Dal deismo al dataismo

Governati ormai dai Big Data, rischiamo di non farci più guidare dall’intuito

Sul Financial Times, è uscito un interessante articolo dello scrittore Yuval Harari, che     sta vendendo milioni di copie con  il suo saggio “Homo Deus: breve storia del futuro”.

Harari fa notare come l’uomo, nel corso dei millenni, sia passato in tre diverse fasi nel determinare come affrontare il proprio futuro e prendere decisioni.

Inizialmente, l’ignoranza sulla causa degli eventi che lo circondavano lo ha portato a credere negli dei, prima, e in un solo dio, in seguito, poiché l’autorità che governava l’uomo e il mondo era quella divina.

Tralasciando il periodo dell’antica Grecia, durante il quale pensatori come Democrito tentarono di dare una spiegazione scientifica e razionale del mondo (tutti i suoi libri furono distrutti con l’avvento del Cristianesimo) , bisognerà arrivare al tardo ‘700 per avere, attraverso l’Illuminismo, una seconda fase durante la quale si iniziò a basarsi sull’intelletto umano, la ragione e anche le emozioni per governare ciò che ci circonda.

In fondo, anche le scelte apparentemente meno razionali e più istintive sono dettate da millenni di evoluzione che ci hanno portato a non dover sempre effettuare delle scelte in maniera conscia, poiché l’evoluzione stessa ha pensato a trovare soluzioni standard per i problemi più semplici e ripetitivi.

Recentemente, si sta assistendo a una terza fase, quella in cui la continua raccolta ed elaborazione dei nostri dati (anagrafici, mail, social network, acquisti, …) ad opera soprattutto dei grandi nomi della Silicon Valley, come Google e Facebook, ci sta conducendo a quello che Yuval Harari definisce “Dataismo”, ossia all’affidarci più o meno consapevolmente agli algoritmi del mondo digitale per farci sostanzialmente dire ciò di cui abbiamo bisogno.

Rischiamo di finire nell’era in cui i sistemi di gestione dei Big Data mi conoscono meglio di quanto io  conosca me stesso, capaci di guidarmi nelle scelte giuste in funzione dei dati e delle mie scelte precedenti raccolte negli anni e digitalizzate in rete, con il rischio, talvolta, di ritenere che la scelta giusta per me sia quella più simile ad altre già fatte, togliendomi il piacere discrezionale di cambiare anche radicalmente le mie scelte future.



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Articolo pubblicato il 23/07/2017