L’EDITORIALE della DOMENICA di CIVICO20NEWS – Enrico S. Laterza : Privacuity

Un neologismo pseudo-anglofono per identificare la fine (benaccetta) della riservatezza dei nostri dati personali

Accendere la tv o accedere ad internet è come scoperchiare uno stracolmo cassonetto dell’organico in un torrido afoso pomeriggio di luglio, guardarci dentro e allegramente frugare a-mani-nude, con le narici spalancate, nell’olezzante putredine dei rifiuti: da quel pandoreo vaso-da-notte ripieno di me…lma si sprigiona ogni sorta di pattume spettacolare, un continuo deflusso intestinale di cacofonico cocoiconico liquame d’inimmaginabili schifezzuole, specialmente l’autosputtanamento viscerale di gente qualunque (non l’Ordinary People di Robert Redford), semi-oscura o quasi-celebre, di similfamosi o vip in declino, oppure rampanti blogger e influencer ferragneschi sempre a caccia di like, a imperversare sugli assurdi social con osceni scemi e odiatori seriali o in trasmissioni della categoria (ir)reality, tipo Grande Fratello (appropriato titolo di premeditata, inquietante assonanza orwelliana), o stupidi “contenitori” domenicali vomitanti secrezioni d’indiscrezioni, pettegolezzi o gossipfenomenali”, falsi scoop precombinati in accordo con le presunte “vittime”…

Tutti agognano apparire in quest’immondizia mediatica; compulsivamente postano in-rete i loro insignificanti momenti di vita intima, il cui preminente valore – a ben vedere – sarebbe giusto di non essere pubblica, ma gelosamente custodita nell’ambito del pudico nucleo familiare, nel protetto nido domestico (a cominciare dagli inconsapevoli bambinelli, che papà e mammà stolidamente propagano in foto e video dall’ecoschermata ostetrica intrauterina ad instagram e che poi da grandi li imiteranno). Il nobile vocabolo amicizia, amico, il concetto di philìa, esaltato da Platone nel Fedro e nel Liside, ha perso senso. Degradato a rango di follower.

In barba alle complesse, stringenti normative e regolamentazioni ufficiali, superprotettive quanto inefficaci (peggio delle grida manzoniane), i preziosi dati personali, anche di delicata natura medico-sanitaria e inerenti singole predilezioni, gusti o abitudini comportamentali, che noi per primi forniamo gratis con estrema leggerezza (e con scarse opzioni per evitarlo) ai gestori dei siti, agli operatori telefonici e a miriadi di soliti ignoti soggetti, sono preda di chiunque, dalle megacorporation globali ai piccoli delinquenti pescatori-a-strascico del phishing, alle ciurme di malintenzionati hacker che navigano ondivaghi, nascosti nelle profondità più deep e dark di questo oceanico maremagnum sintetico, giù giù sino agli spioni dei cosiddetti servizi-di-sicurezza nazionali ed internazionali (ad esempio, la NSA negli USA), che, con il pretesto di tutelarci dai rischi del terrorismo, ci controllano dalle unghie incarnite dei piedi alle doppie-punte dei capelli.

Tramite la det-ta/gliata profilazione dell’utente/cliente/cittadino, a scopo commerciale e politico, nonché di raggiro o truffa, se non per loschi traffici mafiosi, presto un tostapane wireless-connected ci conoscerà meglio di noi stessi. Pensare che, un po’ ipocritamente, molti tra i fondatori di colossi della Silicon Valley, da Chris Hughes, già socio di Zuckerberg in Facebook (con ex-amici così, che bisogno hai di nuovi nemici?), a Bill Gates, all’inventore del world-wide-web Tim Berners-Lee, di recente hanno avvertito – con doloso ed interessato ritardo – del pericolo!…

Per giunta, col rilevamento delle impronte-digitali elettroniche, rese obbligatorie per i documenti d’identità, quindi la scansione dei lineamenti-somatici o dell’iride – e ammennicoli vari –, strumenti propalatici esclusivamente nell’innocua veste di soluzioni per velocizzare (provate ad andare all’anagrafe a richiedere la sostituzione di una carta scaduta o smarrita!…) o per perfezionare gli onnipresenti sistemi criptati d’individuazione, ci lasciano in balia dei summenzionati pirati-informatici, che subdolamente riescono ad arrembare e decifrare i codici (un-gioco-da-ragazzi!), rubare le nostre sembianze in bit e mascherarsi dietro il nostro volto per compiere a nostro nome semplici marachelle o gravi reati e sozze nefandezze, da cui ci toccherà discolparci e magari esser chiamati a difenderci in tribunale, con onerose spese legali, e risarcire i relativi danni.

Colla crapa nelle nuvolette (cloud), sulle orme del Socrate delle Nephèlai di Aristofane, ci sottrarranno e sfrutteranno le idee senza corrispondere i dovuti diritti (nelle differenti sfumature semantiche della parola).

Deprivacy, o privanity (privanità), ovvero privacuity (privacuità), evacuazione della riservatezza, ecco gli pseudoangloneologismi (ehm) con cui cerchiamo di esprimere tale incresciosa circostanza collettiva, ormai scontata e imbecillemente accettata, di irrecuperabile cancellazione dell’inviolabilità della sfera interiore. Di cui nessuno si cura. Anzi.

Si consideri che, in un prossimo futuro, avremo affidato l’intera essenza esistenziale che ci caratterizza a eteree estranee entità cibernetiche e balleremo all’algoritmo di certi ultracervelloni BRAINET (Bio-Related Artificial Iperintelligence based on Nanotechno-Neural Networks), animacchine divine, forse microscopiche, però dalla potenza incalcolabile, infallibilmente amorali – probabilmente sviluppatesi da sé da un originario software sorgivo bacato, escogitato da un paranoico ingegnere della Cia o del Pentagono (rammentate il dottor Strangelove o l’elaboratore HAL-9000 dell’Odissea nello Spazio di Kubrick?) –, che impiegheranno una fra-zione-di-se-condo a concludere che l’Umanità è un endemico parassita infestante che, proliferando e inquinando a dismisura, minaccia il Pianeta e perciò – si scusi la banale distopia (Shining!) – è necessario eliminarla.

Clic! (E… the party’s over.)

(S)terminati.

 

Enrico S. Laterza

 

 

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Articolo pubblicato il 19/05/2019