Salvate la Scuola!

Contro l’occupazione ideologica dell’istruzione

Chi scrive ha insegnato per qualche decennio nelle scuole superiori e oggi, comparando ciò che accade (o si vorrebbe che accadesse) nel mondo dell’istruzione con quella che fu la scuola del passato più o meno recente non può che lanciare un grido di allarme: salvate la scuola!

Che la scuola, in tutti i suoi gradi e articolazioni, sia sempre stato il luogo di elezione dove trasmettere le idee correnti in una certa società è un fatto risaputo. Il potere ha sempre considerato la scuola come lo strumento prezioso del suo operare, il giardino dove far crescere uomini e donne ben instradati, ben coltivati, ben costruiti, meticolosamente innaffiati con i dogmi e le idee dominanti in un dato momento storico.

Tutti i totalitarismi hanno sempre posto un’attenzione maniacale all’educazione dei giovani e forse alcuni italiani, molto anziani, ancora ricordano i testi scolastici del Ventennio zeppi di retorica patriottica e di linguaggio bellicista. E nel ricordo di molti di noi, non così anziani ma neppure più giovani, aleggiano ancora le figure, le parole, le atmosfere del deamicisiano libro Cuore, col suo ingenuo ma efficace tentativo di creare una figura di giovane italiano informato a una nuova moralità nazionale. E così pure Pinocchio, certo intellettualmente più accorto e complesso, ma anch’esso libro per un’infanzia da educare, da crescere, da modellare su determinati valori etici e civili. 

Due libri che, a modo loro, dovevano costruire una nuova gioventù da offrire come dote al nascente stato italiano e alle sue nuove classi dirigenti. Il rifiuto del principe Fabrizio Salina verso il tentativo di cooptazione da parte di Chevalley in quelle nuove classi dirigenti si contrappone plasticamente alla soggezione che tanta gioventù di allora dovette invece subire dalla nuova strategia educativa, e che la portò ad accettare più o meno inconsciamente i miti nascenti della carducciana Terza Italia e, dopo, a ingrossare la nuova classe lavoratrice e per molti, appunto, la nuova dirigenza nazionale.

Ma erano altri tempi. La propaganda nelle scuole aveva comunque una sua moralità ampiamente condivisa, interclassista, e un fine politico sicuramente apprezzabile: l’edificazione di un nuovo stato e di una nuova nazione.

Quello che avviene oggi è tutt’altra cosa.

Siamo di fronte al tentativo di potenti lobby culturali -a loro volta asservite a interessi economici di altissimo livello e a un mondialismo senza scrupoli- di creare un essere umano totalmente nuovo, fluido, senza legami e radicamenti territoriali, staccato dalle culture di riferimento, modellato e modellabile secondo progetti elaborati chissà dove, chissà da chi, e comunque mai nel suo interesse di singolo individuo.

La postdemocrazia in cui viviamo (per usare il termine coniato da Colin Crouch una ventina d’anni fa) usa ampiamente questo potere educativo pesantemente finalizzato ai suoi interessi economici e di potere sovranazionale.

Si pensi all’invasione delle tematiche aziendali nella nostra scuola, alla predominanza delle “competenze” sulle “conoscenze”, al prevalere delle metodologie sui contenuti, alla burocratizzazione del lavoro scolastico attraverso procedure, certificazioni, catalogazioni, modulistiche, schematizzazioni dell’apprendimento e, purtroppo, anche degli studenti.

Tra un po’ arriveranno schiere di algoritmi per gestire tutto quest’universo gelido e razionalizzato; e infine trionferà l’intelligenza artificiale per sgravare i gestori dell’istruzione-formazione-educazione anche da quest’ultima fatica, e l’essere umano-studente diverrà un ologramma virtuale. Peccato che si parli dei nostri figli, dei nostri nipoti.

Siamo di fronte all’aziendalizzazione della scuola, sia come contenuti didattici, sia come abilità meramente lavorative, sia come mentalità imposta a forza al corpo docente.

