4 febbraio, S. Aventino, reliquie ad Asti e culto a Torino e in Piemonte
Sant'Aventino di Troyes

Protettore contro il mal di capo, indicato sui calendari fino al 1870 circa

Il 4 febbraio il calendario liturgico celebra due santi che portano il nome di Aventino o Avventino.

Ad Asti, nella sacrestia del Duomo, si conserva un dente di S. Aventino in una teca, che si imponeva sul capo dei fedeli per scongiurare il mal di testa. A Torin esisteva un Isolato così denominato, appartenente al quadrato romano, lungo la attuale via San Tommaso: procedendo da via Arsenale, subito oltre via Santa Teresa, vediamo l’Isolato di Sant’Avventino alla nostra sinistra, verso via dei Mercanti. Oggi, i lati dell’isolato di Sant’Avventino che prospettano su via San Tommaso e su via Bertola appaiono come un imponente, monolitico caseggiato in stile razionalista, costruito in marmo e mattoni di paramano.

Questo nome è poco conosciuto e poco usato, nonostante vi siano stati, come detto, due santi omonimi, entrambi francesi.

Iniziamo dal nostro “santo astigiano”, che ci riporta alla Francia della seconda metà del V secolo. Egli nasce probabilmente a Bourges. Dai pochi documenti pervenuti sappiamo che i genitori appartenevano a un ceto sociale medio ed erano credenti e devoti, in una terra dove il cristianesimo si diffonde già nel III secolo.

Aventino, fin da giovane, è additato come un modello; adolescente, si interroga sullo scopo della vita, come tanti giovani di ogni tempo. Nella sua ricerca di significati, fa visita al personaggio religioso più noto della regione, il Vescovo S. Lupo di Troyes che, nell'anno 451, salva la città dall’invasione di Attila, offrendosi come ostaggio. L’anziano prelato scorge subito nel giovane le più sincere virtù cristiane, e lo tiene con sé come collaboratore: è l'incontro di due uomini di Dio.

La sua virtù maggiore è la carità verso il prossimo. A quei tempi è diffusa la schiavitù dei prigionieri stranieri di guerra: Lupo e Aventino non sono indifferenti davanti a quelle sfortunate persone che vengono trattate come bestie; i due ne riscattano il maggior numero possibile, a tale scopo raccolgono anche elemosine. Restituita loro la libertà, si preoccupano della salute spirituale, offrendo loro i sacramenti. S. Lupo muore nel 479 e gli succede S. Cameliano che, conoscendo le doti di Aventino, gli dà l’incarico di economo, con ampia facoltà di gestire le elemosine. Nella estrema povertà del tempo, le finanze del vescovo fanno fronte a tante spese; vi è quasi del prodigioso e la fama di Aventino si diffonde, ma lui, per non venir meno alla propria umiltà, col vivo rammarico del vescovo, decide di ritirarsi.

Viene accolto in un romitorio, per seguire la sua volontà di santificarsi in solitudine. Sebbene non fosse incline al comando, dopo poco tempo è eletto superiore della comunità: il suo esempio è prezioso e il ritiro diventa una scuola di perfezione e quel luogo sarà chiamato in seguito Isola di S. Aventino. Pur vivendo ritirato dal mondo, non può fare a meno di pensare ancora alla redenzione degli schiavi; gli giunse notizia di un certo Fidolo, dalle rare virtù, forse già chierico e originario dell’Alvernia, che ha perso la sua libertà per mano di Teodorico I, Re dell’Austrasia. Siamo all’incirca nell’anno 530; il riscatto costa dodici monete d’oro e la felicità di Fidolo lo porta ad unirsi alla comunità di Aventino, la cui fama cresce e si diffonde fra il popolo. Quando la tranquillità dei confratelli sembra compromessa, Aventino decide di allontanarsi, Fidolo subentra nella carica di superiore (morirà con fama di santo il 16 maggio del 540).

Aventino si ritirò in un luogo solitario lungo la Senna, a circa sette miglia da Troyes. Ha portato con sé solo del pane, dei legumi e qualche semente, per non essere di peso a nessuno: ha finalmente raggiunto la tranquillità desiderata, dividendo il suo tempo tra preghiera, lavoro e penitenze. Dorme poco, indossa una povera e rude veste, si ciba tre giorni a settimana. Nel giro di qualche tempo la sua presenza carismatica non sfugge all’attenzione del popolo, già trasformata in ammirazione per le sue virtù.

Il vescovo S. Cameliano non si è dimenticato di lui: lo ricerca per conferirgli gli ordini sacri. Aventino vive serenamente l'ultimo periodo della vita, celebrando la Messa nei pressi della sua capanna, per gli abitanti del luogo, qui avviene anche la guarigione di alcuni malati.

La sua carità è leggendaria e si racconta che un orso, una notte, bussi alla sua porta: coricatosi a terra gli porge una zampa in cui era conficcata una spina e l’eremita lo curò e gli fascia la ferita.

Aventino muore il 4 febbraio 538.

