Dove l’onda anomala si fa tsunami devastante

Striscia di Gaza

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A ripopolare la Terra, dopo il diluvio universale, ci pensarono Sem, Cam e Jafet, figli di Noè, salvati con le loro mogli nell’arca costruita dal padre.

Pastori nomadi, organizzati in tribù più o meno numerose, i Semiti, discendenti di Sem, vagavano nella Mesopotamia quando il Signore venne in sogno ad uno dei loro capi, cui ordinò di muovere le tende e dirigersi verso Canaan. Questa fu la Terra, dai confini incerti, promessa dal Signore ad Abramo per i suoi discendenti, che vi si stabilirono intorno al 1800 a. C. Comincia così la storia di questo popolo di migranti, come possiamo leggerla soprattutto nella Bibbia.

Forse a seguito di una grave carestia, lasciata la Terra promessa, migrarono in Egitto, dove soggiornarono senza particolari problemi fin quando presero ad essere perseguitati dal Faraone Rameses II. Mosè allora ne guidò l’esodo nel grande viaggio di ritorno alla Terra promessa, raggiunta dopo una quarantina d’anni, intorno al 1200 a. C. La conquistarono anche con aspre guerre sotto la guida di Giosuè, poi di Davide e infine di Salomone. La decadenza successiva alla morte di quest’ultimo vede in Galilea la costituzione del Regno d’Israele, conquistato poi dagli Assiri, che deportarono la popolazione in Mesopotamia, e a Gerusalemme la costituzione del Regno di Giudea, conquistato poi da Nabucodonosor, che deportò la popolazione ebraica a Babilonia.

Queste deportazioni segnano l’inizio della diaspora, della dispersione del popolo ebraico, che prese a cercar scampo altrove per sfuggire alle varie dominazioni subite da Israele, dove spesso ritornava fra una dominazione e l’altra.

Su quella terra passarono i Persiani di Ciro il Grande, i Macedoni di Alessandro Magno, i Romani che la chiamarono Palestina, gli Ottomani, i Crociati, i Musulmani.

Dopo Cristo, molti ebrei abbracciarono la nuova religione monoteista e nel 600 cominciò l’islamizzazione di quelle terre. Per i musulmani divenne Terra sacra perché Maometto era asceso al cielo da Gerusalemme. I Cristiani avevano preso a considerarla come loro Terra santa. Gli ebrei non avevano mai smesso di rivendicarla perché era la Terra promessa.

Dopo la metà del 1800 cominciano contro gli ebrei le ostilità, che toccano l’apice in Germania, con le leggi razziali di Hitler. Gli ebrei scappano verso la Terra promessa, che si trovava in quel momento sotto il protettorato inglese. Gli arabi palestinesi islamizzati li considerano invasori e cercano in tutti i modi di limitare le loro mire espansionistiche. Ci sono anche scontri armati, attacchi terroristici che si susseguono e morti, tanti morti. Come caldeggiato dall’ONU, nel 1948 Ben Gurion proclama la fondazione dello Stato di Israele, che di fatto prende in breve il controllo sui territori di Palestina.

Il 7 ottobre scorso il braccio armato di questa popolazione attacca in modo proditorio Israele dalla Striscia di Gaza. Netanyahu dichiara guerra ad Hamas. L’ipotesi di due popoli, due stati non piace né agli Ebrei né ai Palestinesi. Entrambi cercano la eliminazione dell’altro dalla terra che ciascun popolo considera propria. L’onda anomala dell’odio, partita da lontano, spinta pure dal vento dei contrasti religiosi, si fa tsunami devastante, che su quella terra in poche settimane semina migliaia di morti soprattutto tra i palestinesi.

Il mondo non sta proprio a guardare; ma fino ad ora non è stata buttata molta acqua per spegnere quell’incendio, che ha ripreso vigore da carboni ardenti da sempre e che rischia di avviarsi lungo la strada della ineluttabilità. Come la guerra della Russia contro l’Ucraina, e come l’altra cinquantina di guerre che si combattono nel mondo, anche gli eccidi della Striscia di Gaza, pensano in tanti, finiranno miserevolmente per scadere nella attenzione della gente e, lasceranno le prime pagine dei giornali, come già avviene su alcuni, sulle quali i fatti nostri, i nostri problemi socioeconomici e sanitari si pongono, con l’urgenza di far quadrare i nostri bilanci familiari, nella imminenza delle prossime festività, che enfatizzano i desideri più reconditi.

Di fronte al bene proprio, l’empatia passa in secondo piano.

Si vales, vàleo.

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Si cominciò a parlarne – in senso eminentemente religioso – quando, nel Cinquecento, sorsero conflitti fra Cattolici e Protestanti; ma per la valenza civile della tolleranza bisogna leggere gli scritti di Locke e di Voltaire: del primo ricordiamo l'Epistula de tolerantia, del 1689; del secondo ricordiamo invece il Traité sur la tolérance, del 1763.

La tolleranza è il segno distintivo degli uomini che sono liberi, per identità propria non sottoposta all’imprinting di nessun altro uomo; che sono uguali agli altri uomini, ma non identici a nessun altro.

 

I “Latini”, nostri padri, insegnarono che se non puoi distruggere il tuo nemico devi allearti con lui.

Tollerare viene dal latino “tollere”, che implica azione, perché significa “portare”. L’italiano “sopportare”, che non implica azione, deriva invece dal latino “patire”, da cui il termine “pazienza”.

La pazienza è “la virtù dei forti”, come sapete, perché, questo forse alcuni non lo sanno, è la virtù che genera le altre, compresa la tolleranza.

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Articolo pubblicato il 18/11/2023