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Cronaca Nazionale
Una cronaca nera un po’ diversa da quella legata alla quotidianità
Una sequela di “ritorni sui luoghi del delitto”
Articolo di Massimo Centini
Pubblicato in data 05/01/2023

Il 2022 è stato un anno all’insegna della cronaca nera: ma una cronaca nera un po’ diversa da quella legata alla quotidianità. Infatti, nel corso dell’anno sono stati proposti una docuserie di Yara Gambirasio e un’altra è in preparazione sul caso di Avetrana; non sono mancati numerosi servizi sul massacro di Erba e poi su Garlasco, per non parlare dell’overdose suggerita settimanalmente da talk show specializzati sull’argomento.

 

Una sequela di “ritorni sui luoghi del delitto” che, obiettivamente, in molti casi invece di fare informazione, sono un’occasione per morbose descrizioni condite dal bla bla di ospiti in studio non sempre all’altezza della situazione, ma ben assestati in questa dimensione in cui i criminologi spuntano come funghi.

 

Una “criminologia” che siamo abituati a “conoscere” dall’overdose di film, serie e servizi giornalisti più o meno attendibili. Malgrado questi risvolti inquietanti e apparentemente scostanti, la criminologia affascina un pubblico sempre più vasto: basti pensare ai giovani che “da grandi vogliono fare il criminologo” e cercano un indirizzo di studio che li conduca verso quest’ambita professione.

 

“I crimini violenti rappresentano sempre più motivo di preoccupazione per la nostra società. L’omicidio, l’incendio doloso e le aggressioni a sfondo sessuale costituiscono gravi e violente condotte interpersonali, e le forze dell’ordine avvertono la pressione dell’opinione pubblica affinché i criminali siano tempestivamente assicurati alla giustizia”…

 

Questo l’incipit del Crime Classification Manual, un testo da molti esperti indicato come la “Bibbia” dei professionisti dell’investigazione e delle scienze criminali. Uno strumento di lavoro fondamentale per chi è a contatto con gli aspetti peggiori del genere umano, per chi quotidianamente è impegnato nella ricerca dei criminali e, per quanto possibile, nella formulazione di tesi, metodi sistemi pratici che consentono di giungere con maggiore precisione e velocità all’identificazione del colpevole.

 

Inoltre, l’approccio scientifico ha anche il ruolo di consentire la definizione di teorie che possano permettere di prevenire il crimine. Non è un compito facile. Inoltre, anche se cinema, televisione e molte pubblicazioni ci hanno abituato a pensare alla criminologia come a un’attività svolta da esperti che risultano cloni moderni e mediatici di Sherlock Holmes, spesso con peculiarità tali da renderli “hollywoodiani”, in realtà il loro lavoro - quello svolto nella realtà - è complesso e difficile, dove nulla è così scontato e nel quale entrano in gioco tante variabili.

 

E poi, non è certo necessario essere dei criminologi e neppure degli esperti di mass media, per rendersi conto del ruolo del crimine all’interno dei sistemi di comunicazione. In questi ambiti il crimine è infatti un vero e proprio leader: occupa più livelli e trova audience in varie fasce della società. Dalla cronaca alla fiction, dai programmi di approfondimento ai talk show, passando naturalmente per libri, fumetti, romanzi e cinema.

 

Il vecchio detto “il crimine non paga”, forse sarà anche corretto, di certo però il “tema crimine” rende, perché trova un pubblico che vuole sapere tutto sulla criminologia, sui sistemi di investigazione, sulle tecnologie in campo per effettuarle indagini. Spesso questo pubblico ha aspettative condizionate ad origine da serie come “C.I.S.”, o da interpretazioni personali di casi di cronaca nera elaborate su base emotiva e senza alcuna competenza in merito.

E così tutto diventa rimbombo destinato a creare un’eco che coinvolge e che porta informazioni non corrette, che distorce la verità.

 

Nel 1959, in una cittadina del Kansas, una famiglia di agricoltori (padre, madre e due figli) venne massacrata in casa; il bottino era irrisorio e la notizia occupò una colonna sul “New York Times”. Forse quell’evento sarebbe rapidamente scomparso dalla scena se lo scrittore Truman Capote (1924-1984) non l’avesse trasformato in uno dei capolavori della letteratura contemporanea, A sangue caldo; il libro fu un best seller, ma soprattutto determinò un profondo cambiamento al corso della letteratura americana.

 

Questo caso è emblematico perché indica come un qualsiasi evento criminale possa diventare paradigmatico e subire una metamorfosi destinata a trasformarlo in una vicenda universalmente nota. Da noi è successo qualcosa del genere – senza il contributo della letteratura – con il caso Cogne. Se a essere vittima di un crimine è il presidente degli Stati Uniti, un leader politico, o una star dello spettacolo, si può essere certi che l’eco incontrata da quell’evento sarà vastissima; però, se la vittima è l’uomo qualunque, la risonanza dipende dal vampirismo mediatico, che getterà quell’evento nel gorgo della comunicazione senza controllo.

 

Quindi, ogni soggetto (criminale o vittima) può diventare un protagonista dei mass media: naturalmente contribuiscono ulteriori fattori che possono favorire l’enfatizzazione di quel crimine in ragione di alcune variabili, che hanno un peso rilevante nell’immaginario. Hanno infatti una ricaduta rilevante sul piano emotivo: il modus operandi, il tipo di arma, il cosiddetto locus commissi delicti, ecc.

 

Queste variabili, attraverso la cassa di risonanza dei media, possono fare in modo che la cronaca nera diventi show: l’evento criminale può diventare un feuilleton mediatico e la narrazione si sottrae alla rete di autocontrollo, le cui maglie sono sempre più ampie.

 

La fama (e purtroppo la percezione della sua gravità) di un delitto è quindi direttamente proporzionale alla comunicazione: equazione banale, sulla quale si basa in fondo la pubblicità di un detersivo o di un’automobile.

 

 

 

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