I Don Gesualdo del nuovo millennio

Ad un aumento del risparmio non corrisponde un eguale aumento dei consumi

In un corsivo uscito su Repubblica, firmato dal solito pungente ma raffinato osservatore quale è Michele Serra, si fa notare come a un aumento del risparmio di circa il 4% da parte degli Italiani non ne è conseguito un sensibile aumento dei consumi.

Dopo anni di crisi, recentemente il pil è leggermente cresciuto, sono aumentati i contratti a tempo indeterminato, è appunto aumentata la propensione al risparmio, sono arrivati per alcuni i famigerati 80 euro del governo Renzi, ma ciò nonostante i consumi non è che siano ripartiti di gran carriera.
Secondo Serra, potrebbe non esserci più quel collegamento deterministico tra denaro disponibile e consumi, tesi che a pensarci bene farebbe inorridire imprenditori e liberisti.

Quel desiderio di acquistare beni, che aveva caratterizzato la società dal dopo guerra sino all’inizio del nuovo millennio, era un desiderio legato evidentemente a una necessità (il boom economico per un Paese parzialmente da ricostruire) e non per forza a “una specie di vocazione naturale” come ironicamente fa notare Michele Serra.

L’Italia ha un gran bisogno di far ripartire i consumi, si sente dire da anni da parte di chi ci governa e dalla stessa Confindustria, ma sarebbe opportuno e saggio domandarsi se alla fine quel consumismo cui eravamo abituati non sia già stato abbondantemente soddisfatto, spremuto.

Da sempre l’Italiano medio è in Europa il cittadino che tende a risparmiare di più, a mettere per così dire il fieno in cascina, e a maggior ragione lo sta facendo da anni dopo il lustro di grande crisi che ha afflitto il vecchio continente.

In un Paese, dunque, dove l’80% è proprietario dell’alloggio in cui vive, dove il rapporto tra cittadini e auto è il più alto d’Europa, dove il numero di cellulari procapite è tra i più alti al mondo, non dovrebbe stupire che la maggior parte delle persone abbia raggiunto un buon livello di benessere e non senta più così l’irrefrenabile desiderio di acquistare compulsivamente.

Il venire meno anche di certi pilastri di sicurezza come la fiducia nelle banche (si veda il caso Etruria), nella pensione inps (il cui tasso di sostituzione pare diventare sempre più basso), per finire con la paura per la propria vita (in questi anni di fondamentalismo islamico che fa tremare l’Europa), può essere che le persone siano tese a diventare più dei Mastro Don Gesualdo pronte a conservare la “roba” che già possiedono piuttosto che a continuare ad acquistarne di nuova.

Tanto più che oggi, nella società dei servizi, la “roba” nuova la si può prendere in condivisione, come il car sharing, o affittare spazi per lavorare, come il co-working, o luoghi virtuali per salvare i propri dati o per sviluppare le proprie applicazioni spesso in maniera gratuita, si veda il clouding, sino a fruttare la rete che mette a disposizione film e libri gratuitamente o a bassissimo costo.

Prendiamo ad esempio il settore auto, che ha trainato molto il parco acquisto di beni nei decenni passati soprattutto in una città come Torino.
La benzina è ormai molto cara, nonostante il petrolio costi poco ma “grazie” alle laute accise statali, i parcheggi non solo più in centro sono a pagamento e talvolta molto cari (in alcune zone ben 2,50 euro all’ora), i corsi risultano intasati poiché una corsia viene da anni riservata ai bus, vi sono sempre più zone a traffico limitato, le autostrade sono in perenne aumento così come l’RC auto: perché dovremmo continuare a comprare automobili, soprattutto dal momento che i mezzi pubblici sono più confortevoli (aria condizionata, metropolitana) e l’alta velocità sul territorio nazionale sta mettendo in crisi anche il trasposto aereo?

La società occidentale dei nostri tempi è una società materialista, attaccata alla propria “roba”, quella roba che il protagonista del romanzo di Verga non vuole perdere, così come la Provvidenza, la barca di proprietà della famiglia Malavoglia sempre del Verga, ma con una grande differenza: la barca ai Malavoglia era indispensabile per lavorare, per vivere, mentre per noi, spesso, possedere “roba” è soddisfare un mero desiderio di essere attraverso l’avere, e forse, un po’ per i tempi in cui viviamo e un po’ perché non si può oggettivamente acquistare all’infinito, chissà che non stiamo diventando una società più incline a capire che la qualità della nostra vita non è solo (più) legata ai beni nuovi che possediamo, ma di questo la governance globale non pare preoccuparsene poiché sembra ammonirci, come dice Serra, che “o consumate sempre di più o il mondo va in rovina”.



Marco Pinzuti



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Articolo pubblicato il 28/02/2016