Dove va l’Italia? Dove va l’Europa?

Tre questioni che coinvolgono la nostra nazione nel contesto europeo

In certi momenti sembra che l’Europa irrompa con violenza meteorologica nelle nostre vite, o per iniziativa sua o per esuberanza della politica italiana, e in entrambi i casi col supporto esagerato del nostro sistema mediatico che sempre e in ogni occasione non perde l’opportunità di celebrare le magnifiche sorti e progressive di quella provvidenziale costruzione chiamata Unione Europea.

Qualche settimana fa i giornali, le radio e le televisioni europee hanno dato risalto all’enfatico annuncio della signora Von der Leyen secondo cui l’UE avviava la procedura di ammissione dell’Ucraina nell’Unione senza spiegare le ragioni e le obiezioni relative a tale decisione: un puro, purissimo evento propagandistico lanciato nel mondo della comunicazione che probabilmente non avrà seguito o, se per assurdo l’avesse, sarebbe semplicemente un disastro di proporzioni non continentali ma addirittura mondiali.

Proviamo a spiegarci. Sono molti i paesi in lista d’attesa per entrare nell’UE, alcuni da decenni, come, a puro titolo di esempio, la Turchia la cui domanda di adesione risale al 1987, o la Macedonia dal 2004 o l’Albania dal 2009. Per tutti sono state poste svariate obiezioni o sollevati impedimenti procedurali, così come su alcuni stati già membri sono stati avanzati dubbi circa il rispetto dello stato di diritto o dei diritti umani (Polonia, Ungheria) con minacce più o meno velate di congelamento di alcune prerogative comunitarie che in teoria potrebbero anche arrivare all’espulsione.

E ora si vorrebbe portare nell’Unione in tempi forzati e rapidissimi un paese come l’Ucraina che tollera sfacciatamente al suo interno la presenza e il supporto di forze politiche dichiaratamente naziste, un paese che ha messo fuori legge partiti e stampa di opposizione, un paese con un elevatissimo livello di corruzione, un paese che impone le spietate leggi di guerra nelle zone di scontro militare e che, in un passato assai vicino, ha messo in atto una barbarica e spesso sanguinosa repressione nelle regioni russofone e russofile.

La forzatura è evidente a chiunque non abbia ancora perso la capacità di vedere le cose. E oltretutto si tratterebbe di includere nel corpo dell’Unione un paese disastrato sotto il profilo economico, da ricostruire sin dalle fondamenta con un colossale sforzo finanziario che ricadrebbe sulle spalle dell’Unione e sul suo  bilancio e quindi, inevitabilmente, sulle nostre finanze nazionali e sulle nostre spalle italiane, uno sforzo solo in parte compensato dagli ipotetici guadagni di quelle imprese che, forse, parteciperebbero alla ricostruzione.

Ma c’è un dato più inquietante che ci sembra sia stato sottovalutato dalla propaganda della politica e dei suoi mezzi di comunicazione.  Il Trattato sull’Unione Europea del 1992 all’articolo 42, punto 7, dice espressamente che “Qualora uno Stato membro subisca un'aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite”. Un principio cogente, del tutto uguale al famoso articolo 5 del Trattato istitutivo della NATO, a cui in parte si sovrappone, che obbliga i membri dell’Alleanza atlantica a scendere in guerra a fianco del paese o dei paesi membri aggrediti.

E’ appena il caso di notare che un ipotetico ingresso dell’Ucraina nell’UE avrebbe quasi gli stessi effetti di un suo ingresso nella NATO, evento pericolosissimo per tutti noi europei visto che quel paese è attualmente in guerra e non si sa quando ne uscirà, e che comunque si colloca in una zona geostrategica ad altissima instabilità e fortemente a rischio sotto il profilo militare.

Siamo abbastanza avveduti da comprendere come coloro che hanno auspicato e caldeggiato l’ingresso ucraino nell’Unione, a Bruxelles come in Italia, fossero consapevoli di queste evidenti implicazioni e pertanto non possiamo che considerare l’iniziativa come un’inutile boutade propagandistica del tutto campata in aria e irritante per l’intelligenza dei nostri popoli, una iniziativa che non depone certo a favore della serietà di chi l’ha concepita ed esaltata.