Acclamato santo e patrono di quei luoghi, qualche anno dopo il vescovo Vincenzo fa costruire una chiesa ove ripone le reliquie e in cui vorrà poi essere sepolto. Vengono erette in suo onore cappelle e chiese, anche fuori dalla Francia. Da tempo immemorabile è invocato contro i mali di capo e per le malattie nervose. Oggi nei pressi di Troyes una cittadina ha il suo nome (Saint Aventin sous Verrières) e Creney lo venera come suo Patrono.

Sant’Aventino, eremita e sacerdote, non è da confondere con l’omonimo santo vescovo di Chartres, morto nel 520, venerato anch’esso il 4 febbraio.

La più antica testimonianza liturgica del culto a lui tributato si ha nel Breviario di Comminges, nel quale Aventino è invocato dalle donne prossime a partorire, perché la leggenda racconta che la sua nascita sia stata accompagnata da grosse difficoltà nel parto.

A Torino, abbiamo una testimonianza dall’Oratorio di Valdocco, che ci riporta a S. Aventino, citata da Pietro Stella, in Sant'Aventino, san Domenico Savio e alcune questioni di storia (1). Un allievo dell’Oratorio, Giuseo Ollagnier, narra che Domenico Savio da qualche tempo soffriva mal di testa. Quali ne fossero le cause non è dato saperlo. Nemmeno è possibile sapere se ne soffrisse già prima che si stabilisse all’Oratorio. La Vita induce a fare un quadro d’indebolimento generale in piena età evolutiva. Anche Ollagnier pativa dolori di capo. Fu Domenico a prendere l’iniziativa. Chiese al condiscepolo, se «per caso» non conoscesse qualche buona preghiera da rivolgere a S. Aventino, «protettore pel mal di capo». Avutala, insieme si recarono in chiesa più volte per recitarla. Domenico, proseguiva Ollagnier, faceva di più: con frequenza lo si vedeva in chiesa in ginocchio all’altare della Vergine o a quello di S. Luigi in atto di recitare il rosario o dire altre preghiere per la «sua anima».

Scrive Pietro Stella: «Nella costellazione dei santi onorati dal mondo cattolico tra il medioevo e il primo ’900 S. Aventino non è certamente un astro di primissima grandezza. Il ricordo di un Aventino, «quidam religiosus» a servizio di Lupo vescovo di Troyes e insigne per avere riscattato un gruppo di schiavi, si trova in Gregorio di Tours, De gloria confessorum. Secondo una vita, risalente al secolo undecimo, Aventino sarebbe nato a Bourges, sarebbe stato nominato economo della diocesi di Troyes da Cameliano, vescovo succeduto a Lupo, si sarebbe poi ritirato a condurre vita solitaria in una cella eremitica, dove sarebbe morto il 4 febbraio 537. Il Martirologio romano commemora appunto in quel giorno il «dies natalis» a Troyes «sancti Aventini confessoris». A Troyes invece la festa liturgica da tempi antichissimi cadeva il 6 febbraio.»

Scrive ancora lo Stella: «Per quanto riguarda S. Aventino nella religiosità torinese, una conferma puntuale viene, sul piano documentario, dalle notazioni degli almanacchi che si andarono pubblicando dal ’700 in poi. Tra quelli torinesi il più longevo, se non il più vetusto, il più diffuso e più ricercato in certi lustri fra ’700 e prima metà dell’800, fu il Palmaverde.

(…) Il Palmaverde per il 1856 e quello per il 1857 (gli anni delle preghiere di Ollagnier e di Domenico Savio a S. Aventino) indicano per il 3 febbraio la benedizione della gola: è il giorno della festa di S. Biagio, la cui solennità era celebrata nella chiesa di S. Francesco d’Assisi (quella del Convitto ecclesiastico e dei primi catechismi di don Bosco a Torino). Al 4 febbraio era indicato anzitutto S. Aventino, la cui festa era celebrata in due chiese: in quella di S. Domenico, tenuta dai domenicani, e nell’altra di S. Rocco, sede dell’omonima confraternita; entrambe, non discoste dalla chiesa di S. Francesco d’Assisi e dallo stesso Oratorio di Valdocco.»

A completare l’entità del culto tributato al Santo francese, Stella ci fornisce altri elementi storici: «Si trova S. Aventino al 4 febbraio sul Calendario georgico della Società agraria subalpina del 1805, stampato a Torino; su Il Torinese, almanacco per l'anno 1818; su Il provinciale biellese, almanacco per l'anno 1831 e su Il provinciale, almanacco per il 1836, anch’esso stampato a Torino. Il santo di Troyes compare pure sull'Annuario statistico-amministrativo della Divisione di Torino (1836). Oltre che dalla Sibilla celeste, è preferito dal Caleidoscopio, pubblicato a Torino da Giacinto Marietti a partire dal 1860, e da Don Mentore, che è compilato dal lazzarista savonese Francesco Martinengo ed è pubblicato dal tipografo Giulio Speirani a partire dal 1857».

Note

(1) Pietro Stella. Tratto da L'impegno dell'educare. Studi in onore di Pietro Braido promossi dalla Facoltà di Scienze dell'Educazione dell'Università Pontificia Salesiana, a cura di J.M. Prellezo, Roma, LAS, 1991, 361-373.

 

 

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Articolo pubblicato il 04/02/2024