Dialoghi sul senso della vita – 1.1 di n

Così come sono avvenuti.

Gentili lettori,

 

 

 

a partire da ora, in modo non consecutivo, troverete una lunga serie di articoli che percorrono quanto è avvenuto durante gli incontri di dialogo sul senso della vita che si sono tenuti nel corso di alcuni anni presso l’Unitre di San Raffaele Cimena (TO). Essi sono cominciati nel 2012 e si svolgono ancora oggi grazie alla disponibilità di coloro che continuano ad essere presenti, come un nucleo duro, e a quanti ruotano intorno ad esso, frequentando per il tempo ritenuto necessario.

 

A tutti loro porgo un profondo ringraziamento così come a voi che avrete la pazienza di leggere senza poter interagire direttamente. Ma poiché nulla avviene a caso e nulla va perduto, certo che non mancherà l’interazione secondo gli infiniti canali di connessione che sono caratteristici della vita, vi ringrazio anticipatamente per gli apporti che si manifesteranno nonostante noi, attraverso di noi, in noi e tra di noi, così come ritenuto dalla vita.

 

Le scritte in grassetto inclinato si riferiscono agli interventi del pubblico.

Il testo è la trascrizione, più fedele possibile, delle registrazioni effettuate con videocamera.

 

Buona lettura.

 

 

19 ottobre 2012 – primo incontro.

 

Buongiorno e grazie per essere qui così numerosi, visto l’argomento che tratteremo.

 

Vi prego di ascoltare ciò che dirò partendo dal presupposto che questa non è la verità, ma semplici spunti di riflessione personali, a volte provocatori, e quindi chiunque sia toccato nelle sue convinzioni da ciò che sente porti pazienza poiché non lo sto facendo per accendere uno scontro con le sue idee o impormi a lui, ma semplicemente per aprire un dialogo il più possibile sgombro da preconcetti.

 

Come adulti responsabili ci lasceremo reciprocamente spazio per esprimere esperienze e punti di vista che ci stimolino a muovere qualche passo dalle nostre attuali convinzioni.

 

Un argomento come questo si presta a ogni tipo di intervento e tutti abbiamo il diritto e il dovere di contribuire a questo lavoro.

 

In questo particolare momento si dibatte molto sul senso della vita e quindi è chiaro, proprio per questo, che se ne sentono di tutti i colori. Anche io non faccio eccezione a questa regola, però so bene che ciò di cui sono convinto oggi, domani sarà diverso, e quindi c’è spazio per tutto e tutti, a conferma o a smentita, ma nel reciproco rispetto.

 

Lo sforzo che sto facendo, che spero venga trasferito e ricambiato, è quello di cominciare ad ascoltarci, ognuno per se stesso, cercando di diventare sordi alle cose che vengono dette dall’esterno.

 

Questo si rende necessario in quanto abbiamo passato millenni a delegare ad altri la gestione di quelle cose che poi hanno finito per imporsi a noi e dominare la nostra intera esistenza.

 

Insieme proveremo a tagliare le radici del nostro attuale modo di pensare, non come si fa nell’ipnosi, non come un altro modo di delegare a qualcuno tale scelta o di farci inibire il pensiero, ma semplicemente sospendendo la nostra funzione automatica di giudizio.

 

O almeno tenteremo di farlo poiché siamo il prodotto di giudizi costanti e non ce ne rendiamo più conto.

 

Così sospendendo la funzione automatica di giudizio usciremo dal cosiddetto “mondo reale” che siamo “costretti” a considerare tale e cercheremo un temporaneo porto franco dove nulla sia scontato.

 

Se ciò accadrà ne vedremo inevitabilmente le conseguenze.

 

Il passo più grande, il primo, è già stato fatto nel portarci fino qui e renderci disponibili a questo incontro.

 

Vedo, presenti tra di voi, alcune persone che hanno già partecipato ad altri corsi che ho tenuto negli anni scorsi su altri argomenti; avendo essi già conosciuto le cose poco convenzionali che espongo, la loro presenza mi sostiene e sprona ad andare ancora oltre.

 

Tutti noi siamo qui, ci muoviamo, quindi pensiamo di esistere… pare fuori discussione!

 

Siamo stati abituati a guardare le cose intorno a noi e quelle che noi stessi abbiamo creato vedendo in esse un senso.

 

Molti di noi non sono più di primo pelo; quindi dovremo avere una certa esperienza.

 

Alcuni tra noi hanno potuto constatare che alcune cose apprese all’inizio della propria esistenza non erano proprio così come ci sono state proposte.

 

Ma la cosa più interessante è che delle cose che ci fanno realmente vivere nessuno ce ne ha mai parlato o non ce ne vuole più parlare.

 

Cominciamo dal fatto più semplice: pensiamo di essere un elemento, un tutto, una persona, un individuo, qualcosa dotato di una caratteristica unica, un “io sono un qualcuno”.

