.000 miliardi di dollari, cifra che oggi è certamente aumentata.

A ciò si aggiungono molti altri prodotti finanziari che fondi, banche, società finanziarie convogliano quotidianamente verso gli investimenti “sostenibili”, qualsiasi cosa questa espressione significhi.

Anche molti grandi gruppi industriali hanno compreso come l’attività manifatturiera e gli altri settori della produzione reale siano ormai giunti a una fase di stagnazione dovuta alla saturazione dei mercati, e quindi sia necessaria una riconversione radicale verso settori nuovi, e di questi il più promettente è di sicuro quello ambientale comprensivo, in particolare, di quello climatico.

Se a tutto questo si aggiunge il fatto che tutti questi settori, sia finanziari che produttivi, possono a loro volta essere ricondotti in qualche modo, sotto l’aspetto della partecipazione azionaria, a super-gruppi finanziari che operano a livello globale (si pensi a colossi come BlackRock, Vanguard, State Street e altri) i quali a loro volta controllano la maggioranza dei mezzi di comunicazione in tutti i paesi sviluppati, allora il cerchio si chiude e appare plausibile la spiegazione di come l’emergenza climatica sia diventata, a livello mediatico, lo strumento principe di questa transizione voluta dai grandi poteri economici mondialisti.

Anche le patetiche e ripetitive interviste televisive ai turisti accaldati in Piazza Navona o al pensionato che boccheggia su una panchina di Palermo fanno parte di questo disegno; un disegno attuato nei dettagli, e certo inconsapevolmente, anche dal povero inviato in cerca di un modo per riempire i pochi minuti che il caporedattore gli ha assegnato.

 

© 2023 CIVICO20NEWS - riproduzione riservata

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 22/07/2023