Tutti vedono come queste scelte vengano dall’esterno del mondo scolastico, da quell’universo imprenditoriale che vuole affidare alla scuola non solo la formazione tecnica dei suoi lavoratori, ma anche la costruzione di una mentalità, di una psicologia, di una cultura che predispongano lo studente a un docile inserimento aziendale.

Non si tratta solo di un’operazione di formazione professionale ma anche di una vera e propria nuova pedagogia della sottomissione al potere economico. L’alternanza scuola-lavoro imposta agli studenti è proprio questo: totale inutilità formativa (l’aneddotica relativa a questa assurdità è molto vasta) ma creazione di una nuova psicologia giovanile.

E anche qui possiamo intravedere, comunque, nella pesante introduzione della mentalità aziendalistica nella scuola una qualche logica, per quanto sgradevole: in fondo, dicono i responsabili dell’istruzione-formazione-educazione, l’economia ha bisogno di lavoratori capaci e i giovani hanno bisogno di occasioni di lavoro.

Peccato che vengano dimenticate le altre dimensioni dell’insegnamento: intellettualità, crescita umanistica, ricerca libera e non strumentale e -tenetevi forte- spiritualità.

Ma oltre all’irruzione delle esigenze crudamente economiche, la scuola ha anche subito l’assalto di ogni genere di ideologia oggi presente sulla scena del mondo: genderismo, wokismo, inclusivismo, solidarismo, immigrazionismo, femminismo, ambientalismo, pacifismo, terzomondismo, mondialismo, europeismo, atlantismo, islamismo, cancel culture, e così via.

Manca il transumanesimo, ma prima poi arriverà.

Tutti gli “ismi” cercano uno sbocco nella scuola, vista come una prateria in cui introdurre e pascolare liberamente le proprie visioni del mondo, sia quelle dotate di una qualche attendibilità sia quelle che rasentano la follia, e spesso vi cadono dentro. In fondo, perché negare l’accesso didattico ai pastafariani?

E la Wicca è forse meno degna dell’ecologismo stralunato di Greta Thumberg? E perché non pensare magari a corsi di educazione agricola organizzati dalla Coldiretti: almeno avremmo dato ai ragazzi qualche solida nozione da parte di uomini e donne che sanno, da secoli, come dar da mangiare all’umanità.

Ma la vetta (o, se preferite, l’abisso) della demenza pedagogica è stata toccata nei giorni scorsi da chi proponeva di inserire nella scuola una “educazione sentimentale” o una “educazione all’affettività” le cui caratteristiche sfuggono a noi come a tutti gli altri, tranne, forse, a qualche politico di sinistra e a qualche laureato nullafacente in cerca di impiego.

In realtà, a ben pensare, non siamo totalmente contrari a questa idea. In un articolo precedente abbiamo proposto di includere queste misteriose discipline nell’alveo più ampio delle materie letterarie: quale migliore educazione ai sentimenti e agli affetti umani della lettura -da rendersi obbligatoria- di Anna Karenina, Madame Bovary, La nouvelle Heloise, Giulietta e Romeo, I dolori del giovane Werther, Jane Eyre, À la recherche du temps perdu e, infine, anche I promessi sposi?

Potremmo continuare a lungo, ma rischiamo di perderci nel mare sterminato dei grandi scrittori che hanno scrutato l’animo umano, maschile e femminile, nella sua straordinaria complessità, e hanno donato questa loro indagine all’intera umanità.

Sembra invece che qualcuno voglia solo introdurre un po’ di noiosissime ore (naturalmente a tot euro più IVA) gestite da qualche psicologo/a o attivista omo-lesbo-trans preoccupati soprattutto di uscire dallo stato di disoccupazione intellettuale in cui versano, ma desiderosi anche di fare proselitismo “fluido” nelle menti dei nostri bambini o dei nostri ragazzi.

Di fronte a questi continui assalti che tentano di espugnare la trincea mal difesa dell’istruzione pubblica italiana non resta che fare fronte comune fra chi ancora non ha rinunciato a pensare, e dire a chi ha la responsabilità dell’istruzione nazionale (Valditara, ci sei?): salvatela, questa scuola!

 

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Articolo pubblicato il 03/12/2023