Cybercontrollo contro i divergenti

Entro fine marzo, banche e poste dovranno comunicare all’Anagrafe Tributaria i nostri “movimenti“

E’ sempre piacevole poter far uso di citazioni, siano esse cinematografiche che letterarie, per confezionare un articolo di giornale, sempre che la citazione abbia un senso.


Qualche giorno fa, in un articolo uscito su “Il Giornale”, si faceva riferimento alla protagonista del film “Divergent” che, riportando quanto scritto dal giornalista, cercava “una propria strada verso la libertà [mentre] nell’Italia di oggi, invece, la libertà del contribuente è un concetto astratto perché il Fisco è onnipervasivo [e] la pace, però, è relativa in quanto dipende proprio dalla convergenza alle teorie dell’erario”.

Nel lungometraggio avveniristico “Divergent”, la distopia consisteva nel fatto che in quella società si volevano etichettare e categorizzare gli individui entro classi ben determinate in modo da averne un controllo e chi era divergente veniva considerato a rischio e per tanto una sorta di Grande Fratello si era dato il compito di dare la caccia a chi, a ben vedere, voleva poi solo la propria libertà.

Per quanto riguarda, invece, il cybercontrollo  del Fisco su tutti i nostri movimenti bancari al fine di rilevare eventuali anomalie tra reddito dichiarato e le entrate e a strani casi di svuotamento di conti corrente a fine anno o comunque a situazioni sospette, chi è divergente non è necessariamente colui che cerca di essere libero in un mondo che non lo è, come accade nel film citato, bensì qualcuno che potrebbe (e sottolineiamo potrebbe ma potrà dimostrare di essere nel giusto) fare il furbo, altro che citare ironicamente quella “pace è controllo” di cui si parla nel film: qui si tratta di andare a stanare chi nuoce al sistema paese fatto di servizi per i quali si pagano le tasse in un Paese dove l’evasione è da record.

Già tempo addietro Il Giornale aveva pubblicato articoli dal titolo “Tutti i trucchi usati dal fisco per spiare la nostra vita”, “Equitalia vuole entrare nei nostri conti in banca”, “Bentornato contante” (l’innalzamento del  limite dei pagamenti in contanti sino a 3000 euro).

Chi non ha da temere nulla dal controllo erariale non ha di che preoccuparsi di uno Stato che effettua accertamenti incrociati sui nostri movimenti (e che non li sbandiera ma ne verifica eventuali, ma non esaustive ben s’intende, contraddizioni), di uno Stato che cerca di smascherare gli evasori, di uno Stato che dovrebbe limitare l’uso del contante, perché se è vero che non tutti siamo obbligati per legge divina a usare le transazioni elettroniche è altrettanto vero che se non esistessero più i contanti, ma solo le carte elettroniche in tutto il mondo, difficilmente si avrebbero evasori: d’altra parte come si è passati dal baratto alla moneta, si può passare dalla moneta alle transazioni elettroniche senza dover pensare che questo comporti meno libertà per gli individui.

Uno Stato Liberale non è uno Stato dove ognuno può fare ciò che vuole senza essere soggetto a controlli di incongruenza fiscale, altrimenti si chiamerebbe Anarchico, soprattutto poi in tempi di allargamento di forbice sociale come quelli che stiamo vivendo.

Nella campagna elettorale torinese appena iniziata, un candidato a sindaco ha tappezzato la città con “faremo di Torino la città più video sorvegliata d’Italia”, “1000 vigili urbani in più nelle strade”, “più sicurezza = più sviluppo”: insomma siamo nel Bronx e manco ce ne eravamo accorti!
Sul dover investire in cybersicurezza per arrestare qualche ladruncolo possiamo essere tutti d’accordo, ma allora non si capisce perché non dovremmo sfruttare le nuove tecnologie, l’informatizzazione e l’incrocio dei dati nelle transazioni elettroniche anche per stanare possibili evasori di migliaia di euro: farabutti di altra specie, ma pur sempre farabutti.

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Articolo pubblicato il 12/03/2016