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Tecnologia
La scienza e la tecnologia stanno studiando l’estrazione economica dell’uranio dal mare
Estrazione dell'uranio dal mare con le molecole-trappola
La ricerca procede in diversi Paesi del mondo
Articolo di Mauro Bonino
Pubblicato in data 24/10/2022

La crisi energetica, che sta precipitando la stragrande maggioranza dei Paesi europei (e non solo) verso una situazione di pericoloso rallentamento dell’economia industriale e civile, è un evento oggettivamente preoccupante.

Le ripercussioni, che inevitabilmente possono ricadere e che spaventano la società tutta, stanno creando disorientamento e paure che forse eguagliano, se non superano, quelle generate dalla pandemia da Covid-19.

La situazione climatica planetaria, dove la CO2 ha raggiunto le 440 parti per milione, impone scelte obbligate se non si vuole creare un disastro ambientale irreversibile dovuto al rialzo della temperatura del delicato sistema atmosferico-acqueo-terrestre, già pericolosamente compromesso.

Tenendo conto di questo vincolo fisico-climatico limite, le scelte energetiche in merito diventano di conseguenza obbligatorie e da ricercare nel comparto delle energie verdi e rinnovabili, senza poter escludere il nucleare cosiddetto dell’ultima generazione.

Chiariamo subito che l’energia ricavabile dalla “fusione nucleare” e che vorrebbe riprodurre le reazioni nucleari all’interno del nostro sole (e delle stelle), per ora ancora una chimera per l’umanità, resta l’obiettivo tecnologico rivoluzionario e irrinunciabile per avere energia pulita, cioè senza scorie radioattive da smaltire, e senza limiti di produzione. L’ipotesi temporale, per disporre di questa rivoluzionaria e miracolosa energia (fusione termonucleare controllata), si prospetta teoricamente fra 30 40 anni e forse oltre.

Prospettiva che nell’immediato e nell’urgenza di colmare il “gap” energetico, non si può prendere in considerazione.

Conseguentemente la scelta realista e subordinata, al fine di integrare nel più breve tempo possibile la produzione e l’offerta di energia, non può che ricadere sul nucleare da “fissione” dell’ultima generazione che, in ogni caso, offre garanzie di sicurezza e di ragionevole disponibilità.

Tuttavia, nel caso che la scelta del “nucleare da fissione dell’ultima generazione” diventasse praticabile per necessità indilazionabile, si porrebbe un problema del costo della produzione di questa tipologia energetica.

Questa dipende, tra le tante altre componenti, anche dal costo dell’uranio con numero di massa 238 (238 U) e in seguito dalla separazione del combustibile fissile uranio con numero di massa 235 (235 U) che, attualmente entrambi, derivano dalla tecnologia estrattiva dal minerale di miniera.

Recentemente la ricerca scientifica ha riproposto una nuova tecnologia estrattiva dell’uranio dall’acqua del mare.

Studi recenti ipotizzano che negli oceani siano depositati 4.5 miliardi di tonnellate di sali di Uranio potenzialmente estraibili. Una riserva immensa che dovrebbe garantire una disponibilità praticamente illimitata che avrebbe l’effetto di calmierare il prezzo del combustibile nucleare.

Come recuperare questo “tesoro” che si presenta in acqua marina ad una concentrazione molto bassa (stimata sui 3,3 microgrammi/litro) resta una grande sfida tecnologica. Infatti, questo processo in fieri rende ancora l'estrazione dell'uranio dall'oceano molto più difficile e costosa dell'estrazione dell'uranio dal minerale.

L'idea di estrarre l'uranio dall'acqua di mare non è nuova. Ha ben 70 anni, se non di più. Ma solo negli anni '80 del secolo scorso, gli scienziati giapponesi hanno scoperto materiali assorbenti adatti in grado di filtrare gli ioni di uranio dall'acqua di mare. Tuttavia, anche con l'uso di questi assorbenti-leganti a base di amidossime, il costo di ogni chilogrammo di “uranio marino" costa un ordine di grandezza più costoso dell'estrazione dalle miniere e raggiunge i 1000 dollari e oltre. Pertanto, i ricercatori cinesi si sono trovati di fronte al compito di moltiplicare l'efficienza di filtrazione, e su questa strada si stanno già facendo progressi.

Da segnalare che anche in altre parti del mondo si concentrano ricerche promettenti in merito e in particolar modo nell’area anglo-americana e italiana.

A fine novembre, nella pubblicazione Nature Sustainability, un gruppo di scienziati cinesi ha pubblicato un articolo in cui si parlava di creare una membrana per estrarre in modo efficiente l'uranio dall'acqua di mare.

Secondo i ricercatori, la struttura della membrana "funzionale" microporosa polimerica, rivestita di amidossime, così progettata, si è rivelata 20 volte più efficace dei metodi precedentemente proposti.

Tecnologicamente sono state realizzate delle membrane polimeriche che dal punto di vista funzionale si presentano come una struttura che simula i vasi sanguigni, seguendo la logica geometrica del frattale (figura che si ripete nella sua forma allo stesso modo su scale diverse).

Questa struttura si ramifica in ulteriori rami tubulari più piccoli che sono rivestiti dalla “membrana polimerica di amidossime” che trattiene gli ioni uranio.

Questo progetto, studiato da un team della Accademia Cinese delle Scienze di Pechino, è stato realizzato al fine di ottenere la massima efficienza del metodo di recupero dell’uranio.

Inoltre, il design della struttura permette di favorire il flusso dell’acqua filtrata e di massimizzare la superficie trattata con la “membrana polimerica”, su cui l’uranio viene trattenuto e in seguito recuperato. Recupero che per ora presenta ancora notevoli difficoltà tecniche e che rende ancora critico l’aspetto economico.

Per un approfondimento della composizione chimica di questo “materiale” riportiamo quanto segue:

La membrana è costituita dal composto chimico del gruppo delle “amidossime”.

Le amidossime sono ossime di ammidi con struttura generale

R1C(=NOH)NR2R3.

Le ossime sono comunemente usate come leganti e agenti sequestranti per ioni metallici.

Le amidossime come la poliacrilammidossima possono essere utilizzate per catturare tracce di uranio dall'acqua di mare. Nel 2017 i ricercatori hanno annunciato una configurazione che ha assorbito fino a nove volte più uranile delle fibre precedenti, senza saturarsi.

Lo ione uranile (l’uranio si trova con lo stato di ossidazione + 6) risponde alla formula chimica: UO2+2

In sintesi, è evidente che siamo ancora in un contesto altamente sperimentale che tuttavia offre prospettive industriali interessanti dal punto di vista tecnologico e si spera quanto prima anche economico.

Restano, come è comprensibile, da risolvere molti problemi tecnici tra cui superare l’ostacolo delle incrostazioni delle membrane da parte degli organismi marini e come separare l'uranio dalle molecole di altre sostanze in abbondanza disciolte in acqua di mare.

L’auspicio è quello che si possa passare, in tempi credibili, dalla fase sperimentale ai progetti operativi, tenendo presente che la ricerca scientifica galoppa ad un ritmo sorprendente e che quello che oggi può sembrare un ostacolo insuperabile, in breve tempo può essere facilmente superato con risposte decisamente più efficienti di quelle che prima non potevano neanche essere ipotizzate.

In fondo la storia dell’umanità dovrebbe averci insegnato che il nostro migliore destino è quello guidato dall’ottimismo razionale dove la ricerca scientifica ha sempre trovato e messo a disposizione soluzioni sorprendenti, indispensabili per il continuo progresso civile e sociale.

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