Un secondo evento che ci ha portato nel cuore dei difficili rapporti fra Italia e Unione Europea è stato, naturalmente, il voto parlamentare che ha respinto la modifica del Trattato MES.

Lasciamo perdere le futili polemiche sul comportamento del ministro Giorgetti -che poteva saggiamente risparmiarci le sue opinabili convinzioni senza creare imbarazzo al governo e dare alle sinistre l’occasione di imbastire la loro una sceneggiata- così come possiamo tralasciare lo  spettacolo del Movimento cinque stelle il quale vota contro un trattato che pochi anni fa aveva approvato.

Concentriamoci invece sul significato di questo voto nell’ottica più ampia dei rapporti Italia-Europa che sembrano diventare sempre più critici, cosa dovuta anche al positivo atteggiamento dell’attuale maggioranza e del suo governo che, finalmente, dopo anni di inerte acquiescenza hanno portato l’Italia a dire qualche no allo strapotere delle istituzioni europee.

E’ vero che la parziale accettazione di un Trattato di stabilità revisionato ha compensato il rifiuto netto e doveroso del MES nella nuova versione, ma in ogni caso quell’accettazione è stata ben argomentata e comunque rappresenta un buon segno della capacità di mediazione del governo e della volontà di mantenere un equilibrio complessivo nel rapporto con l’Europa. Quanto alle ragioni riguardanti il rifiuto del nuovo MES rinviamo ai dieci lucidissimi e impeccabili argomenti illustrati da Claudio Borghi Aquilini in un suo tweet che ha realizzato un numero esorbitante di consensi.

Ma c’è un terzo punto che si inserisce in modo inquietante nella tematica dei nostri rapporti con Bruxelles e che, pur riguardando un futuro ancora imprecisato, ci fa molta paura per l’incosciente leggerezza con cui oggi viene trattato. Intendiamo la riforma della procedura di voto nelle istituzioni europee che vedrebbe il passaggio dal principio dell’unanimità a quello del voto a maggioranza, una questione solo apparentemente tecnica ma che porta con sé inimmaginabili conseguenze politiche e, osiamo dire, storiche.

Passare dal voto unanime a quello a maggioranza significa semplicemente consegnare il potere decisionale in Europa a quei paesi che saranno in grado di esprimere una loro maggioranza politica imponendo di fatto i loro interessi a tutta l’Unione, Italia in primis dal momento che quella maggioranza sarà molto facilmente appannaggio delle due grandi nazioni che già oggi governano l’Europa, e cioè Francia e Germania, eventualmente corredate dai loro satelliti. L’Europa carolingia dominerà l’Europa mediterranea secondo un  modello da società per azioni in cui gli azionisti legati da un patto di sindacato impongono le loro decisioni a tutti gli altri.

Non sappiamo se sarà proprio così o se si escogiteranno dei contrappesi, ma il rischio per noi è altissimo.

In pratica la nostra Costituzione verrà aggirata e accantonata in quanto non solo la sovranità italiana verrà spostata altrove all’estero, delocalizzata, ma le procedure legislative e di formazione della volontà politica a livello nazionale  verranno compresse dai poteri comunitari che, a loro volta, saranno nelle mani delle grandi nazioni straniere che sapranno costruire le compagini politiche a tutela dei propri interessi e, probabilmente, anche a tutela degli altri interessi globalizzati.

Siamo rimasti spiacevolmente colpiti dall’esternazione del presidente Mattarella che, pochi giorni fa, ha disinvoltamente espresso il suo compiacimento per questa deriva che, di fatto, ci priva della nostra natura di nazione e di stato, forse per contrapporsi a quella presunta deriva sovranista che egli tanto detesta e che purtroppo lo pone a capo di quel mondo politico anti-italiano che nella sinistra trova la sua naturale collocazione e che in lui sembra aver trovato un leader neppure troppo defilato.

Cosa che -per l’uomo che dovrebbe essere il custode della Costituzione e rappresentare l’identità e le aspirazioni nazionali- non sembra proprio il massimo della coerenza.

 

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Articolo pubblicato il 27/12/2023