 

Ma sappiamo anche che siamo composti da miliardi di cellule, che hanno una propria vita e che interagiscono con miliardi di organismi che hanno anch’essi una propria vita; tutto questo si svolge dentro ciascuno di noi, all’interno di quell’involucro che noi vediamo come fine o inizio di noi stessi, secondo il punto di vista e la necessità, o se guardiamo verso il fuori o verso il dentro di noi.

 

Come è nato tutto questo?

 

Da un po’ di tempo gli scienziati cercano di darsi e dare risposte a questa domanda connaturata nell’essere umano.

 

L’evidenza di questa necessità è conseguenza del fatto che l’essere umano abbia cominciato ad interagire e organizzarsi con gli altri esseri viventi ed il mondo nel quale si è trovato a vivere, iniziando così un processo di maturazione della coscienza che va al di là delle sue semplici funzioni biologiche.

 

Dapprima in modo quasi del tutto incosciente, poi via via in modo sempre più cosciente, il processo è avanzato fino ad un certo punto dal quale sembrerebbe che ora stia tornando verso una forma di dimenticanza o incoscienza della sua vera essenza.

 

Questi cicli, che si sono verificati già diverse volte nel corso dell’esistenza umana, e che sono stati spiegati nei modi più disparati secondo le condizioni in cui si trovava a vivere colui che li raccontava – un po’ come sto facendo in questo momento – si ripetono costantemente, facendo in modo che l’essere umano possa vivere in una situazione diversa dalla precedente, potendo nel contempo fare tesoro (per lo più in modo inconscio) delle esperienze fatte nei cicli precedenti.

 

Torniamo al fatto di crederci un elemento unico mentre siamo costituiti da miliardi di componenti; essi si aggregano in organi i quali hanno una propria vita e funzioni all’interno di un organismo più grande, dotato anch’esso di vita e funzioni proprie.

 

Di tutte queste informazioni sono piene biblioteche, università e le nostre stesse esperienze, ma tutto questo con il senso della vita ha ben poco a che fare.

 

Possiamo dire che ne sono conseguenza, cioè conseguenza del fatto che essendoci vita, tutto ciò che esiste grazie ad essa si trova a rispondere al compito che ha in quell’esistenza, che ne sia o meno cosciente.

 

Oggi noi ci troviamo qui, ma l’avventura che rappresentiamo proviene da un altro stato esistenziale, addirittura prima ancora che si possa parlare di un inizio dell’universo.

 

Infatti perché qualcosa inizi devono esisterne i presupposti, deve poter iniziare da qualcosa, per esempio la disponibilità potenziale dei materiali che si trovavano compressi in quella particella da cui ha originato il “big bang” a partire da un’idea.

 

Già questa ultima affermazione trova schierate parti a favore o contrarie.

 

Questa grande massa esplodendo ha dato origine a tutte le espressioni che noi osserviamo, quelle cose che diciamo esistere nell’universo; anche qui ci sarebbe molto da dire; quindi cominciamo a farlo.

 

Gli scienziati forniscono spiegazioni, ovvero legandosi alla conoscenza di alcune leggi, che nel frattempo sono state scoperte, cercano di riportare tutto a queste leggi per sostenere le loro tesi.

 

Ugualmente cercano di fare i filosofi che, avendo compreso l’esistenza di princìpi informatori delle cose, giustificano attraverso di essi le nostre azioni di oggi.

 

Ma anche le religioni, da un punto di vista ancora più operativo, perché mentre ciò che per la filosofia può essere un’opinione, in esse diventa schieramento, assunto, dogma, regola di vita vincolante.

 

I loro adepti concepiscono la verità attraverso il filtro del proprio credo religioso giungendo alcune volte a considerare coloro che praticano un’altra religione come estranei, o addirittura nemici, mentre l’essenza stessa della pratica religiosa è di riportare a ricongiungersi con la propria origine, qualunque essa sia, senza distinzione, tutto ciò che si è separato da essa.

 

Tuttavia a noi tutto ciò non interessa in questo momento; a noi interessa cosa c’è prima di tutto questo!

                     

Solo così potremo comprendere che cosa possiamo fare rispetto a tutte quelle situazioni che sembrerebbero richiedere uno schieramento rigido, considerando che noi stessi non siamo uguali da un giorno all’altro, cambiamo ad ogni istante.

 

Questo continuo cambiamento è in stretta relazione con la nostra ragione d’essere e con la necessità di rendere sempre più adatto lo strumento, che noi siamo, per svolgere al meglio, durante l’esistenza, il compito in essa contenuto.

 

Segue nell’articolo 2.1 di n. dal titolo:

L’abate di un monastero zen aveva un gatto

 

Foto e testo

Pietro Cartella

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Articolo pubblicato il 08/07/2019